I film con titoli di canzoni

Cosa succede quando la musica non solo incontra il cinema per accompagnare la visione, ma diventa il suo biglietto da visita? Vi proponiamo una lista di film che hanno come titolo quello di alcuni brani musicali famosi.
Di seguito i film che presentano come titolo quello di canzoni celebri

Articolo pubblicato il 17 Luglio 2024 da Arianna Casaburi

La musica ha da sempre svolto un ruolo importante nella storia del cinema, soprattutto nei suoi esordi a partire dai primi film muti in cui il sonoro costituiva l’unica fonte di suono a dare un’ulteriore livello di significato oltre a ciò che si poteva osservare scorrere davanti agli occhi sul grande schermo. Tuttavia, ci sono dei casi in cui, i brani musicali non solo sono asserviti alla costruzione narrativa di un prodotto cinematografico, bensì costituiscono la fonte di ispirazione da cui viene ripreso il titolo del film stesso. Seguono i film che hanno un titolo ripreso da quello delle canzoni, riportati in ordine crescente dal più datato al più recente.

Stand By Me (1986), di Rob Reiner

Oltre a essere un titolo perfetto da vedere in estate, Stand By Me è il film che apre la lista dei film proposti che presentano come loro titolo quello di una canzone del panorama musicale internazionale. Infatti, il lungometraggio eponimo deve il suo nome al brano R&B-soul “Stand By Me” del 1961 interpretato da Ben E. King. Inoltre, il riferimento alla canzone è doppiamente citazionistico in quanto inserita come colonna sonora che si adatta perfettamente alla trama. Nel film infatti un gruppo di amici di bambini che si divertono a essere adulti si ritrovano, dopo aver trovato un cadavere di un ragazzo, a starsi vicini – per l’appunto – gli uni con gli altri e poi vedere le loro strade dividersi crescendo.

Velluto blu (1986), di David Lynch

Misterioso ed eccentrico come solo lui o i suoi film possono essere, Velluto blu di David Lynch è un racconto che ha inizio tramite il ritrovamento di un orecchio in un campo sperduto da parte di un uomo che lo porta a indagare su una donna affascinante che lavora come cantante in un nightclub e su i criminali responsabili del rapimento di suo figlio. La canzone da cui è tratto il titolo del film di Lynch, “Blue Velvet” è originariamente di Bobby Vinton del 1963, ma nel film è eseguita dalla stessa protagonista femminile che canta nel locale interpretata da un’ammaliante Isabella Rossellini.

Pretty Woman (1990), di Garry Marshall

Probabilmente il titolo che ha ufficialmente reso celebre Julia Roberts come attrice e volto cinematografico, accompagnato dall’iconico Richard Gere, Pretty Woman è un film che prende piede come commedia leggera e spensierata per poi tingersi anche di sfumature drammatiche e tematiche più delicate e sensibili, che ha come protagonisti una ragazza di strada che viene salvata da un uomo facoltoso più grande di lei, finendo per innamorarsi l’una dell’altro. Il brano da cui è tratto il titolo del film “Oh, Pretty Woman” del 1964 di Roy Orbison descrive perfettamente la figura della protagonista femminile interpretata da Julia Roberts, una vera femme fatale che da essere vestita in modo eccentrico ed eccessivo, passa ad avere un’eleganza seduttiva tutta acqua e sapone.

Dazed And Confused (1993), di Richard Linklater

Ambientato nel 1976, Dazed And Confused è il racconto di un gruppo di ragazzi delle superiori del Texas nel loro ultimo giorno di scuola, che si concentra sulla figura di Randall Floyd, un giovane astro del football che fa uso di cannabis e che deve vedersela con il suo allenatore che lo tiene sotto controllo per la sua salute, e diventa un problema nel momento in cui chiede al ragazzo di fargli la promessa di non fare uso di droga. L’espressione stessa usata come titolo del film “dazed and confused” fa proprio riferimento allo stato mentale e fisico successivo all’uso di sostanze stupefacenti, in cui si prova una sensazione di spaesamento e confusione, mentre nella canzone originale suonata dai Led Zeppelin si usa come metafora di un abuso, stavolta non di droghe, ma, sentimentale.

Boys Don’t Cry (1999), di Kimberly Peirce

Boys Don’t Cry è un lungometraggio delicato che affronta la tematica tabù del cambio di identità sessuale della protagonista Teena Brandon, interpretata da una straordinaria Hilary Swank, che sceglie di cambiare sesso e diventare uomo con il nome di Brandon Teena. Oltre a essere un film di formazione, si tratta anche di un road trip movie in cui il viaggio si pone come metafora di quello interiore alla scoperta di sé e per trovare il vero amore. Il titolo del film è ripreso dalla canzone del gruppo musicale The Cure “Boys Don’t Cry” del 1979 in cui il frontman e cantautore della band punk-rock esprime la sua difficoltà a trattenere le lacrime dopo aver ricevuto una delusione amorosa, per via dello stereotipo che “i ragazzi non piangono”. Nel film questa canzone calza a pennello perché esprime il paradosso generale per cui i ragazzi non dovrebbero piangere perché simbolo di mancanza di virilità, aspetto che segna la figura di Teena per il suo cambio di sesso.

