Cerca
Close this search box.

La recensione di Parasyte: The Grey, la serie netflix ispirata al manga di Hitoshi Iwaaki

Ispirata al manga “Kiseiju l’ospite indesiderato” di Hitoshi Iwaaki, su Netflix ha debuttato il 5 Aprile “Parasyte the Grey”. Sarà riuscito questo adattamento a convincerci nell’epoca della riscoperta del cinema e della serialità coreana?
La recensione di Parasyte the Grey serie netflix

Il 5 Aprile ha debuttato su Netflix Parasyte: The Gray. La serie di sei puntate ispirata al manga Kiseiju – L’ospite indesiderato di Hitoshi Iwaaki si pone come il secondo adattamento live action della famosa serie manga. A dirigere il progetto troviamo Yeon Sang-ho, regista noto ai più per il suo Train to Busan e Seoul Station del 2016. Sarà riuscito questo nuovo adattamento targato netflix a tenere testa ad una materia originale così sfaccettata? In quest’epoca di riscoperta del cinema e della serialità coreana, porsi questa domanda è tutto fuorché banale. Cerchiamo quindi di trovare una risposta, tenendo in considerazione gli altri adattamenti e sviluppando un discorso tanto complesso quanto coerente. Vi presentiamo la recensione di Parasyte: The Gray, la nuova serie netflix coreana ispirata al manga di Hitoshi Iwaaki.

La trama di Parasyte: The Grey

Prima di procedere con la recensione, vi proponiamo la trama di Parasyte: The Gray. Una sinossi necessaria per sviluppare le nostre riflessioni:

Dei parassiti alieni scendono sulla terra, entrando nel cervello umano e prendendone il controllo causando numerosi morti durante un festival musicale. Jeong Su-in si ritrova per una serie di circostanze sfortunate a convinvere con un parassita che si infiltra in lei, non riescendo a prenderne il controllo totalmente. Verrà a conoscenza di un organizzazione che sta tentando di neutralizzare la minaccia parassitaria, e di un culto misterioso.

La recensione di Parasyte the Grey serie netflix

La recensione di Parasyte: The Grey

Cosa ha reso il manga di Hitoshi Iwaaki e il suo adattamento così popolari? Una risposta potrebbe ritrovarsi nel concetto di “pastiche”. Iwaki sapientemente prende ispirazioni da grandi filoni della narrativa popolare e li unisce con maestria con il collante del “racconto di formazione”. Troviamo il filone Nagaiano di Devilman dove il confine fra demoni e umani viene demolito dimostrando quanto siano simili. Troviamo l’horror, in particolare quello estremo fatto di mostri e creature bizzarre tanto caro alla cultura pop nipponica. Troviamo anche la cultura pop americana con l’invasione degli ultracorpi ed in generale concetti sviscerati dal maestro Philip K. Dick. Unite il tutto in un contenitore etichettato come “metafora della crescita” ed otterrete un pastiche incredibile. Perché si cita questo? Perchè ovviamente in Parasyte: The Gray potete dimenticarvi di tutto questo. O meglio lo troverete, ma banalizzato e semplificato in maniera sconcertante.

Nella serie si ha la costante impressione di trovarsi davanti alle cutscene di un videogame action-horror. Sensazione amplificata dal comparto tecnico decisamente plastico e da una fotografia inspiegabilmente accesa. Ogni concetto è spiegato allo spettatore, non c’è la minima volontà di lavorare per immagini o suggestioni. Basta considerare come elementi che nella serie originale venivano suggeriti e costruiti per l’intera durata della narrazione qui vengono dichiarati allo spettatore. Il problema principale, tuttavia, è Jeong Su-in. Qui il parassita interagisce con lei in una modalità alla Jekyll e Hyde poco interessante, forse incastrandosi nel dramma interiore del “sentirsi un’altra persona” tanto caro agli adattamenti netflix. Portare un concetto del genere ad un “dramma teenage-style” può avere un senso, in particolare se si pensa al pubblico di riferimento. A mente fredda però, rimane una banalizzazione sulla quale diventa difficile soprassedere, soprattutto considerando la mole di concetti buttati nella mischia.

La recensione di Parasyte the Grey serie netflix

Considerazioni finali su Parasyte: The Grey

Il titolo italiano ci viene in soccorso: in Kiseiju la zona grigia di grigio c’è ben poco. Tutto è semplificato, tutto è ridotto ad una contrapposizione dichiarata e banalizzata. L’empatia non è di casa, e tutti i personaggi ad eccezione del villain (esagerato ma proprio per questo divertente) diventano figurine interscambiabili. Non si lascia spazio a suggestioni, se non ove il reparto produttivo vuole che tu debba farlo. I parassiti morti diventano statue di pietra, il cane da caccia (dal design notevole, bisogna riconoscerlo), i dialoghi interiori fra parassita ed umano e tante altre scelte discutibili. Non basta un briciolo di violenza in più rispetto alla media e un dramma personale di abuso domestico a salvare la nave dall’affondare. Almeno non finchè tutto è trattato con questa superficialità.

Se cercate qualcosa di leggero e di poco ambizioso la serie può fare al caso vostro, ma in caso contrario no. A questo punto il consiglio spassionato è di rivolgere lo sguardo agli ingredienti del pastiche originale o all’adattamento animato e live action del manga. Nemmeno sul fronte action c’é molto da dire, il cinema coreano ha offerto esempi decisamente più meritevoli (un Park Chan-wook per citarne uno mainstream). Per concludere mi vorrei soffermare per un secondo senza spoiler sul finale, che disperatamente tenta di risollevare l’attenzione del pubblico. Un colpo di scena realizzato con l’agilità e la disperazione di un rigore calcistico colpito con un putter. Interessante e divertente forse, ma che non riesce a rimuovere l’amarezza di fondo su cosa Parasyte: The Gray poteva essere. Che gran peccato, davvero.

0,0
Rated 0,0 out of 5
0,0 su 5 stelle (basato su 0 recensioni)
Parasyte: The Gray
Parasyte: The Gray

Un gruppo di misteriose creature parassite che cadono dallo spazio e iniziano a ospitare umani, uccidendoli e creando una propria fazione.

Voto del redattore:

4 / 10

Data di rilascio:

05/04/2024

Regia:

Yeon Sang-ho

Cast:

Jeon So-nee, Koo Kyo-hwan, Lee Jung-hyun

Genere:

Action, Horror, Fantascienza

PRO

Spunti narrativi interessanti
Intrattenimento con poche pretese garantito
Superficialità narrativa totale
Comparto tecnico poco riuscito