Presentato in anteprima mondiale alla quarantottesima edizione del Annecy International Animation Film Festival e distribuito in tutto il mondo direttamente sulla piattaforma digitale Netflix a partire dal 14 giugno 2024; ispirato al franchise di Ultraman ideato da Eiji Tsuburaya. Ma qual è il risultato di Ultraman – Rising? Di seguito la trama ufficiale e la recensione del film d’animazione.

La trama di Ultraman – Rising, il film animato di Shannon Tindle

Di seguito la trama ufficiale di Ultraman – Rising, diretto da Shannon Tindle:

“Ken Sato, una star del baseball, torna in Giappone per diventare l’ultimo eroe a indossare il mantello di Ultraman. I suoi piani, tuttavia, vanno male quando è costretto ad allevare come suo figlio un mostro kaiju appena nato, discendente del suo più grande nemico. Sato dovrà anche fare i conti con suo padre e con i piani della Forza di Difesa Kaiju.”

La recensione di Ultraman – Rising, distribuito su Netflix

«Da grandi poteri derivano grandi responsabilità» è forse tra le più celebri citazioni provenienti dalla cultura supereroistica assimilate dalla cultura pop; se per Peter Parker la frase pronunciata dallo zio Ben in punto di morte ha significato una presa di coscienza diretta, Ken Sato invece ha subito le conseguenze di tale consapevolezza, condizionando per molti anni il suo rapporto col padre, caratterizzato dal rancore e dal senso di abbandono per una causa più grande.

Contro quelle che potrebbero essere le aspettative generali, la pellicola animata in questione decide di focalizzarsi sulla crescita e sulla caratterizzazione del proprio protagonista: un ragazzo celebre per la sua carriera sportiva, un vero e proprio divo, divorato dalla solitudine e dal risentimento verso la figura paterna, che gli impedisce di comprendere appieno quale percorso nella vita debba intraprendere. La famiglia è quindi il cuore pulsante della tematica, un nucleo in grado di formarsi nel più stravagante possibile, ma soprattutto un processo di riconciliazione basato sullo “scambio” di ruoli, infatti, solamente diventando genitori si possono capire appieno i rispettivi genitori, poiché la prospettiva muta radicalmente, insieme alle priorità e alle abitudini della giornata.

La carenza maggiore sta nel costruire attorno una solida struttura narrativa: troppo spesso si cade in forzature evidenti, non giustificabili solamente perché la tecnica del film è animata, con situazioni lasciate parecchio al caso e ricorsi al finto colpo di scena troppo vistosi e ripetitivi da risultare stucchevoli; in particolare andava assolutamente approfondito meglio il rapporto tra Ken e Ami Wakita, quest’ultima fondamentale tassello per l’evoluzione del personaggio ma a conti fatti resta sacrificata, rimanendo nelle retrovie in maniera ingiustificata appunto in proporzione al ruolo giocato.

L’aggravante sta nel fatto che la durata non è affatto esigua, centoventi minuti pieni non sono usuali per prodotti di tale genere; perciò, bisognava sfruttare meglio il tempo a disposizione per sviluppare il legame tra i due personaggi; per quanto riguarda il villain il discorso non cambia granché, di base predomina la pretestuosità nella sua esistenza, però quantomeno si nota un tentativo di resa tridimensionale della personalità, in un contesto per nulla innovativo, anzi.

Sul fronte tecnico nulla da eccepire, l’animazione è fluida, con dei character design alquanto accattivanti, sequenze dinamiche e visivamente piacevoli; l’azione si concentra nella parte finale del terzo atto, sicuramente ben eseguita ed equilibrata nel minutaggio, senza cadere nell’esagerazione o nello spettacolo fine a sé stesso, riuscendo così a divertire.