American Pie (1999), di Paul Weitz

Divenuto celebre e un cult per gli adolescenti dei fine anni ’90-inizi anni 2000 per alcune delle sue scene o frasi iconiche e irriverenti, American Pie è una teen comedy incentrata su un gruppo di ragazzi delle scuole superiori in America i quali, nel tentativo senza risultati di perdere la loro verginità, ricorrono ad altri rimedi, prima di effettivamente attuare il loro piano di perderla tutti insieme in attesa di andare all’università. Mentre la canzone originale “American Pie” di Don McLean del 1971 resta alquanto criptica per il suo significato, ma nello specifico l’espressione è stata dichiaratamente inventata dal cantautore stesso e dovrebbe essere una parola macedonia composta da “Miss America” e “americana come una torta di mele”, nel film è una citazione alla torta di mele in cui i giovani ragazzi si divertono a sfogare i loro desideri sessuali.

Across The Universe (2007), di Julie Taymor

Pur non risultando un film di chissà quale qualità o che spicchi per qualche elemento innovativo, Across The Universe resta pur sempre un titolo da citare in quanto rappresenta un discreto esempio di come a volte si possa rappresentare e rendere omaggio alla carriera di una band leggendaria che ha fatto la storia della musica quali i Beatles, adattandola a un musical contemporaneo con protagonisti due giovani ragazzi innamorati Jude – non a caso ripreso da un’altra canzone dei Fab 4 “Hey, Jude” – e Lucy nei tumultuosi anni ’60, quindi aderente al titolo di “Across The Universe” come il brano dei Beatles 1964, in quanto esplora gli eventi che hanno sconvolto il mondo, come sfondo della storia d’amore.

Mamma Mia! (2008), di Phyllida Lloyd

Una commedia musicale sgargiante e spumeggiante quella presentata in Mamma Mia!, il film che vede Meryl Streep come protagonista, in quanto madre single che sta organizzando gli ultimi preparativi prima del matrimonio di sua figlia in Grecia, a cui sono stati invitati anche i suoi tre ex mariti appositamente dalla ragazza per scoprire finalmente quale sia il padre biologico. Il titolo del film riprende quello dell’iconico brano musicale del 1975 della band svedese ABBA “Mamma mia!”, che simula perfettamente la narrazione inscenata del film in un’atmosfera tra lo stupore e l’euforia.

Perfect Days (2023), di Wim Wenders

Fin dalla sua distribuzione nelle sale italiane a inizio anno, Perfect Days si è aggiudicato, con la sua estrema semplicità della poetica del quotidiano, un posto tra i film usciti nel 2024 che hanno saputo esprimere quel senso di meraviglia ed emozione da lasciare lo spettatore a bocca aperta. I “perfect days” indicati nel titolo del film – che riprende in una forma qui pluralizzata dei “giorni” il brano musicale “Perfect Day” di Lou Reed del 1972 – fanno riferimento alle giornate che si susseguono sullo schermo dell’uomo protagonista, Hirayama, che compie gesti di piccola quotidianità come svegliarsi all’alba per innaffiare i suoi amati fiori, radersi la barba prima della sua lunga giornata di lavoro come addetto alla pulizia dei bagni pubblici di Tokyo, per poi a fine giornata dedicarsi alla lettura, all’ascolto della musica e ad altre passioni.

Fly Me To The Moon (2024), di Greg Berlanti

Quando non ci si aspetta nulla da un prodotto e si finisce per apprezzarlo per la sua semplice originalità e chiarezza degli intenti e leggera ironia è sempre una piacevole sorpresa. Questo accade con Fly Me to the Moon, la commedia romantica ispirata liberamente alla storia vera ambientata a fine anni ’60 sul responsabile dell’organizzazione dell’allunaggio dell’Apollo 11 Cole Davis e sull’addetta alla pubblicità della NASA Kelly Jones, interpretati rispettivamente da Channing Tatum e Scarlett Johansson, che lavorando insieme finiscono per innamorarsi. Oltre a essere un esplicito rimando alla luna e alla missione di atterraggio su di essa, il titolo del film riprende la celebre canzone “Fly Me to the Moon” di Frank Sinatra e Count Basie del 1964, in cui si parla dell’innamoramento come una volontà di essere trasportati nel cielo insieme alla persona amata, così come accade nel film, metaforicamente ma anche letteralmente parlando.