Articolo pubblicato il 25 Luglio 2024 da Gabriele Maccauro
La recensione di Dolls, decimo lungometraggio diretto da Takeshi Kitano – qui per la prima volta solamente regista del film – e presentato in anteprima all’interno del concorso ufficiale della 59esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. A seguire, trama e recensione di Dolls.
La trama di Dolls, presentato in anteprima alla 59esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
Prima di passare all’analisi e recensione del film, è bene spendere due parole sulla trama di Dolls, film di Takeshi Kitano che, in questo caso, è più semplice che mai e che fa leva sul modo in cui viene raccontata. L’opera – presentata in anteprima a Venezia59, si suddivide in tre episodi che si sfiorano senza mai toccarsi e che trattano tre storie d’amore dal finale tragico: una coppia legata da un filo rosso per l’eternità dopo che lei ha provato a suicidarsi, un anziano Yakuza che incontra dopo decenni la donna amata ed un fan di una cosiddetta Idol che, dopo che lei è rimasta sfigurata in un incidente, decide di togliersi la vista pur di poterla incontrare.

La recensione di Dolls, diretto da Takeshi Kitano
Ad inizio secolo il nome di Takeshi Kitano risuona prepotente nella mente di ogni cinefilo. D’altronde, nel 1997 aveva vinto il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia con Hana-bi mentre due anni dopo, nel 1999, aveva concorso per la Palma d’oro con L’estate di Kikujiro, due tra i titoli più amati e ricordati della sua filmografia che lo aiutarono ad affermarsi a livello internazionale e a dimostrare a tutti come egli fosse molto più di un semplice regista di Yakuza movies, per quanto titoli come Violent Cop, Boiling Point e Sonatine fossero già di livello superiore ed avessero già dimostrato l’enorme talento di Beat Takeshi. Nel 2002 arriva nelle sale Dolls che, nonostante sia un titolo dai più dimenticato, gioca invece un ruolo decisivo nella carriera del regista giapponese.
Sì perché se i precedentemente citati Hana-bi e L’estate di Kikujiro avevano portato il suo nome sulla bocca di tutti, nel 2002 ogni cinefilo sa chi è Kitano e lui, quasi provando una sorta di ribrezzo nei confronti della popolarità e dello star system, assesta con Dolls – e con il successivo Zatōichi, seppur con toni totalmente diversi – un ultimo colpo di coda, cui seguiranno poi le opere più criticate o comunque meno considerate della sua filmografia: Takeshis’ (2005), Glory to the Filmmaker! (2007), Achille e la Tartaruga (2010) e la trilogia Outrage (2010-2017), prima di una pausa terminata solamente nel 2023 con Kubi. Kitano è ormai un regista esperto e riesce a comprimere tutto il suo cinema in 114 minuti di pura poesia, una poesia che viene però strozzata dalla brutalità della vita, la bellezza che viene sporcata dallo scorrere del tempo.
I tre episodi che compongono Dolls sono storie d’amore senza lieto fine, ma che si concludono in maniera quasi brusca e veloce rispetto al ritmo compassato e perfetto della pellicola, ma questo è tutt’altro che un difetto: il film si chiude infatti con lo sguardo attento delle marionette del teatro Bunraku, le stesse con cui l’opera si era aperta, che sembra abbiano osservato le vicende o che forse queste storie le hanno raccontate. Ecco come le immagini ed il cinema lasciano spazio alle parole, all’immaginazione, e la storia si trasforma col passaparola, si colora con aggiunte o modifiche che altri apportano e la vita non diventa altro che parte di qualcosa di più grande dove, chissà, il destino delle tre coppie prende una strada differente. Si tratta quasi di un epitaffio, la chiusa di una fase nella carriera di un uomo che definire regista sarebbe riduttivo, perché Takeshi Kitano è un poeta, un artista, un uomo superiore perché ha compreso come l’unico modo per vivere questa vita sia senza prenderla sul serio e, allo stesso tempo, attribuendole un valore assoluto.