Articolo pubblicato il 13 Agosto 2024 da Gabriele Maccauro
La recensione di Europa, film diretto da Lars Von Trier nel 1991 e terzo capitolo della famosa trilogia europea, di cui fanno parte anche L’elemento del Crimine (1984) ed Epidemic (1987). Presentato in anteprima al 44esimo Festival di Cannes – dove si è aggiudicato il Premio della giuria – torna nelle sale italiane a partire dal 14 agosto 2024. A seguire, trama e recensione di Europa.
La trama di Europa, premio della giuria al 44esimo Festival di Cannes
Prima di passare alla consueta analisi e recensione del film, due brevissime parole sulla trama di Europa, lungometraggio diretto da Lars Von Trier nel 1991 che chiude la trilogia europea iniziata nel 1984 con L’elemento del Crimine e proseguita con Epidemic nel 1987. Protagonista della pellicola è Leopold Kassler, fuggito con la famiglia all’inizio della Seconda Guerra Mondiale negli Stati Uniti che, una volta finito il conflitto mondiale, torna in Germania per riscoprire la terra dei genitori e tentare di dare un contributo concreto per la sua rinascita. Ad aiutarlo ci sarà lo zio, controllore per la compagnia ferroviaria Zentropa che gli troverà un posto da apprendista, ma sarà proprio durante uno dei suoi turni che egli incontrerà Kate Hartmann, figlia del proprietario della compagnia.

La recensione di Europa, diretto da Lars Von Trier
La chiusura di un cerchio, l’illusione di essere liberi. Nessuno fugge dall’Europa e da Europa. In questo, Lars Von Trier è chiaro sin dal principio, da quel narratore onnisciente mai visibile all’interno della pellicola eppure così ingombrante, interpretato da Max Von Sydow, attore feticcio di uno dei punti di riferimento del regista danese, ovvero Ingmar Bergman, qui presente in maniera evidente, tanto quanto Dreyer o Tarkovskij. La storia di Leopold Kassler è già scritta, eppure lo spettatore si illude che possa esserci speranza, che qualcosa possa andare per il verso giusto.
Europa però, che è certamente il più maturo ma anche il più crudo e violento dei tre titoli che compongono la trilogia europea, porta con sé tutto il peso della Seconda Guerra Mondiale e, partendo dal particolare della Germania del post 1945, si allarga all’universale di tutto un continente, affacciandosi sulla vita di un popolo distrutto, sull’orlo del baratro, dove tutti sono colpevoli, anche coloro i quali pensano di aver agito nel modo migliore possibile, anche coloro i quali erano vicini al movimento nazista e che oggi semplicemente non hanno modo di cancellare questa macchia, venendo spazzati via dalle onde, dall’acqua, fattore cruciale della pellicola e di tutta la trilogia, che più che pulire dai peccati, azzera tutto per, forse, ricominciare da capo. L’Anno Zero di cui parlò anche Rossellini, con i treni che portarono milioni di persone nei campi di concentramento che, da un momento all’altro, tornano in servizio come se nulla fosse. Una ripartenza che però non può davvero avere luogo perché la ferita è impossibile da rimarginare ed il popolo, in primis tedesco, è condannato a marcire per sempre, marcire per davvero, senza chiamare in causa una vita oltre la morte.
Europa lascia infatti un solco profondo nella vita del regista stesso che, poco più tardi e prima di dirigere il successivo Le Onde del Destino, da ateo convinto quale era, si avvicina al cattolicesimo. Inoltre, egli trova così la quadra di un pensiero cinematografico attivo, dunque politico, di una visione artistica ed estetica che segna definitivamente non solo il suo approccio al mezzo ma anche la storia della settima arte. Dai suoi maestri egli non copia ma ruba, modellando il tutto con il proprio stile inconfondibile e con un tocco brutale, tagliente e che riduce all’osso l’ironia – per quanto essa sia stata e continuerà ad essere fulcro della sua filmografia – dando così vita al più maturo dei tre titoli della trilogia ed uno dei film più importanti del XX secolo.