Recensione – Halo: la Caduta di Master Chief nella seconda stagione della serie Paramount

Se la prima stagione aveva l’inevitabile compito di mettere le carte in tavola, per presentare trama, ambientazioni e personaggi, la seconda dovrebbe entrare nel vivo con maggior incisività per sfruttare al meglio una macrotrama dall’enorme potenziale. Peccato che ciò non accada.
La recensione della seconda stagione della serie Paramount Halo

Articolo pubblicato il 24 Marzo 2024 da Vittorio Pigini

Con i primi 2 distribuiti da Paramount+ l’8 febbraio, la seconda stagione di Halo conta 8 episodi, l’ultimo dei quali è stato rilasciato il 21 marzo e prende il nome direttamente dalla stessa serie live-action.

Recensione di Halo: la trama della seconda stagione della serie Paramount

La seconda stagione di Halo riprende, in stretto collegamento, dagli avvenimenti che hanno concluso la prima. Successivamente infatti allo scontro tra il Silver Team e le forze Covenant su Raas Kkhotskha, e la seguente separazione tra John e Cortana, il gruppo viene mandato su Sanctuary per cercare di salvare quanti più civili possibili da un nuovo assalto. I Covenant, infatti, sono sempre più vicini ed agguerriti.

Nel frattempo, a Reach, arriva il sostituto della dottoressa Halsey, l’agente dell’ONI James Ackerson, che fin da subito inizia a prendere di mira John ritenuto ormai una potenziale minaccia per la salvezza, in seguito agli esperimenti apportati su di lui e agli ultimi avvenimenti collegati a Makee. Nonostante lo scetticismo generale alle parole di John, quest’ultima è in realtà ancora viva e ha stretto una forte alleanza con l’Arbiter, principale rappresentante religioso, militare e politico dei Profeti. Le forze in gioco si muovo e tra conflitti all’interno delle autorità politiche e agli stessi SPARTAN, il nemico è ormai alle porte di Reach per la sua caduta, con John che dovrà combattere contro tutti e contro se stesso per impedirlo.

La trama e recensione della seconda stagione della serie Halo

Halo, la recensione: la Caduta di Master Chief

<<Non ci sono le tute!>> è una semplice frase che viene pronunciata in un determinato momento della stagione e sembrerebbe un riferimento innocuo che, tale purtroppo, non è. Già perché, la “mancanza della tuta” per il personaggio di John, rappresenta la pietra tombale per chi avrebbe preferito un certo tipo di adattamento della celebre saga videoludica in versione live-action. Si entrerà infatti nel merito della recensione a prescindere dal materiale originale, ma in questo momento si è costretti a sottolineare quanto siano state anche fatali le libertà ed arbitrarie prese di posizione adottate nello sviluppo di questo prodotto sul piccolo schermo.

Master Chief, uno dei personaggi più iconici ed influenti nel mondo dell’intrattenimento videoludico, perde sempre di più ad ogni episodio il ruolo di protagonista, per una serie che si impegna maggiormente a dare spazio ad altri personaggi quali Kai, Makee e il suo rapporto con l’Arbiter (che sarebbe un altro personaggio determinante) e la fazione di Laera e Soren. Ciò non sarebbe di per sé un male, essendo necessario e funzionale che in una serie tv vengano presentati altri personaggi principali con le relative sottotrame, ma resta il fatto che il protagonista resta il protagonista. Ad ogni apparizione, quello che dovrebbe essere il grande eroe del racconto – non solo con riferimento al materiale originale, ma anche nella presentazione fatta durante la prima stagione – risulta particolarmente inutile ai fini della trama, non incidendo né sul campo di battaglia né nelle relazioni umane.

Un Chief irriconoscibile (casco a parte) ma, al di là di questo, un personaggio che non riesce mai ad entrare in empatia con lo spettatore: altezzoso, egoista, vendicativo, inutilmente ed eccessivamente tragico e senza nemmeno la capacità di lasciare un’impronta decisiva sul campo di battaglia. Il valore di Chief nei combattimenti viene, infatti, relegato alla fortuna del “tiro di una moneta” e non al formidabile soldato e carismatico leader che dovrebbe essere. Giusto nell’ultimo episodio John si ricorda un minimo del suo ruolo (anche su suggerimento di un cartellone pubblicitario), guarda caso nei momenti action più efficaci, guarda caso quando indossa il “casco”. Quest’ultimo fattore, dello scarso minutaggio del personaggio con indosso la sua iconica tuta, va infatti oltre il semplice rammarico del fan della saga videoludica, ma fa perdere la peculiare caratteristica della rappresentazione e poetica della “maschera”.

