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I peggiori film italiani del 2023

Il 2023 è stato un anno ricco di uscite, sia in sala che in streaming, per il nostro paese. Tra questi, inevitabilmente, molti hanno fatto discutere, e a tal proposito: quali sono i peggiori film italiani del 2023?
La classifica dei peggiori film italiani del 2023

Il 2023 è stato un anno ricco per film distribuiti sia in sala che in streaming, molti dei quali sono stati italiani. Alcuni hanno ricevuto il plauso della critica mentre altri, purtroppo, non hanno atteso le aspettative e sono stati dei flop assoluti, che si tratti di botteghino o di un discorso artistico. Per questo motivo, segue la classifica dei 10 peggiori film italiani del 2023.

Quali sono i peggiori film italiani del 2023?

Come detto, sono moltissimi i film italiani distribuiti nel corso del 2023. Questo è in realtà parte del problema della nostra industria, perché non sembra esserci un vero criterio di selezione e tantissimi titoli la sala neanche la vedono, divenendo dunque invisibili. Per questo motivo, la Flop10 di quest’anno non ha solamente l’obiettivo di indicare dei titoli a dir poco insufficienti, ma anche e soprattutto quello di muovere alcune critiche all’industria cinematografica italiana, sperando che qualcosa possa cambiare già dal 2024, come tutti ci auguriamo.

10) Lubo (Giorgio Diritti)

Presentato in anteprima all’80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Lubo è stato uno dei 6 film presentati in concorso al Lido. Dopo il grande successo di Volevo Nascondermi, Giorgio Diritti si tuffa in una storia dal grande potenziale che però appare, per lunghi tratti, totalmente inespresso.

Lubo si trova in decima posizione non tanto perché sia un film brutto, quanto perché non riuscito, nonostante le grandi aspettative ed uno degli attori più interessanti in circolazione – Franz Rogowski – a lasciare il segno. Un film che lascia diversi punti interrogativi e che anche in sala è uscito piuttosto in sordina, senza entusiasmare dunque non solo la critica, ma anche il pubblico.

9) L’Estate più Calda (Matteo Pilati)

Con la nona posizione iniziano i problemi. L’unica cosa davvero positiva legata a L’Estate più Calda è che non ha mai visto la sala, uscendo direttamente su Amazon Prime Video. Non ce ne voglia il regista Matteo Pilati, ma questo è un film che non esiste, estremamente povero e difettoso per quanto riguarda il comparto tecnico e le interpretazioni dei suoi attori, ma che finisce in classifica non tanto per questo motivo – alcuni titoli riescono ad essere anche molto peggio ma sono talmente sbagliati che non meritano neanche una menzione – quanto per il fatto che sia anche moralmente ambiguo, sbagliato, con degli atteggiamenti da parte soprattutto del suo protagonista che, nel 2023, non si possono davvero più vedere e che si tratti di grande o piccolo schermo non fa differenza. Non si trova più in alto in classifica non solo perché l’Italia è riuscita a tirare fuori altri 8 film peggiori, ma proprio per ciò che è stato detto in precedenza: è inutile sparare sulla croce rossa.

8) Quando (Walter Veltroni)

Ecco, con l’ottava posizione arrivano dei titoli che fanno anche arrabbiare. Walter Veltroni è stato molte cose nella sua vita, da politico a scrittore e giornalista, ma di certo non è un regista. Tolto forse il suo primissimo lavoro – il documentario Quando c’era Berlinguer – si è sempre trattato di opere piuttosto scialbe, ma con Quando si è toccato il fondo.

Purtroppo, anche in questo caso, parlare di tecnica è superfluo perché non vi è traccia di essa, ma qui il potenziale rispetto per esempio al precedentemente citato L’Estate più Calda, c’era eccome. Le interpretazioni in primis di Neri Marcorè e Valeria Solarino, ma anche di tutti i comprimari, sono ai limiti del ridicolo, ma il vero problema è poi che si tratta di un film vecchio, con un’idea vecchia che, già su carta, non avrebbe mai potuto parlare allo spettatore moderno ma – forse – solamente a quelli dall’età più avanzata che nel cinema non cercano stupore ma solo un posto confortevole dove ritirarsi, dove nessuna idea viene messa in dubbio ed il proprio pensiero risulta come unica possibile verità.

7) Mia (Ivano De Matteo)

In settima posizione si trova un film maldestro. Presente su Netflix, Mia dà la sensazione che il suo regista – Ivano De Matteo – fosse in buona fede, ma abbia sbagliato tutto ciò che si poteva sbagliare, trasformando l’opera da media a moralmente ed eticamente fastidiosa.

