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Pride Month: i migliori film da vedere sulla tematica

In occasione del Pride Month abbiamo selezionato quelli che per la redazione di Quarta Parete sono i migliori film da vedere sulla tematica: la classifica.
Pride Month: i migliori film a tema da vedere

Il cinema, come tutte le altre arti, fornisce l’opportunità di seguire delle appassionanti storie sul grande schermo. I film rappresentano un’occasione tangibile per riflettere su se stessi e sull’umanità in quanto narrano di vicende personali e collettive, per cui il più delle volte è possibile apprendere qualcosa in più in termini sociologici, psicologici e politici. Esistono tantissimi prodotti a tema, dunque ogni ricorrenza può essere celebrata anche tramite il cinema, ed è il caso del Pride Month. A giugno si potrebbero infatti vedere i migliori film sull’argomento: segue la nostra selezione di titoli consigliati.

Una giornata particolare (1977), di Ettore Scola

Che cos’è in fondo una giornata paragonata a una vita intera di una persona? Se pensiamo ad un misero anno, che cosa è un giorno se paragonato agli altri 364? Umberto Eco parlando di classici e memoria dice una cosa sublime: i momenti felici passano veloci, quelli vuoti sono interminabili. Eppure quando ci troviamo a tirare le somme della nostra vita, i ricordi vuoti svaniscono, quelli che all’epoca erano volati ora diventano i segnali di una vita piena e ben vissuta. Scola inquadra perfettamente questo concetto, parlando di femminilità e di omosessualità. Mette al centro il dramma della vuotezza della vita, ma che in una singola giornata particolare trova la sua condizione di esistenza. Una confessione genuina, che diventa umana comprensione. Un film perfetto per combattere il dramma di chi tenta di sminuire certe questioni legate al nostro passato.

Cruising (1980), di William Friedkin

Che William Friedkin sia uno dei registi più capaci di sempre si sapeva, ma in pochi conoscono quest’opera. Cruising ci porta nei club per omosessuali, luoghi oscuri e controversi dove convivono libertà e perversioni. In quella terra di confine gira un noir metropolitano sublime, dove l’immagine è sempre protagonista del racconto. Seppur non fosse l’intento del regista, il film riesce a raccontare alla perfezione un sentimento preciso: il pericolo. Che sia una malattia mortale, un serial killer, la discriminazione, l’atto della penetrazione in sé nella sua forma violenta (quasi una coltellata) non importa. Ogni frame di Cruising e la sua stessa storia produttiva sono testimonianze importanti, che indagano nelle profondità dell’animo. Il tutto culmina con un finale inquietante, dove uno spettatore non eterosessuale potrebbe quasi pensare “ecco, mi ha trovato, ora mi ucciderà”. Mai come in questo caso è il film a guardare noi, non il contrario.

Querelle de Brest (1982), di Rainer Werner Fassbinder

Quando si parla di cinema tedesco, i nomi che vengono subito alla mente sono quelli di Wim Wenders e Werner Herzog, pionieri e figure fondamentali all’interno della storia della settima arte. Eppure, c’è un regista fondamentale che oggi sembra ormai essere dimenticato e che ha segnato in maniera indelebile la storia del cinema: Rainer Werner Fassbinder. Il regista nato nel piccolo comune di Bad Wörishofen ha avuto una carriera certamente più breve – nato nel 1945, ha diretto film per un breve arco temporale, dal 1969 al 1982 – ma non per questo meno pregna di significato e qualità. Una carriera conclusasi inoltre con uno dei suoi più grandi capolavori e pietra miliare del cinema queer, ovvero Querelle de Brest.

L’opera fu presentata in anteprima alla 39esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pochi mesi dopo la morte del regista e l’allora presidente di giuria Marcel Carné tentò in tutti i modi di consegnargli il più ambito dei premi, senza però incontrare il parere unanime dei suoi colleghi, portando il Leone d’oro sì in Germania, ma nelle mani del precedentemente citato Wim Wenders, per il comunque magnifico Lo Stato delle Cose. Querelle de Brest è uno dei lavori più importanti di Fassbinder, regista sempre troppo poco citato ma ancora oggi influente e che, in un certo senso, con quest’opera ha anticipato di decenni Dogville di Lars Von Trier: nonostante il film del regista danese vada poi in un’altra direzione, Querelle è infatti barocco, estremo, antirealistico in quanto girato in un teatro di posa e che non ha paura di mostrare sesso, prostituzione e droga. Ciò lo portò ad un divieto ai minori ed a tagli per circa 110 minuti di girato in Italia, ma resta un film enorme che, si spera, possa così essere (ri)scoperto.

