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Pulse (Kairo): come finisce? La spiegazione del finale del film di Kiyoshi Kurosawa

Pulse (Kairo) è un film horror giapponese del 2001 che ha un finale davvero emblematico. A tal proposito: qual è il suo significato?
La spiegazione del finale del film Pulse (Kairo)

Pulse (Kairo) è un film horror giapponese distribuito per la prima volta nel 2001, scritto e diretto dal rinomato regista nipponico Kiyoshi Kurosawa. Dato che si tratta di uno dei capisaldi del genere per la raffinatezza con la quale il cineasta è riuscito a mettere in scena dilemmi esistenziali mescolando elementi drammatici ad altri puramente legati all’horror, è opportuno ricordare quali sono le ultime scene del film e qual è il loro significato. A tal proposito: come finisce Pulse (Kairo)? Di seguito la spiegazione del finale.

Come finisce Pulse (Kairo)?

Le ultime scene di Pulse (Kairo) mostrano gli effetti degli incontri tra dimensioni, per cui i fantasmi stanno riuscendo a far passare la voglia di vivere a chi è ancora presente. La famosa stanza proibita sta comparendo dinanzi a chiunque, e allora le inquadrature del film di Kiyoshi Kurosawa mettono in risalto la solitudine di una Tokyo portata alla devastazione come in un’opera apocalittica: l’aereo cargo americano si schianta tra gli edifici, la città è in fiamme.

Dopo che Ryosuke ha incontrato un fantasma nel magazzino, e mentre era alla ricerca del carburante, perde anche lui la voglia di restare “nella realtà”, ma nonostante ciò Michi riesce a portarlo via con sé. I due sopravvissuti individuano un piccolo motoscafo con il quale viaggiano via mare fino a quando non salgono a bordo di una nave. Qui c’è il capitano interpretato da Kōji Yakusho, che sta trasportando vari individui da Tokyo in America Latina. Pulse (Kairo) finisce con Ryosuke e Michi che vanno sottocoperta, ma mentre il primo diventa cenere disintegrandosi, la ragazza invece ammette di aver trovato la felicità nello stare con il suo ultimo amico rimasto al mondo.

Pulse (Kairo): la spiegazione del finale del film di Kiyoshi Kurosawa

Il finale di Pulse (Kairo) ha un’accezione del tutto giapponese e che deriva direttamente dal modo di fare cinema di Ozu, ovvero i personaggi si trovano a dover accettare qualcosa nella vita che è fattuale, per cui non possono agire per cambiarla ma hanno l’occasione di raggiungere una maturità, una consapevolezza con cui approcciarsi in maniera differente alla vita stessa, o in questo caso alla morte. Infatti, lo scenario apocalittico che si abbatte su Tokyo è sì scaturito dai fantasmi di in un’altra dimensione, ma sono le reazioni delle persone la vera (auto)minaccia. La maggior parte della popolazione non riesce a percepire il bello dell’esistenza, non riesce più a vivere i legami affettivi e quanto di più caro ci possa essere nello stare al mondo giorno dopo giorno; questo deriva sia da Internet, discorso imbastito da Kurosawa per strutturare questo incredibile film horror, che dagli usi che ne fanno le persone.

La società contemporanea è alienante e l’incontro con i fantasmi in un certo senso svela il post mortem: dopo la cessazione della vita c’è un ulteriore prolungamento di quello straziante senso di solitudine, quindi appare tutto deleterio a chi, con fare nichilista, non trova più alcun significato nella vita e nella non vita. Michi al contrario è il manifesto di coloro che vogliono godersi il momento in tutta la sua caducità, poiché nonostante Ryosuke alla fine scompaia in forma di cenere, come tutti gli altri del gruppo, la ragazza si dice felice di poter condividere un’esperienza con il suo ultimo amico.

Michi, e qui si torna al senso tutto giapponese che viene dato all’esistenza, accetta la sua condizione attuale come quella di dover un giorno morire e fluttuare in una dimensione differente da quella del presente terreno (fattuale, tangibile), per cui non va in paranoia come gli altri abitanti di Tokyo ma si lascia andare, sorridendo, alla serenità. Ecco perché lei non scompare mentre Ryosuke sì, c’è una sostanziale diversità nel cogliere l’essenza universale dell’esistenza.