Nel 2023 non si può parlare di stupro, revenge porn, suicidio – tra l’altro tra adolescenti – e maschilismo, utilizzando il punto di vista proprio di un uomo. Certo, l’intento sarà stato di certo quello di mostrare la reazione di due genitori a tutto ciò che accade ma mai come in questo periodo queste sono tematiche delicatissime e finire per raccontare il dolore che proprio un uomo prova, perdendo dunque totalmente d’occhio la bussola, è gravissimo. Ecco come un film confezionato anche abbastanza bene – nonostante dei personaggi tagliati con l’accetta – diventa ingiustificabile e finisce dritto in questa classifica.

6) Il Ritorno di Casanova (Gabriele Salvatores)

La sesta posizione è un enorme dispiacere. Gabriele Salvatores è stato per anni un regista molto interessante nel panorama italiano: film come Nirvana o Denti sono stati quasi dei miracoli negli anni ’90 quando, in Italia, opere di questo tipo se ne vedevano ben poche. Nel 1992 è poi arrivato addirittura l’Oscar per l’allora miglior film straniero con Mediterraneo, film che lo ha definitivamente consacrato ma che ha anche, in un certo senso, segnato l’inizio della fine della sua carriera.

Il Gabriele Salvatores di oggi è però quello di Il Ragazzo Invisibile o Tutto il Mio Folle Amore e questa sua ultima opera, Il Ritorno di Casanova, non può che finire tra i flop dell’anno. Dispiace tanto anche perché, tecnicamente, non merita di ritrovarsi qui in mezzo, ma si tratta di un polpettone, di un calderone in cui Salvatores ha buttato tutto ciò che gli piace senza però dare un senso al tutto, un film che cita più volte Fellini che sembra diretto da qualcuno che di Fellini non ha mai visto nulla e questo trasforma il grottesco in un inevitabile buco nell’acqua che neanche Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio hanno potuto evitare. La speranza è che il regista napoletano possa tornare con un colpo di reni ai fasti di ormai 20-30 anni fa, ma la paura è che questo non accadrà mai. Peccato.

5) Come può uno Scoglio (Gennaro Nunziante)

Quinta posizione per Come può uno Scoglio, il nuovo film di Pio e Amedeo diretto da Gennaro Nunziante. Traendo spunto dagli stilemi comici di Checco Zalone e dalla struttura narrativa tipica di Aldo, Giovanni e Giacomo, il loro nuovo lungometraggio ripropone un vecchio canovaccio per fare una panoramica satirica dell’Italia, divisa culturalmente da Nord e Sud.

Un insieme di situazioni accostate una dietro l’altra, fungendo da mero pretesto per una performance personale del duo, recitando senza la minima guida registica. La totale mancanza di idee concrete appesantisce colpevolmente una durata pressoché standard per commedie di questo tipo, non proponendo mai un umorismo brillante e sofisticato. Un’opera pregna di personalismo, all’interno di contesti già ampiamente utilizzati e di gran lunga meglio approfonditi, rendendo il prodotto vecchio e stantio prima ancora di nascere. La speranza era dunque che i due osassero, ma sono addirittura andati sul sicuro, sul conservatorismo, facendo forse ancora più danni del previsto. Non va più in alto in classifica solo perché era un flop assicurato e perché 4 film sono riusciti, per un motivo o per un altro, a fare peggio.

4) Scordato (Rocco Papaleo)

Con la quarta posizione i problemi aumentano ancor di più. Rocco Papaleo è sempre stato un personaggio simpatico ed interessante del nostro cinema, come attore ha preso parte a tante opere discutibili ma ha anche regalato alcuni ruoli molto simpatici, mentre pure da regista era riuscito a tirare fuori un qualcosa di piacevole, basti pensare a Basilicata Coast to Coast.

Con la sua quarta regia però, Papaleo la spara davvero troppo in alto. La riflessione sarebbe anche interessante, un maestro che tira le somme riguardo la propria vita e carriera e che lo fa portando agli estremi il proprio stile cinematografico ed il film è assolutamente gradevole. Il problema è che lui non si può davvero definire un maestro, non si può dire che abbia davvero da tirare le somme su qualcosa – ha diretto solamente tre film prima di questo – e soprattutto lo stile utilizzato dovrebbe sembrare autoriale ma risulta solo come uno scopiazzare altri autori (in questo senso ricorda, paradossalmente, proprio il sopracitato Il Ritorno di Casanova) . Dispiace dirlo, ma Scordato sembra il film di qualcuno che – a livello ovviamente solo cinematografico – crede di essere più di ciò che effettivamente è ed il fatto che ciò arrivi da Rocco Papaleo, dispiace.