Philadelphia (1993), di Jonatham Demme

Il cinema di Jonathan Demme si è più volte mosso fra le aule dei tribunali americani. Forse perché in America il tribunale è un vero e proprio show, o forse perché nella loro cultura è una delle massime istituzioni. Nelle aule di Philadelphia si manifesta il dramma dell’AIDS, quella che per decenni è stata più che una malattia. L’HIV è un marchio che finisce col distruggere una vita, ancor prima che la morte sopraggiunga. Se questa malattia per molti era segnale di promiscuità sessuale e di vita, nel film di Demme tutto rispecchia questa condizione di fragilità. Si agisce quando è troppo tardi, ci si ricrede quando il danno è stato fatto. Philadelphia per molti ha fornito una nuova prospettiva su un tema delicato, e molto probabilmente è riuscito a sensibilizzare gli spettatori. Philadelphia è dunque un film importante con un cast fuori di testa che andrebbe assolutamente riscoperto.

Uomini uomini uomini (1995), di Christian De Sica

Nel 1995 esce nelle sale il quarto film di Christian de Sica, garantendosi aspre critiche. Alcuni puntano il dito contro l’implausibilità delle caratterizzazioni, altri individuano in alcune situazioni del grottesco di cattivo gusto. Sono passati 29 anni, il mondo è diverso, l’omosessualità è diversa. Apri Grindr, dopo pochi minuti ti rendi conto che alcune cose non sono per niente cambiate. Uomini uomini uomini fotografava con una lucidità disarmante alcuni dei drammi dell’omosessualità, ed oggi ha ancora qualcosa da dire. Comportamenti sbagliati ma spesso plausibili segnano la vita di chi non ha avuto la fortuna di vivere serenamente la sua sessualità. Scorretto, volgare, inquietante e profondamente umano. La spiaggia in cui è ambientata una delle scene del film si fa teatro del momento più spaventoso, ma allo stesso tempo del dialogo più rincuorante, diventando una montagna russa emotiva: quella del finale, se vogliamo.

Happy Together (1997), di Wong Kar-wai

Che Wong Kar-wai sia uno dei più importanti registi nella storia del cinema mondiale, non è in alcun modo discutibile. Nonostante il suo peso specifico, il suo nome non è però noto a tutti ed i film per cui viene ricordato sono sostanzialmente due: In the Mood for Love e Happy Together, ovvero gli unici due film con cui l’autore nato a Shanghai è riuscito a trionfare in ambiti festivalieri internazionali e, per l’esattezza, al Festival di Cannes. Se il primo vinse il Prix d’Interpretation Masculine, con il secondo arrivò invece il Prix de la Mise en Scène per la miglior regia.

Happy Together è probabilmente il più grande film queer nella storia del cinema asiatico e non poteva non essere presente all’interno di questa selezione dedicata al Pride Month. Un’opera che parla attraverso i corpi dei protagonisti, costantemente delimitati e vincolati dagli spazi che li circondano, che si tratti della stanza in cui vivono o del loro posto di lavoro. Probabilmente, ad essere stretta era la Cina stessa, tanto da portare il regista a dirigere il film in Argentina, come una via di fuga da un territorio troppo spesso complicato ed oppressivo. Che dire poi del fulcro della pellicola, la struggente storia d’amore tra Lai Yiu-fai (Tony Leung Chiu-wai) e Ho Po-wing (Leslie Cheung) sulle note di Frank Zappa e dei The Turtles. Un capolavoro assoluto, un’opera universale che, siamo sicuri, farà breccia nel cuore di ogni spettatore.

