Articolo pubblicato il 11 Luglio 2024 da Bruno Santini
Il 18 gennaio 2002 venne distribuito nelle sale italiane Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello, film scritto e diretto da Peter Jackson successivamente al suo cult Sospesi nel tempo con Michael J. Fox. Il titolo, che vede protagonista un ricchissimo cast come Elijah Wood, Ian McKellen e Viggo Mortensen, non solo ha conquistato cinematograficamente critica e pubblico per la sua realizzazione tecnica ed il suo coinvolgimento narrativo, ma ha segnato un vero punto di non ritorno anche fuori dagli sterminati confini del grande schermo.
La trama di Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello, primo film della trilogia di Peter Jackson
Su sceneggiatura dello stesso regista, in stretta collaborazione con Fran Walsh e Philippa Boyens, La Compagnia dell’Anello è il primo film dell’ormai leggendaria trilogia di Peter Jackson su Il Signore degli Anelli, basata sull’omonimo romanzo epico fantasy di J. R. R. Tolkien. Il titolo del 2002 regala, sul grande schermo, quelli che sono i primi passi del protagonista Frodo nell’epopea per distruggere l’Unico Anello e sconfiggere una volta per tutte l’Oscuro Signore Sauron.
Dalla solare Contea alle ceneri infernali di Mordor il viaggio è tuttavia interminabile e sempre più insostenibile, con la Terra di Mezzo ricca di insidie e fatali minacce. Il giovane hobbit avrà infatti bisogno di una Compagnia che possa sostenerlo nel corpo e nello spirito, avendo però la certezza di poter contare sul suo leale amico Sam.

La recensione di Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello: l’epico viaggio dell’eroe sul grande schermo
Compito assai arduo quello di restringere un’analisi, il quanto più completa possibile, su un unico frammento di un colossale ed unitario progetto, come quello che ha visto dare luce all’Olifantica produzione de Il Signore degli Anelli. Sebbene infatti l’opera di Jackson sia da intendere un unico film diviso in 3 parti/tempi, è anche vero che La Compagnia dell’Anello rispecchierebbe di per sé alcuni canoni che tenderebbero maggiormente a distinguersi rispetto agli altri 2 film.
Con questo primo titolo, infatti, non vi è “solo” onere ed onore nel presentare innanzitutto il magico mondo ideato da Tolkien, ma vi è anche la necessità di impostare la struttura di quello che è un vero e proprio viaggio dell’eroe. Soprattutto nella letteratura, il monomito è sempre stato un punto fermo della narrativa d’avventura più importante, dai Classici fino ai giorni d’oggi, arrivando puntualmente anche sul grande schermo. Innumerevoli sono infatti i titoli di spicco per questa precisa categoria, che potrebbe sì concentrarsi su un immaginario fantasy (come per Il mago di Oz o Guerre Stellari), ma potrebbe riguardare anche una realtà più concreta e reale. Non è sicuramente quest’ultimo il caso di La Compagnia dell’Anello, dato che Jackson si dimostra capace di sprigionare da ogni inquadratura l’amore verso il fantastico e la profonda ammirazione per il grande Classico creato da Tolkien.
Al fine di approcciare nel migliore dei modi la visione in tal senso, corre a sostegno infatti una delle introduzioni forse più epiche mai ammirate sullo schermo, nella quale una voce – tanto risoluta quanto angelica – si appresta a portare a termine una missione praticamente sullo stesso livello del protagonista del racconto: riassumere in 7 minuti uno dei momenti cruciali della macromitologia ideata da Tolkien, dalla creazione dell’Unico Anello alla fine della Seconda Era. La liricità della narrazione e la possanza delle immagini permettono allo spettatore, già prima dell’inizio vero e proprio del film, di imboccare il viaggio dall’unico binario possibile, ovvero quello dell’epica.
