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I film di Luca Guadagnino: la classifica dal peggiore al migliore

In carriera Luca Guadagnino vanta numerose opere di grande spessore, di conseguenza proponiamo la classifica dei suoi film dal peggiore al migliore.
La classifica dei film di Luca Guadagnino

Luca Guadagnino è un regista italiano nato a Palermo nel 1971, autore di numerose opere di successo che compongono attualmente una filmografia di 8 lungometraggi, 9 contando il prossimo Queer. Dal 1999 ad oggi il regista è riuscito a trasmettere con maestria la sua idea di cinema, mettendo in risalto l’essenzialità dei corpi e la potenza della passione come sentimento protagonista. Nonostante il successo di film come Chiamami col tuo nome (2017) e Suspiria (2018), Luca Guadagnino in carriera ha vinto “soltanto” un Leone d’argento alla 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia nel 2022, assegnatogli dalla giuria per la miglior regia tra i lavori presentati al Festival.

Per quanto riguarda le nomination, si segnala quella agli Oscar come miglior film per Chiamami col tuo nome, ai Golden Globe per il miglior film drammatico, quella ai BAFTA per lo stesso lungometraggio e per la miglior regia (sfortunatamente non replicata agli Oscar), oltre che per la candidatura di Io sono l’amore (2009) come miglior film in lingua non inglese (anche ai Golden Globe). Insomma, data la qualità, è bene mettere ordine: di seguito, proponiamo la classifica dei film di Luca Guadagnino dal peggiore al migliore.

8) Melissa P. (2005)

Il minore tra i film di Luca Guadagnino è senza dubbio Melissa P., trasposizione di un bestseller italiano che viene mascherata da opera d’autore pur avendo un animo commerciale. Non ci sarebbe niente di sbagliato nel cercare di raggiungere un equilibrio tra un prodotto da vendere ad un target ampio e uno maggiormente raffinato, eppure il regista qui cade nella tentazione di fornire simbolismi e allegorie senza che ce ne sia un reale bisogno.

Infatti il risultato è scadente, ogni forma simbolica/allegorica risulta puerile, scolastica, mentre i dialoghi che dovrebbero elevare il film in quanto racconto di formazione non fanno altro che mettere in risalto una superficialità di fondo caratterizzante l’intero progetto. Se nell’ambito della scrittura regna la banalità, sul fronte regia Guadagnino prova con scarsi risultati a catturare i sentimenti nascosti della protagonista impiegando a più riprese lo zoom e i primi piani, ma nonostante si possa percepire la sua idea cinematografica, in Melissa P. non c’è molto da far emergere tramite le inquadrature.

7) The Protagonists (1999)

Film tra i peggiori di Luca Guadagnino è senza dubbio The Protagonists, un progetto senza né capo né coda dove l’obiettivo di sperimentare realizzando un’opera a metà tra il documentario e il racconto di finzione si spegne via via che la narrazione procede. Oltre alla voce narrante di Tilda Swinton e alla sua suggestiva presenza scenica c’è ben poco da registrare qui, poiché i continui tentativi di costruire tramite ellissi stravaganti, cameracar e tutte le altre intuizioni estetiche basate sul montaggio e sullo sguardo non hanno successo. L’esordio di Guadagnino è acerbo ma audace, e pur restando un mero esercizio di stile, visto oggi si comprendono comunque le potenzialità del noto cineasta, che di fatto ha poi sfoggiato nel corso degli anni nei suoi successivi lavori.

6) A Bigger Splash (2015)

Il secondo film della trilogia del desiderio è un intermezzo che, a proposito di potenzialità, potrebbe raccontare e mostrare molto più di quanto faccia, ma resta incatenato alla sola manifestazione dei sentimenti. Guadagnino in A Bigger Splash riesce ad elaborare in forma differente – soggettive, riflessi – la percezione dei vari personaggi emotivamente in gioco, esprime ciò che nel suo cinema è centrale, ovvero le possibili e molteplici connotazioni date da ciascuno ai corpi e agli oggetti.

Da questo punto di vista si tratta di un film stimolante visivamente, ma l’interesse va scemando a causa di una durata ingiustificata e di riempitivi futili come i pochissimi flashback ed i dialoghi troppo banali. La sceneggiatura non rende giustizia all’intuito del cineasta, il quale sul fronte attori dirige al meglio Ralph Fiennes, mentre gli altri appaiono leggermente sottotono, forse proprio per via di una scrittura vacua. Il finale non porta a nulla, e lo sfondo politico-sociale non incide mai sul serio.

5) Bones and All (2022)

Film che ha portato Guadagnino a vincere il Leone d’argento al Festival di Venezia 2022 per la miglior regia, Bones and All è davvero notevole per la commistione di generi quali il racconto di formazione, il dramma familiare e l’horror, con qualche parentesi di gore. La coppia formata da Timothée Chalamet e Taylor Russell funziona per alchimia e fisicità, le loro storie sono ben intrecciate e risultano ottimali per la costruzione del rispettivo background.