Mulholland Drive (2000), di David Lynch

Considerando il periodo storico in cui questo film viene portato sullo schermo, Mulholland Drive costituisce senz’altro uno dei lungometraggi più importanti in cui venga affrontata la tematica LGBT. Parliamo di David Lynch e, inevitabilmente, la questione dello sguardo rappresenta l’atteggiamento principale da parte del regista che, in effetti, costruisce un noir in cui le caratteristiche del genere si intravedono anche attraverso la figura della “femme fatale”, abilmente portata avanti per gran parte del film. La decostruzione del sogno, però, costituisce un’ulteriore chiave di lettura: non soltanto c’è un rapporto che viene esplicitamente mostrato sullo schermo – un passo in avanti rispetto alle rappresentazioni ambigue a cui Mulholland Drive strizza l’occhio -, ma anche una riqualificazione delle figure femminili, fino ad un rovesciamento e ad un disvelamento dei corpi e delle immagini. L’omosessualità in Mulholland Drive, allora, non è solo un accessorio del film, bensì un elemento fondante della pellicola su cui muove anche una feroce critica lynchiana mossa verso il mondo hollywoodiano e il suo modo di mostrare e mostrarsi. 

I segreti di Brokeback Mountain (2005), di Ang Lee

I segreti di Brokeback Mountain è sicuramente uno dei film suggeriti per l’occasione perché l’opera di Ang Lee parla di un intenso amore proibito tra i due cowboy interpretati da Heath Ledger e Jake Gyllenhaal, due attori in grado di restituire una certa profondità emotiva durante tutto l’arco del racconto. Poiché le vicende si ambientano partendo dal Wyoming degli anni ’60 e percorrendo un lasso di tempo prolungato, viene in più occasioni messo in risalto il problema sociale di un’epoca dalla mentalità culturalmente chiusa, per cui sono costretti a rinunciare ad una loro ipotetica relazione e tornano a casa dalle rispettive mogli. Dunque, I segreti di Brokeback Mountain risulta un film struggente capace di mettere in risalto la passione, le sofferenze e le gioie che la vita può riservare.

A Single Man (2009), di Tom Ford

Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore inglese Christopher Isherwood, A Single Man è il film che segna l’esordio alla regia di Tom Ford in cui l’approccio alla tematica dell’amore omosessuale è insolita e anti-lieto fine. Infatti, la storia non segue il normale sviluppo della vita tra il protagonista professore universitario George e Jim, interpretati rispettivamente da Colin Firth e Matthew Goode, tracciandone le tappe fondamentali che segnano lo sbocciare della loro passione, al contrario inizia proprio dalla fine ossia con l’incidente mortale in cui Jim rimane coinvolto. Sconvolto da questo evento traumatico, George dovrà convivere con la sua nuova (non) vita, costretto a fare i conti con una nuova compagna, ossia la solitudine, nonché con il fantasma del suo defunto compagno aspettando il momento in cui finalmente potranno ricongiungersi.

La vita di Adele (2013), di Abdellatif Kechiche

Un film che vive di dettagli, sfumature, progressi personali e interpretazioni straordinarie delle due protagoniste Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux, La vita di Adele si è rivelato essere un ritratto intimo e suggestivo di una ragazza alla scoperta della propria sessualità. Spesse volte ci si interroga sul significato dell’amore, e in un certo qual senso il film vincitore della Palma d’Oro è un viaggio emotivo, sincero e sensibile nel fornire, per quanto possibile, delle risposte ai famosi dilemmi esistenziali. Inoltre, si assiste a un’evoluzione dei personaggi sul piano psicologico ed affettivo.

Pride (2014), di Matthew Warchus

Nel 2014 il cineasta britannico Matthew Warchus (Inganni Pericolosi, 1999 e Matilda, 2022) dirige Pride, un film che mescola commedia e dramma, presentato al 67° Festival di Cannes e vincitore della Queer Palm. La storia narrata ha luogo nel 1984, in occasione della famosa parata e marcia LGBT, un giovane attivista della Young Communist League decide di avviare una raccolta fondi a sostegno della lotta e del lungo sciopero dei minatori, i quali criticano la chiusura di diversi giacimenti carboniferi che causerebbero il licenziamento di migliaia di minatori. Mark, l’attivista interpretato da Ben Schnetzer, assieme ad altri sei compagni dell’associazione, tra cui gli attori Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West, Paddy Considine, Andrew Scott e George MacKay, fonda il “Lesbians and Gays Support the Miners” dando vita ad un vero e proprio legame di solidarietà tra loro e i lavoratori di un piccolo paesino minerario del Galles. Pride è un titolo che affronta differenti tematiche, raccontando una storia di libertà, diritti e amore attraverso uno spaccato di un’epoca, che finisce però per influenzare la generazioni successive.

