Articolo pubblicato il 4 Febbraio 2024 da Emanuela Di Pinto
Se c’è un problema che la pandemia ha causato nei set cinematografici di tutto il mondo è stato l’incredibile ritardo della produzioni e, logicamente, delle distribuzioni. Questo è stato uno dei drammi principali de Il Giro del mondo in 80 giorni, serie della BBC, proposta in Italia come una co-produzione nazionale ed inglese, che riprende il romanzo di Jules Verne cercando, in quale modo, di svecchiarne l’essenza nonostante continui ad ambientarlo nella sua epoca di riferimento. Dopo un’attesa di ben 2 anni (la serie è uscita in UK nel 2021), la Rai ha finalmente distribuito sui suoi canali e sul suo servizio streaming (se così può essere chiamato Rai Play) l’ennesimo adattamento di uno dei romanzi più letti e celebrati della storia non tradendone l’essenza ma, sfortunatamente, non riuscendo a superare quello che è il più grande, complesso, e fastidioso limite della sua opera originale: l’epoca in cui è stato scritto.
La trama de Il Giro del mondo in 80 giorni, serie a coproduzione internazionale BBC-Rai
Ricalcare la storia de Il Giro del mondo in 80 giorni, sembra quasi scontato: Phileas Fogg, facoltoso uomo inglese del ‘800, discutendo sull’avanzamento e sull’evoluzione delle nuove tecnologie, decide di accettare la scommessa di girare il mondo utilizzando i nuovi mezzi in appena 80 giorni. Nonostante la sua vita da uomo ricco che non ha mai avuto a che fare con queste questioni, Fogg decide di scommettere 20.000 sterline e di partire accompagnato dall’assistente Passepartout e dalla giovane Abigail Fortescue, giovane giornalista figlia di un importante personalità del mondo dell’informazione.
In continuità e coerenza con i personaggi che ha interpretato negli ultimi anni, David Tennant veste i panni dello strano, bizzarro ed improbabile protagonista, affiancato da Ibrahim Koma che presta il volto a giovane assistente e Leonie Benesch che interpreta la giornalista che seguirà Fogg nel suo viaggio. La serie prodotta dalla BBC non è il primo adattamento realizzato dei romanzi di Jules Verne. Oltre alla pellicola vincitrice di 5 Oscar nel 1956, è stata realizzata anche una miniserie nel 1989 con protagonista Pierce Brosnan e un film nel 2004 con Jackie Chan.

La recensione de Il Giro nel mondo in 80 giorni, un adattamento che non riesce a svecchiarsi
Il fatto che la storia sia stata raccontata per così tante volte e in così tanti modi diversi, rende, ovviamente, per il pubblico ancor più facile annoiarsi soprattutto se non vengono riproposti svecchiamenti o, quanto meno, variazioni capaci di creare nuove dinamiche tra i personaggi. Ciò che ha sempre sofferto il racconto de Il Giro del mondo in 80 giorni, è l’essere stato scritto in un epoca fortemente colonialista e non ancora capace di abbracciare un pensiero moderno o che, in qualche modo, possa essere assimilato alla modernità così come oggi la conosciamo. E’ proprio questo il grande difetto di questo ennesimo adattamento del romanzo di Jules Verne: non aver neanche provato a cambiare le cose o cercato di inserire all’interno della storia degli elementi che potessero rendere la storia meno polverosa e “già sentita”. Dover realizzare per l’ennesima volta un adattamento così conosciuto non sarà stata sicuramente una missione facile per gli sceneggiatori che, però, proponendo una storia di questo tipo hanno confermato una povertà di inventiva non indifferente.
Il Giro del mondo in 80 giorni, un’opera salvata dal carisma del suo protagonista
L’unico e vero punto forte della serie, contro una regia e una fotografia piatta che sembra far muovere i suoi protagonisti in delle ambientazioni d’epoca che hanno del già visto, è il suo protagonista. David Tennant si dimostra, come al solito, uno degli attori più carismatici e capaci della sua generazione, in grado di sostenere personaggi (anche scritti in maniera non eccellente) e di dargli un elemento di interesse che, in un modo o nell’altro spinge il pubblico a rimanere incollato allo schermo fino alla fine. Stesso discorso non può essere fatto per i suoi co-protagonisti che, fin dal primo istante, vengono totalmente divorati dalla sua presenza e dalla sua indole.
Ciò di cui soffre realmente Il Giro del mondo in 80 giorni, è una scarna caratterizzazione dei personaggi che sembrano essere interamente orientati verso Fogg e non sviluppati per portare avanti un proprio arco narrativo indipendente che non dipenda dalla sua presenza. Un modo di scrivere serie e personaggi abbastanza vecchio che, ormai, da anni non attecchisce più neanche in paesi come l’Italia dove la serialità procede a passi molto lenti.
Una serie che non riesce a mascherare gli intenti colonialisti della sua opera d’origine
Oltre a cadere per diverse volte nella trappola del white savior (il bianco salvatore), la serie non restituisce in alcun modo la grandiosità delle ambientazioni, uno degli elementi più importanti e caratteristici del libro. Londra e Parigi potrebbero essere tranquillamente la stessa città, senza mostrare elementi caratteristici, mentre alcuni paesaggi vengono mal proposti attraverso una CGI finta e che, in nessun modo, restituisce la grandiosità dei luoghi. Il Giro del mondo in 80 giorni, inoltre, non fa un minimo passo avanti per scrollarsi di dosso quell’identità colonialista che ha sempre fatto parte del romanzo di Verne. Parlando di un libro scritto nel 1800, sembra quasi scontato che, all’interno delle pagine siano presenti tutti quegli elementi che facevano parte della cultura europea in quel periodo storico: il bianco civilizzato e salvatore, il ricco uomo inglese pronto ad aiutare il popolo in difficoltà. Per quanto la serie si sforzi di eliminare ogni elemento di questo tipo, finisce per rimanere bloccata nelle sue stesse ragnatele: l’India che viene raccontata con un unico grande territorio fatto di povertà e fame (quando non era così), le persone del luogo che hanno la necessità di un salvatore straniero che li aiuti e via dicendo.
Insomma, nonostante il romanzo sia stato “ripulito” nelle puntate da tantissimi comportamenti xenofobi presenti nel racconto, l’intera miniserie, divisa in 8 puntate e realizzata in teatri di posa, soffre comunque di una storia vecchia che, per non tradire l’opera originale, si è deciso di non aggiornare. Sottotono, tra le sue fila, è sempre presente quella sottile aria di superiorità che molti adattamenti di opere letterarie così famose, sembrano volersi imporre rispetto ad altri che hanno puntato sulla riscrittura e sullo svecchiamento. Io sono un classico e nessuno ha il diritto di cambiarmi. Sappiamo, però, che molto spesso non funziona così.