I paesaggi assumono una valenza narrativa, così come le canzoni non originali scelte, e di fatto lo sfondo politico questa volta si lega ad un periodo storico americano ben preciso, quello degli Stati Uniti di Ronald Reagan. Il climax finale è visivamente impattante, ma forse eccessivamente scontato per essere lo snodo cruciale della trama. Tuttavia, al Bones and All di Luca Guadagnino per elevarsi manca di mordente nella sua “fase on the road” e pecca di estrema banalizzazione della narrazione autogiustificandosi in quanto prodotto teen. Un plauso invece alla qualità e all’inserimento dei suoni.

4) Io sono l’amore (2009)

Il primo film della trilogia del desiderio è Io sono l’amore, con una super Tilda Swinton protagonista clamorosamente abile nel catturare l’essenza del suo personaggio restituendo alla perfezione le peculiarità della sua evoluzione. Si tratta di un’opera che si eleva a pura sinestesia cinematografica, il rapporto tra denotazioni e connotazioni è essenziale per far comprendere allo spettatore il minuzioso lavoro svolto attorno (e su) all’inserimento di Emma in un mondo a lei estraneo come quello borghese, ragion per cui si parte con la gelida neve che cade su Milano per finire nella calda e colorata Sanremo.

Sul piano del montaggio ci sono immagini mentali che svelano gradualmente elementi appartenenti all’intimità sia di Emma che del suo amante, ma è l‘esplosione del loro amore a causare una catena di eventi indispensabili per la tanto ambita affermazione identitaria. Al di là della tragedia finale, scaturita proprio dal significato dato dal figlio della protagonista ad un piatto specifico (a proposito di connotazioni), il tratto fondamentale è legato alla passione, la quale a sua volta è mossa dai ricordi e dal desiderio sia sessuale che sociale.

3) Challengers (2024)

Film ammaliante, seducente, intelligente e stimolante il Challengers di Luca Guadagnino, che con maestria riesce a guidare il cast formato da un trio amalgamato alla perfezione nonostante i limiti attoriali di Zendaya, la quale viene però impiegata al meglio dal regista. Infatti, sono i suoi sguardi e le sue espressioni sia facciali che corporali a manifestare un’interiorità suddivisa tra vulnerabilità e determinazione, tra un uomo e l’altro. Josh O’Connor e Mike Faist lasciano percepire non solo una grande amicizia minata dalle incomprensione, ma anche la possibilità di un sentimento superiore che culmina in un finale al cardiopalma.

Il tennis viene usato come metafora per esplicare i concetti di relazione e di passaggio del tempo, per cui l’uso spiccato del montaggio serve proprio ad accentuare – nel migliore dei modi – i cambiamenti, la molteplice percezione dei gesti e dei sentimenti, nonché il raggiungimento di una nuova consapevolezza. La regia di Guadagnino e la colonna sonora si fondono restituendo delle immagini davvero incredibili, offrendo un punto di vista sempre differente da cui guardare e scandendo il ritmo forsennato del racconto.

2) Suspiria (2018)

Uno dei migliori film di Luca Guadagnino è Suspiria, dove per quanto riguarda l’uso del montaggio si concretizza qui il miglior uso in assoluto del cinema del regista italiano, in collaborazione con Walter Fasano, sodalizio fondamentale. Ci sono vari esempi di montaggio alternato finalizzato a concepire delle scene horror mozzafiato, e in più occasioni le inquadrature e i suoni inseriti portando lo spettatore oltre lo sguardo, come a voler restituire in maniera tangibile il concetto stesso di esoterismo. Il Suspiria di Guadagnino è una rivisitazione eccelsa ma soprattutto necessaria in quanto il discorso sulla memoria e il legame della figura della donna-madre con l’uomo e la colpa (Seconda Guerra Mondiale) sono due fattori incredibilmente contemporanei, ricchi di significati.

1) Chiamami col tuo nome (2017)

Vero e proprio saggio sulla percezione e sull’etimologia dell’arte, Chiamami col tuo nome è il miglior film di Luca Guadagnino per tantissime ragioni differenti. Nel cinema del regista palermitano lo sfondo politico non sempre ha avuto modo di incidere come si deve, ma pur restando qui un aspetto apparentemente superficiale è in realtà essenziale all’elaborazione di un determinato contenuto sociale e ideologico. La profondità di campo assume significati minuziosissimi, così come le parole e i corpi – motori di desiderio sessuale -, poiché rivelano gradualmente tutto ciò che riguarda la psicologia di Elio e Oliver.

In Chiamami col tuo nome vengono esplicitati con fare poetico i diversi punti di vista – le percezioni – relative a gesti, sguardi, oggetti come libri e sculture e così via, per cui anche un uovo da cui straborda il tuorlo prende valore. A tal proposito, la “liquidità” sia narrativa che concettuale è la colonna portante del terzo film della trilogia del desiderio realizzata da Guadagnino, e ogni attimo viene riempito con elementi funzionali al racconto, sempre tramite un raffinato linguaggio cinematografico. Perfetta, infine, la scelta del cast: Timothée Chalamet come diciasettenne alla scoperta della propria sessualità è fisicamente credibile, così come Armie Hammer è centrato nel ruolo di Oliver, ed entrambi mettono in scena un’alchimia formidabile con le dovute differenze individuali (gioco di avvicinamenti e distanze).