Ogni supereroe ha infatti la sua, non solo per fattori estetici ma anche e soprattutto narrativi, a seconda del personaggio. Così Chief si presenta come un tutt’uno con la sua tuta, una macchia da guerra con dei sentimenti, arma ed umano, in poche parole uno SPARTAN, lo SPARTAN. Dall’equazione della “ritrovata eroicità del personaggio” si tira fuori il momento finale dell’incontro con l’Arbiter: fuori luogo sia nell’economia del materiale originale e sia nello sviluppo mostrato nella serie nel dualismo tra uomo e soldato, tra ordini e liberto arbitrio (alla domanda “cos’è un soldato che non può più combattere?” il nuovo Master Chief avrebbe dovuto rispondere tutt’altro).

Libertà narrative che non solo fanno perdere molto del senso dell’atmosfera fantasy e fantascientifica di Halo (il semplice esempio di una famiglia ispanica nello spazio del XXVI secolo che recita il Padre Nostro e parla a tavola di discorsi legati al fascismo e comunismo), ma risultano anche una grande occasione persa. Finalmente, dopo 17 episodi della serie che prende il suo nome (statistica fastidiosamente ingombrante), Halo entra in scena, sebbene venga spoilerata praticamente la sua natura e funzione ancor prima di metterci un piede sopra. Così facendo viene di fatto vanificata anche la valenza e profondità poetica del Grande Viaggio dei Covenant, concetto praticamente sacrificato in favore del maggiore scambio tra Makee e l’Arbiter, per una minaccia intergalattica comunque sempre con il contagocce nei vari episodi della stagione.

Occasione persa anche per la mitologia legata al Demone: non più il terrore dei Covenant per il formidabile soldato che vince in guerra tutte le battaglie, ma riferito più a secolari profezie ed una misteriosa natura “mistica”. Altro grandissimo spreco anche per la presentazione dei Flood, presentati decisamente troppo presto e ridotti a “semplici” infetti, vittime di misteriose spore. In questo caso, tuttavia, l’idea e la libertà presa non sarebbe da condannare a prescindere, mantenendo riserve su come si svilupperà l’utilizzo di una “razza” particolarmente determinante nell’economia della macrotrama di Halo. Una vena horror comunque accattivante e dall’ottimo potenziale per la prossima stagione.

Halo, la recensione: una prolissa serie quasi action e quasi fantascientifica

Al di là dell’operazione di adattamento live-action del materiale originale, il problema principale della seconda stagione di Halo risiede principalmente sempre nella sceneggiatura, in particolar modo nello stile di sviluppo narrativo. Se alla prima stagione il carico di lavoro, per allestire al meglio l’ambientazione ed il coinvolgimento narrativo, risulta inevitabile oltre che necessario, nella seconda stagione si dovrebbe già iniziare ad entrare veramente nel vivo. Ciò, purtroppo, non avviene quasi mai e, quando capita, le modalità lasciano decisamente a desiderare.

Innanzitutto si vuole fare riferimento all’eccessiva verbosità di un prodotto d’intrattenimento che nasce principalmente come esperienza action fantascientifica (sparatutto) dove, a parlare, sono principalmente i campi di battaglia e le imprese leggendarie del suo eroe protagonista. Il voler prediligere invece gli scambi e scontri interpersonali, sguardi ed intense conversazioni non sarebbe di per sé un male naturalmente, anzi, in determinati casi potrebbe rivelarsi l’arma vincente, soprattutto in una macrotrama come quella che avvolge le avventure di Master Chief che presenta un grande materiale da narrare. Purtroppo non è questo il caso.

La verbosità della seconda stagione di Halo è infatti particolarmente prolissa: si parla davvero molto e la brillantezza dei dialoghi lascia molto a desiderare, con frasi fatte e ripetitive, spesso prive di logica e razionalità. Oltre al registro che lascia poco spazio all’azione, altra sbavatura è la scrittura dei personaggi. Se il protagonista come accennato è completamente fuori posto nel suo sviluppo (anche la professoressa Halsey, la mente più brillante, viene troppo spesso superata in intelligenza e lucidità), gli altri personaggi più o meno principali non sono da meno, con diverse sottotrame che vengono presentate ma che, al momento, non riescono a catturare lo spettatore per fascino ed interesse, tanto delle stesse quanto dei protagonisti che, troppo spesso, si perdono nell’anonimato.

Il difetto più grande però della stagione resta la totale incapacità di gestire i climax narrativi. Quello che dovrebbe essere uno degli eventi più importanti della macrotrama di Halo, ovvero la Caduta di Reach, perde completamente l’epicità drammatica del fenomeno. Il climax creato per il quarto episodio (esattamente a metà stagione), si sgonfia infatti in modo anche inaccettabile: un episodio che non solo registra la sconfitta degli umani e la perdita di un intero pianeta, ma anche un evento che ribalta i presupposti di trama che viene praticamente mostrato off-screen, senza un degno peso del sacrificio e della perdita.

