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Navalny, la storia vera del dissidente russo protagonista del documentario premio Oscar

Il dissidente politico è morto il 16 febbraio in un carcere di massima sicurezza in Russia. Ma qual è la sua vera storia?
Navalny, la storia vera dell'oppositore russo protagonista del documentario

Parlare di democrazia, tutela dei diritti umani e libertà di vivere al giorno d’oggi sembra quasi scontato. La vera realtà è che, nonostante i decenni passati a combattere per la giustizia, la pace e la libera espressione, il mondo ci conferma essere il rimaneggiamento di errori che fanno parte in maniera costitutiva della storia umana. Già nel 1400 Macchiavelli aveva delineato la figura del Principe, un sovrano pronto a fare di tutto pur di arrivare ai propri obiettivi puntando anche ad un uso spregiudicato del potere sopprimendo ogni tipo di libertà. La geopolitica mondiale nel 2024 ci conferma quanto, nonostante siano trascorsi secoli dallo sviluppo di questa dottrina politica, ancora oggi il mondo è mosso da burattinai che non fanno altro che imporre il proprio volere. Quella volta, però, che qualcuno tenta attivamente di opporsi, l’opinione pubblica ne disegna una immagine quasi salvifica e leggendaria senza capire il vero motivo che lo ha portato a combattere. E’ il 2022 quando nei cinema di tutto il mondo arriva Navalny, documentario vincitore di un premio Oscar che racconta la vita del dissidente politico più famoso della storia contemporanea morto per cause naturali in una prigione di massima sicurezza in Russia lo scorso 16 febbraio.

Navalny, la storia vera del dissidente più famoso del pianeta

Quando si parla di Alexei Navalny bisogna sempre camminare in punta di piedi. La sua figura è diventata in breve tempo un mito per esser stato l’unico grande oppositore politico in grado di impensierire il regime creato in Russia dal presidente Vladimir Putin. Il modo in cui il dissidente è stato in grado di creare una comunicazione capillare tramite i social lo ha reso in breve tempo portavoce di un dissenso latente che, nonostante non venga mai reso pubblico, è sempre lì a covare nelle fondamenta della “Grande Russia” che Putin ha cercato di creare e plasmare. Mentre la geopolitica globale è in continuo mutamento e in uno dei suoi momenti di crisi peggiori con la Cina pronta a conquistare il suo ruolo di egemonia, l’Europa minacciata dall’interno e dai confini da una guerra e la possibilità che gli Stati Uniti con le prossime elezioni possano tornare ad una politica di stampo isolazionista, anche le narrazioni che i media fanno di determinati personaggi dimostrano quanto non si vada più alla base delle questioni ma si rimanga in superficie pur di trovare uno scudo dietro cui nascondersi.

Navalny, la storia vera dell'oppositore russo protagonista del documentario

Navalny, un documentario che racconta un simbolo

La vittoria agli Oscar 2023 del documentario che raccontava gli eventi successivi all’avvelenamento subito da Navalny nel 2020 e le indagini che ne seguirono fu un messaggio spiccatamente politico. Salvato in extremis in un ospedale di Berlino dopo una intossicazione causata da un agente nervino, Navalny è diventato baluardo della lotta alla libertà in Russia e della possibilità di costruire un nuovo paese in grado di allinearsi con il mondo moderno. Dopo la decisione di Navalny di tornare in Russia e il successivo arresto, l’Occidente ha portato avanti una vera e propria campagna per promuovere la sua liberazione nel nome dei principi di libertà di opinione, di espressione e manifestazione fondativi dell’ONU. Anche il documentario, in realtà, mette al centro quella che è l’immagine simbolo di Navalny che lo hanno trasformato in un vero e proprio eroe in Occidente: un blogger che aveva portato avanti indagini che avevano svelato l’enorme corruzione interna al governo di Putin.