The Danish Girl (2015), di Tom Hopper

La libera interpretazione degli eventi che hanno riguardato la vita di Lili Elbe – la seconda persona ad essersi dichiarata transgender, la prima ad aver effettuato un intervento di riassegnazione genitale – e Gerda Wegener permette, a The Danish Girl, di essere sicuramente uno dei film più importanti da vedere durante il Pride Month. Il motivo per cui lo si cita non è di natura immaginifica, bensì storica: il lungometraggio, con un perfetto Eddie Redmayne protagonista, presenta tutte le peculiarità tali per parlare di consapevolezza LGBT e comprensione di quegli eventi che, nella storia dell’umanità, hanno portato alcune personalità a diventare fondamentali per la nascita di un movimento o per il consolidamento di un’identità sociale. 

Carol (2015), di Todd Haynes

Film estremamente elegante, Carol di Todd Haynes riesce perfettamente nel suo intento di esporre le difficoltà di vivere un amore omosessuale nella New York degli anni ’50. Le due donne protagoniste, interpretate da Cate Blanchett e Rooney Mara, sono molto diverse tra loro in termini caratteriali, ed entrambe le attrici svolgono un lavoro minuzioso di caratterizzazione espressiva e psicologica. Il risultato finale è un’opera tesissima, come solo un thriller sentimentale raffinato ed elegante sa essere, in grado perfettamente di restituire l’idea astratta e al contempo tangibile del desiderio pur di andare contro le convenzioni sociali.

Tangerine (2015), di Sean Baker

Tangerine è uno dei lungometraggi comunemente riconosciuti come tra i migliori dell’interessantissimo cineasta Sean Baker, recente vincitore della Palma d’Oro con il suo Anora. Si tratta di un film appassionante, girato esclusivamente con l’ausilio di un iPhone ma non per questo povero di idee nella costruzione dell’estetica e dell’emozione trasmesse dalle persone transgender a Los Angeles. Tangerine è da vedere assolutamente durante il Pride Month in quanto profondamente commovente e finemente umoristico.

Mademoiselle (2016), di Park Chan-wook

Uno dei thriller più angoscianti, seducenti e ipnotici che si possano vedere tra i migliori film sulla tematica in occasione del Pride Month, poiché Park Chan-wook ricostruisce con amara consapevolezza la Corea degli anni ’30, divisa tra amore e inganni. Assistere alle vicende qui rappresentate significa immergersi in un’ambientazione e in un’atmosfera cinematograficamente mozzafiato, sentimentalmente complessa. Mademoiselle appare dunque un’opera sensibile, audace e senz’altro coraggioso nella messa in scena.

Moonlight (2016), di Barry Jenkins

Film passato in sordina per l’imbarazzante equivoco accaduto agli Oscar con lo scambio di buste, Moonlight è in realtà un’opera complessa sia cinematograficamente parlando che in termini psicologici. Infatti, la narrazione e la messa in scena di Berry Jenkins sono al servizio dell‘esplorazione identitaria del protagonista in tre fasi differenti della sua vita, raccontando così le difficoltà vissute in prima persona da un ragazzo afroamericano. Il conflitto è prima di tutto individuale ed è legato all’accettazione e alla consapevolezza della propria sessualità, ma parallelamente c’è spazio per l’analisi umana. Alla luce di quanto descritto, e con una colonna sonora a dir poco poetica, Moonlight si erge a opera abile nel celebrare la forza dello spirito umano mentre sfida le convenzioni.

Chiamami col tuo nome (2017), di Luca Guadagnino

Come solo Luca Guadagnino sa fare, Chiamami col tuo nome è un film sensuale, corporale, intenso ed emotivamente struggente. Timothée Chalamet offre una performance a dir poco memorabile, e con Armie Hammer si genera una chimica epidermica, quasi atemporale per la potenza trasmessa dall’amore vissuto dai due, eppure limitata alla sola stagione estiva perché Oliver deve sposarsi a breve e le convenzioni sociali dell’epoca – di un’Italia di fine anni ’70 – sarebbero state ciniche nei loro confronti. Guadagnino, come premesso, mette al centro non solo i reciproci e graduali sentimenti come se fossero un climax ascendente che emerge piano piano, ma allo stesso tempo pone i corpi degli attori come canalizzatori emotivi.