Mantenendo sempre il focus sul lato cinematografico, Il Signore degli Anelli riesce infatti a rendere tangibili miti e leggende attraverso nobili storie ereditarie, guerre e conflitti dagli eserciti indomabili, Dei, Re, stregoni ed ogni sorta di creatura titanica e possente dalla più variegata natura, che siano deflagranti troll di montagna o immortali spettri dell’Anello. La particolarità forse più importante ed affascinante di La Compagnia dell’Anello è infatti quella che, proprio in questo mondo enorme e splendente, l’eroe in viaggio è il più piccolo fra le tante razze presenti, un hobbit, un semplice mezzuomo senza poteri magici o leggendarie dinastie alle spalle, abituato alla tranquilla vita di campagna ed a fumare erba pipa con i suoi amici.
Il destino del mondo e di tutti sono così sulle spalle del giovane Frodo, il quale si ritrova coinvolto in una missione talmente tanto grande per lui da non averne nemmeno idea. Nel presentare infatti la macromitologia della Terra di Mezzo La Compagnia dell’Anello, a differenza degli altri 2 film della Trilogia, mette infatti totalmente in primo piano il personaggio interpretato da Elijah Wood, ammirando le meraviglie e le terribili minacce attraverso i suoi ingenui occhi di ghiaccio. Una soluzione registica molto specifica da parte di Jackson e squadra, che permette infatti una maggiore immedesimazione con il personaggio protagonista lungo il suo cammino.
Restringendo proprio al minimo, il già citato viaggio dell’eroe si comporrebbe però di 3 parti: l’inizio della missione e la conoscenza della Compagnia di viaggio, gli ostacoli e le trasformazioni psicofisiche, il termine del viaggio ed il ritorno a casa. Rimandando gli ultimi 2 aspetti ai rispettivi film, La Compagnia dell’Anello – come anche indicato dallo stesso titolo – assurgerebbe quindi ad immettere nel racconto quella prima parte. L’altro aspetto infatti fondamentale, per un’opera come Il Signore degli Anelli, è la sua natura squisitamente interrazziale nel concetto di unione, travalicando anche e soprattutto le faide e le ostilità interne, per ribellarsi e contrastare un potere autoritario volto ad oscurare qualsiasi cosa (rappresentando solo uno degli aspetti che lascia non poche “perplessità” riguardo l’appropriazione culturale, adottata da esponenti di partiti estremisti dell’ultimo secolo, sull’opera di Tolkien).
Il Nemico è tornato ed è ormai alle porte, il mondo sta per perdere la sua linfa vitale e i membri di tutte le razze, classi ed etnie della Terra di Mezzo stanno per perdere la propria libertà individuale e collettiva. Per far fronte alla minaccia di Mordor il Consiglio raduna così una libera spedizione per la libertà, composta da uomini, elfi, nani…ed hobbit. Così come per l’eroe Frodo, La Compagnia dell’Anello non perde occasione di presentare in modalità più o meno gloriose proprio i coraggiosi membri di questa improbabile squadra, con lo spettatore messo in condizione di poter empatizzare con ognuno di loro.

La recensione di La Compagnia dell’Anello: primo assaggio di una magnificenza sensoriale unica
Proprio quello dei personaggi presentati e descritti ne Il Signore degli Anelli resta uno degli elementi che più ha permesso, in particolare per questa Trilogia, di raggiungere successo ed acclamazione universale. Rimanendo in questo contesto, uno degli aspetti più spettacolari ed ammirabili dell’operazione mastodontica messa su da Jackson sta proprio nel fatto di aver “pescato” interpreti praticamente sconosciuti al grande pubblico.
Tranne nel caso della “vecchia guardia” rappresentata da Sir Christopher Lee, Ian McKellen ed Ian Holm, per il resto del grande cast si trattò per la maggior parte della prima vera prova sul grande schermo al tempo dell’inizio delle riprese nel 1999. Così fu per gli “hobbit” Elijah Wood, Sean Astin, Billy Boyd e Dominic Monaghan, ma anche per il definitivo lancio di carriera per Viggo Mortensen, Cate Blanchett, Sean Bean (che si rende protagonista di una delle sequenze più emozionanti dell’intera trilogia, ovviamente con il “suo” modus operandi preferito), Orlando Bloom e Hugo Weaving (in attesa di Andy Serkis).