Un mito nato per mano dell’Occidente

L’elemento “eroico” di Navalny, disegnato fin da subito dai media occidentali come l’oppositore politico filo-occidentale pronto a combattere per una nuova Russia e vero portatore dei diritti umani, è, probabilmente, uno dei più grandi casi di disinformazione degli ultimi anni. Navalny è diventato un manifesto non per le sue idee ma per il modo in cui è diventato vittima di un sistema antidemocratico e che, pur di non avere una voce fuori dal coro, preferisce eliminare ogni possibilità di libera espressione. Il modo in cui i media occidentali hanno delineato e mitizzato la figura di Alexei Navalny è la conferma di un circolo vizioso e di una propaganda mediatica che era già utilizzata durante i conflitti mondiali: se non riesci a combattere direttamente il nemico fallo utilizzando un mezzo senza dare effettivamente valore al messaggio che sta trasmettendo. E’ la logica dei mass media che si è dimostrata fallace fin dal primo secondo anche in questo caso poichè questo approccio ha fatto dimenticare realmente chi fosse Alexei Navalny.

Ritratto di un uomo controverso

La sua morte ha causato le reazioni indignate dei più grandi leader politici che hanno parlato di lui come un emblema della lotta per la democrazia e dei diritti umani. Idee che, mettendo sotto la lente di ingrandimento le sue reali posizioni politiche, erano ciò che di più lontano ci potesse essere nel suo approccio all’accoglienza e all’uguaglianza. Navalny, infatti, è stato fondatore del partito ultranazionalista Narod che aveva come proprio manifesto una politica anti-immigrazione. Attraverso il suo ottimo utilizzo dei social e la comunicazione molto efficace sul web, Navalny si era fatto portatore di una idea politica che si opponeva in maniera totale a molte minoranze interne allo stato russo come i georgiani o i musulmani del Caucaso. Il suo partito, già nel 2008, si alleò con due realtà neonaziste che fomentavano ancor di più una politica d’odio nel paese. I tanti episodi di aggressione nei confronti di stranieri vennero sempre giudicati in maniera positiva da Navalny che, più volte, lì definì coloro che venivano da altri paesi come dei “cancri” da estirpare.

Navalny, la storia vera dell'oppositore russo protagonista del documentario

Alexei Navalny, l’uomo dietro l’eroe dell’Occidente

Le sue posizioni politiche portarono a gravi problemi anche con Amnesty International che, dopo il suo arresto avvenuto nel 2021, non acconsentì a dargli lo status di “prigioniero di coscienza”. L’organizzazione, infatti, impone questa etichetta a tutti coloro che trovano privata la propria libertà a causa di opinioni o posizioni politiche. In questo gruppo vengono escluse tutte quelle personalità che istigano a discorsi d’odio o a idee fondamentalmente razziste. Le tante pressioni ricevute dai governi internazionali hanno portato Amnesty a dover addirittura riformulare la definizione dello status per dare la possibilità a Navalny di usufruirne.

La realtà è che si dovrebbe fare una importante distinzione per poter riuscire a capire a pieno il valore che la figura di Alexei Navalny ha avuto nella politica internazionale. Da una parte c’è l’uomo, dissidente, privato della propria libertà e di ogni dignità umana a causa delle proprie idee e protagonista di una morte del quale si indagherà e si scriverà sui libri di storia per anni. Dall’altro c’è il personaggio politico disegnato dal mondo intero come il volto giusto di una nuova Russia democratica che, in realtà, lui non aveva mai neanche lontanamente idealizzato. Il caso Navalny è solo l’esempio più eclatante di un fenomeno di mitizzazione che sembra essere necessario per le democrazie occidentali. Un nascondersi dietro al problema senza avere il coraggio e la forza politica di poter parlare dicendo la verità. Insomma, Alexei Navalny è stato una pedina politica dell’Occidente fin dall’inizio e, forse, ce ne siamo accorti troppo tardi.