Dolor y Gloria (2019), di Pedro Almodóvar

Celebre per la sua filmografia profondamente permeata dall’amore carnale e sessuale, svelando le mille sfaccettature della passione a trecentosessanta gradi, nel suo Dolor y Gloria Pedro Almodóvar scopre se stesso con un’opera particolarmente personale, autobiografica in quanto la narrazione gravita intorno alla vita e alla crisi creativa di un regista, meravigliosamente interpretato da Antonio Banderas che riesce abilmente a esprimere e trasmettere la contraddittorietà del suo personaggio tra fragilità e forza, e perciò maggiormente sentita. Il tutto è vivacizzato dalla regia multicolore di Almodóvar, che elimina le barriere temporali narrando gli eventi con salti continui tra passato e presente, senza però confondere o spaesare. Dolor y Gloria è dunque una creazione artistica, un meta-film che rende omaggio non solo al cinema in sé, ma anche in quanto concetto di arte generale, così come alla potenza del ricordo e alla forza che dà agli esseri umani nel loro costante sforzo di lottare contro se stessi e gli altri alla ricerca di un’identità in cui riconoscersi e sentirsi semplicemente se stessi.

Ritratto della giovane in fiamme (2019), di Céline Sciamma

Come i dipinti che fungono da motore narrativo all’interno del film, allo stesso modo potremmo definire Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma un’opera sublime di pura eleganza e incondizionata passione tra una pittrice e la sua modella, interpretate rispettivamente da Noémie Merlant e Adèle Haenel, nella Francia del XVIII secolo. Entrambe le attrici prestano il loro corpo per metterlo a disposizione di interpretazioni forti e altamente emotive, le quali, pennellata dopo pennellata, dipingono la passione permeante il film. Il tutto abilmente nelle mani della metaforica pittrice Céline Sciamma, che con il suo tocco fine e poeticamente minuzioso per la regia, riesce a immortalare nella cornice di ogni quadro-scena l’effimera meraviglia e delicatezza intima di ciascun momento trascorso insieme. Ritratto della giovane in fiamme è dunque un film che si incendia di tematiche appassionanti e profonde che bruciano della stessa fiamma quali l’amore incondizionato, l’arte e la libertà, imprescindibili gli uni dagli altri.

Titane (2021), di Julia Ducournau

Alla regia del suo secondo film la francese Julia Ducournau passa alla storia per essere la prima donna a vincere la Palma d’Oro, in occasione del 74° Festival di Cannes. La regista riesce nell’impresa attraverso un titolo coraggioso e feroce come Titane che, dopo aver addentato l’evoluzione alimentare (oltre che al disagio giovanile) nel precedente Raw, torna ad affrontare tematiche sociali sempre nell’ottica femminista, ma non solo. Se il film del 2016 rispolvera in modo illustre il cannibal-movie, Titane si appoggia inevitabilmente sul body-horror caro al cinema di David Cronenberg, sconvolgendo lo spettatore con le sue derive surreali e grottesche. Il tema principale di Titane resta infatti la fluidità, l’evoluzione e la libertà della propria identità, non solo per la sua protagonista Alexia, ma anche dello stesso personaggio interpretato da Vincent Lindon, chiamato a fare i conti con la propria età. Al di là della profondità tematica impartita dalla sceneggiatura della stessa regista, ad ammaliare è sicuramente una visione tanto cruenta quanto elegante, che punta su una messa in scena dal forte impatto immaginifico e infine una coppia di protagonisti tanto sofferenti quanto eccezionali nella loro personale prova recitativa.

Aftersun (2022), di Charlotte Wells

Come dichiarato in più sedi, Aftersun di Charlotte Wells rappresenta un prodotto fortemente autobiografico, in cui la vita e il dolore della regista vengono portate su schermo attraverso le straordinarie interpretazioni di Paul Mescal e Frankie Corio. Accanto all’universo tematico del film, attraverso il quale si parla di depressione, di dinamica genitoriale, di rapporto padre-figlia e della grandissima importanza dell’immagine – attraverso la quale si può rivivere – la (propria) storia, Aftersun si concede anche una parentesi importante a tema LGBT. Non solo, infatti, la Sophie ormai adulta vive con una donna, di cui si può soltanto intravedere la sagoma, ma anche in un altro passaggio il film mostra come il momento dell’omosessualità sia stato vissuto da parte della regista: una scoperta, che negli occhi di Sophie passa attraverso l’osservazione di una coppia queer che si bacia, di se stessi, che costituisce anche l’approccio più netto e puro verso la tematica trattata.