Stessa sorte per l’incredibile anticlimaticità dell’ultimo episodio di stagione, “Halo” appunto, che restituisce proprio l’impressione che manchi ancora qualcosa al termine della stagione e non che ci si trova dinanzi la sua conclusione. Tanto lo scontro con l’Arbiter, quanto la gestione dei flood – e soprattutto l’incontro di Chief con l’Oracolo, in una sorta di flashforward che verrà semplicemente ripreso con la prossima stagione – non restituisce il minimo hype allo spettatore per i prossimi episodi che arriveranno chissà quando.

Recensione seconda stagione serie tv Paramount Halo

Halo, la recensione: un bellissimo giocattolo senza anima

A seconda dell’adattamento o delle linee arbitrarie in sede narrativa, la seconda stagione di Halo risulta quindi senza anima, senza una caratterizzazione efficace che riesca a suscitare un sentito e profondo coinvolgimento con lo spettatore. In questo non gioca sicuramente a favore il lavoro del cast, in particolare del protagonista Pablo Schreiber che, sebbene possa essere funzionale rispetto alle sue condizioni psicofisiche (almeno nei primi episodi), quasi azzera fatalmente il livello di emotività con un’interpretazione caricaturale ed esagerata, tanto nei momenti di maggior vigore quanto in quelli più silenti, accompagnato da un broncio invincibile.

Particolarmente caricaturale anche l’interpretazione della Makee di Charlie Murphy, mentre il resto del cast si pone con alti e bassi sui livelli di guardia. Un giocattolo quindi senza un’anima vincente quello della serie di Halo, ma comunque un giocattolo a cui riconoscere i suoi lati migliori. Sebbene troppo marginale, la parte action gode visivamente di un aspetto estetico decisamente più curato nella costruzione dell’immagine rispetto alla prima stagione, la quale comunque si presentava già molto bene. Dalla loro presenza centellinata, i Covenant restano gli elementi generalmente migliori di tutta la serie, tanto nel character design quando nelle relazioni tra i personaggi.

La serie, prodotta anche da Steven Spielberg e sotto la supervisione di 343 Industries, fa dell’esperienza visiva il suo cavallo di battaglia, con ottimi effetti speciali, una costruzione fotografica e scenografica molto efficace ed una colonna sono dai temi incisivi, specialmente per cercare di restituire una vena epica al narrato. Peccato che poi torna la gestione del prodotto, chi si siede a “giocare” con questo bellissimo giocattolo. Oltre alle interpretazioni eccessivamente cariche o scariche (a seconda del personaggio), una sceneggiatura superficiale e banale, un montaggio troppo spesso prolisso e soporifero, a fare danni è anche la regia dei vari episodi intesa proprio come stile di ripresa.

Debs Paterson, Craig Zisk, Otto Bathurst e Dennie Gordon si spartiscono reciprocamente 2 episodi da dirigere a testa, accomunati (chi più chi meno) da una regia troppo spesso caotica e confusionaria. Saltano infatti all’occhio troppi virtuosismi dediti spesso a curare dinamici (e falsi) piano-sequenza che, se nelle scene action possono risultare anche funzionali per incrementare il tasso di spettacolarità – nonostante la visione diventi a tratti nauseante – nelle linee di dialogo questi si mostrano semplicemente come sovrabbondanti e portatori di instabilità, cosa che non giova sicuramente al pathos e alla tensione di determinati momenti che cercherebbero di essere emotivi.

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La recensione e la locandina della seconda stagione di Halo
Halo
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Dopo la presentazione fatta nella prima stagione, la seconda dovrebbe entrare veramente nel vivo dell'azione. Ciò non avviene e, quelle poche volte, le modalità lasciano decisamente a desiderare. Si privilegia la struttura verbosa di personaggi anonimi ed un protagonista irriconoscibile.

Voto del redattore:

4 / 10

Data di rilascio:

08/02/2024

Regia:

Debs Paterson, Craig Zisk, Otto Bathurst e Dennie Gordon

Cast:

Pablo Schreiber, Shabana Azmi, Olive Gray, Yerin Ha: Kwan Ha, Kate Kennedy, Charlie Murphy, Jen Taylor, Bokeem Woodbine, Natascha McElhone

Genere:

drammatico, azione, avventura, fantascienza

PRO

L’esperienza visiva resta generalmente uno spettacolo per gli occhi.
La colonna sonora funziona adeguatamente.
Il materiale originale viene tradito senza arbitrarie prese di posizione che vengano curate esaustivamente
Una sceneggiatura cadenzata, prolissa e senza una scrittura efficace dei personaggi
Un cast che non riesce a far suscitare emozioni, specialmente il suo protagonista
Regia troppo spesso confusionaria ed instabile