La speciale chimica tra attori e personaggi sul set riesce ottimamente a convincere e ad essere restituita sul grande schermo, con tutti gli interpreti che risultano decisamente perfetti per il ruolo, per fortuna o sfortuna di coloro fra questi che non sono riusciti a scrollarsi da dosso l’ingombrante etichetta che rimane incisa in produzioni di questo tipo. Ciò permette così di registrare non solo un certosino lavoro di casting, ma anche la nota alquanto “amara” di come, tra gli innumerevoli Oscar ottenuti dalla completa Trilogia, non ve ne sia nemmeno 1 in riferimento alle performance di attori ed attrici.
Ciò che, inoltre, accomuna i tre film della Trilogia nella campagna Oscar è poi la vittoria del premio per i Migliori Effetti Speciali. Da questo preciso punto di vista, Il Signore degli Anelli rappresenta forse per la storia del cinema il punto più alto mai raggiunto e conseguentemente di non ritorno. Con ciò non si vuole affermare come questi siano i migliori mai realizzati, anche perché – specialmente per questa categoria – occorrerebbe considerare inevitabilmente fattori economici e tecnologici in continua evoluzione. Si vuole “semplicemente” riconoscere come il rapporto di utilizzo/incisività e meraviglia tecnico-visiva degli stessi effetti sia forse ancora oggi inarrivabile per il cinema fantastico, nonostante produzioni recenti si siano decisamente avvicinate all’obiettivo come ad esempio la saga di Avatar e quella di Dune.
Con l’inizio del nuovo millennio Il Signore degli Anelli rappresenta così il perfetto “anello” (non a caso) di congiunzione tra l’effettistica artigianale/analogica e quella digitale, specialmente per quanto concerne il lungimirante lavoro svolto in campo di miniature e prospettiva forzata. Vero è che la sconfinata meraviglia visiva degli altri 2 capitoli della Trilogia, che tendono ad ampliare l’impatto scenografico tra eserciti e costruzioni imperiali, viene qui “ridotta” in maniera forse più essenziale. Oltre all’eccellente direzione della fotografia di Andrew Lesnie, impossibile comunque non lasciare fuori il colpo d’occhio offerto da Gran Burrone, dal passo di Caradhras o da tutta la leggendaria parte ambientata nella tetra Moria (Balrog annesso), protagonista con un “divieto d’accesso” di uno dei momenti più iconici e rappresentativi del cinema. Tuttavia, nel confronto con i prossimi titoli, La Compagnia dell’Anello tenderebbe ancora a privilegiare interni, “semplici” aree boschive e rurali dell’esaltante Nuova Zelanda, in continuità con il funzionale discorso del “viaggio dell’eroe”, con Frodo che dalla semplice e tranquilla Contea sta solo iniziando a scoprire per la prima volta le meraviglie della Terra di Mezzo.
Lavoro altrettanto incisivo quello svolto direttamente sui personaggi, dagli splendidi costumi all’incredibile arte di Peter Owen e Richard Taylor (premiati con l’Oscar) nella realizzazione del Trucco ed Acconciatura, dando vita reale anche alle creature fantastiche. Ad aver portato la statuetta a casa è anche Howard Shore, storico collaboratore di David Cronenberg e Peter Jackson oltre ad aver realizzato colonne sonore per altri grandi autori come Scorsese e Tim Burton, che qui inizia ad orchestrare delle sinfonie impattate con prepotenza non solo nell’immaginario collettivo ma proprio nella storia del cinema. Se Il Signore degli Anelli rappresenta infatti forse l’emblema dell’epica sul grande schermo, è anche grazie soprattutto alla sua colonna sonora sacrale ed imponente, che con il suo primo film regala già soundtrack indimenticabili, come Concerning Hobbits e The Ring Goes South su tutte, che verranno comunque riprese, modificare e riadattate in seguito con profonda maestria.