Close (2022), di Lukas Dhont

Quella raccontata in Close di Lukas Dhont è la storia commovente e delicata di formazione di due ragazzi adolescenti – Léo e Remi – e l’evoluzione della loro crescente, non priva di difficoltà, amicizia. Quello che credevano essere un legame incorruttibile, intaccabile, ora si ritrova a dover fare i conti con i pregiudizi di una società bigotta e dalle continue pressioni che ne conseguono. Nel raccontare la complessa crescita, non solo fisica dei due ragazzini ma anche del maturare del loro rapporto parallelamente al trascorrere del tempo e l’irrigidimento della società in cui vivono, Dhont tocca con minuziosa sensibilità le tematiche delicate e ne riporta i sentimenti dei protagonisti con estrema naturalezza tipiche della fanciullezza, leggiadramente interpretati dai due giovani attori. Close è un’opera delicata, che porta sul grande schermo l’universalità dell’amore, la fragilità dei rapporti umani, la crisi identitaria e la nuova scoperta di sé sempre rispettando ciò che si possiede in fondo al cuore.

Povere Creature! (2023), di Yorgos Lanthimos

Benché in molti possano storcere il naso con una selezione di questo genere, non si può fare a meno di includere anche Povere Creature! nell’ambito dei film che sono da vedere durante il Pride Month. A dire il vero, però, il film permette di sviscerare totalmente la tematica LGBT attraverso una grande pluralità di sguardi; non solo, infatti, il rapporto più formativo e fondativo dell’identità di Bella Baxter è omosessuale, con Toinette, ma c’è anche un qualcosa di più, nel film di Yorgos Lanthimos, che permette di rendere Povere Creature! universale nel suo sguardo e nel suo messaggio. Il sesso, tanto criticato per la sua estrema presenza, rappresenta in realtà un elemento determinante del film e dell’intera storia umana che Povere Creature! porta con sé, e Bella Baxter, che riesce ad impugnare perfettamente la sua identità passo dopo passo, vive (ovviamente) anche l’omosessualità, in una vita segnata da elementi che vanno dal dominio al possesso, passando per la conoscenza del socialismo e del superamento del fallimento capitalista. Un film completo, sotto tutti i punti di vista, in cui la tematica LGBT non poteva che essere espressa. 

Bottoms (2023), di Emma Seligman

Secondo lungometraggio della giovane regista, con Bottoms Emma Seligman presenta nuovamente il suo biglietto da visita di intraprendente audacia con un film in cui a essere protagoniste sono delle ragazze lesbiche del liceo le quali, per conquistare i loro amori adolescenziali, decidono che è arrivato il momento di fondare un club scolastico per ragazze per allenarsi a difendersi. Così come le sue protagoniste, la regia di Emma Seligman assorbe questa fresca fanciullezza e ne fa obiettivo principale per caratterizzare la sua rilettura svecchiata del genere teen comedy. Il tutto è facilitato dalla irriverente naturalezza delle interpretazioni di Rachel Sennott e Ayo Edebiri che instaurano un duo comico indimenticabile. Sfruttando come canale brillanti espedienti comici, Bottoms si fa baluardo della diversità sessuale e dell’importanza dell’amicizia, al fine di abbattere quelli stereotipati pregiudizi che affliggono la società contemporanea e perciò si pone come una commedia che sa portare alla riflessione profonda di tematiche più delicate.

Estranei (2023), di Andrew Haigh

Quando si parla di dover fare i conti con i propri fantasmi personali, il film Estranei di Andrew Haigh è l’esempio lampante che fa al caso. Tratto da un romanzo, il film racconta la parabola di un amore gay tra due ragazzi, interpretati da Andrew Scott e Paul Mescal, i quali, afflitti dalle proprie insicurezze e paure, lottano con il timore di ferirsi l’uno con l’altro. Quella raccontata in Estranei rientra tra le amate narrazioni del regista Andrew Haigh costruite sulle basi autentiche dell’evolversi dei sentimenti scaturiti dai suoi personaggi. Grazie alle interpretazioni dei due attori, lo spettatore riesce a immergersi non solo nella passione travagliata della coppia, ma anche nella tensione che ne deriva creando momenti ansiogeni di alta suspence. Estranei è dunque un film che fa riflettere sulla precarietà delle relazioni umane e di quanto a volte è il nostro essere persone, con le fragilità e pregi, a renderci estranei ma allo stesso tempo terribilmente simili gli uni con gli altri.