3) La 14esima Domenica del Tempo Ordinario (Pupi Avati)

Gradino più basso del podio per uno che, invece, lo si potrebbe anche definire maestro. D’altronde, in più di 50 anni di carriera Pupi Avati ci ha regalato alcuni film di livello assoluto, basti pensare a La Casa dalle Finestre che Ridono. Come già detto per Gabriele Salvatores e come diremo anche tra poco però, gli anni passano e le cose cambiano. La 14esima Domenica del Tempo Ordinario è un film che molti hanno anche tentato di salvare ma la verità è che, quando un regista sbaglia, va detto, chiunque egli sia e, con tutto il rispetto, non stiamo neanche parlando di Martin Scorsese che tra l’altro, con soli 4 anni di meno, quest’anno ha realizzato Killers of the Flower Moon.

Vero, c’è un senso di malinconia per l’intera durata del film che, a tratti, è anche riuscito, ma la verità è che questo film fa acqua da tutte le parti, la recitazione è pessima e, cosa che stupisce più di ogni altra, è diretto, scritto, messo in scena, montato e fotografato in maniera imbarazzante. Anche in questo caso è un peccato, ma è arrivato anche il momento che si dicano le cose per come stanno, perché di certo un film sbagliato non mette in dubbio ciò che di buono c’è stato prima e – ancor più, ci mancherebbe altro – la persona.

2) L’Ordine del Tempo (Liliana Cavani)

Dopo Gabriele Salvatores e Pupi Avati, ecco un altro autore che, con l’età, ha finito per cadere rovinosamente. In questo caso però fa ancor più male perché stiamo parlando di Liliana Cavani, autrice di uno dei film più belli della storia del cinema italiano – Il Portiere di Notte – e di altre opere grandiose come I Cannibali o Al di là del Bene e del Male.

Dopo 20 anni dall’ultimo lungometraggio e 9 dal suo ultimo lavoro per la televisione, la Cavani torna dietro la macchina da presa con L’Ordine del Tempo, presentato in anteprima fuori concorso all’80esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Una di quelle cose a cui non si può credere, Liliana Cavani non può esserne l’autrice. Invece sì, è così e fa davvero malissimo notare come non sia altro che un film realizzato per andare successivamente in tv, con un comparto tecnico degno del peggior prodotto RAI, interpretato in maniera orrenda e talmente goffo che finisce per toccare anche una tematica come lo stupro in maniera talmente svogliata che risulta semplicemente inconcepibile.

1) Nuovo Olimpo (Ferzan Ozpetek)

Senza troppi giri di parole, Nuovo Olimpo di Ferzan Ozpetek è il peggior film italiano del 2023. Un film che più che un film sembra la copia sbiadita di un film, una bozza, un lavoro troppo svogliato per non pensare che sia stato lasciato a metà. C’è la coppia omosessuale ma l’omosessualità non è trattata, c’è l’eterosessualità ma anch’essa viene lasciata lì. Di sfondo, un paese che cambia, che passa dai terribili anni ’70 agli anni ’90, alternando dunque periodi di tempo che, però, non vengono mai approfonditi ma solo buttati lì, come per dire “ci sono”.

Nuovo Olimpo però – che è stato anche presentato in anteprima alla 18esima Festa del Cinema di Roma – non si limita ad essere un brutto film, un’opera non riuscita come ce ne sono ogni anno. Nuovo Olimpo prende in giro lo spettatore, dal più disinteressato al cinefilo. Non lo fa solamente da un punto di vista del racconto, ma anche di immagini: nella fase ambientata nel 1993 per esempio, i protagonisti Pietro ed Enea sono davanti alla tv e guardano Nella Città l’Inferno di Renato Castellani. Lo stesso film che i due, anni prima, avevano visto al cinema insieme, dunque fiume di ricordi e momento da lacrimuccia. Peccato però che le immagini del film passano a casa di uno con un formato, a casa dell’altro con un secondo formato. In ogni caso però, anche fosse stato lo stesso, non si tratta di quello che veniva utilizzato per i film dati in televisione all’epoca. Si scherza con le immagini, si prende in giro e non si ha rispetto dello spettatore, di chi alle immagini dà un valore, al cinema stesso, ed a farlo è chi non si sa come possa continuare a far parte di questo mondo perché, parlandosi chiaramente, un tale livello di disinteresse, svogliatezza e raggiro non lo si vede – questo per fortuna – molto spesso.