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L’Infanzia di un Capo è una perturbante parabola onirica

Opera prima del regista Brady Corbet, L’Infanzia di un Capo è un film del 2015 visivamente suggestivo per l’intento storico e universale che suggerisce: ma cosa lo rende così perturbante?
Di seguito la recensione di L'Infanzia di un Capo, l'opera prima di Brady Corbet con Robert Pattinson

Presentato in anteprima alla 72esima edizione del Festival del Cinema di Venezia 2015, in concorso nella sezione Orizzonti, L’Infanzia di un Capo (The Childhood of a Leader) è il film opera prima del 2015 del regista statunitense Brady Corbet. Seguono la trama e la recensione di L’Infanzia di un Capo, il film d’esordio di Brady Corbet con Bérénice Bejo, Robert Pattinson e Liam Cunningham.

La trama di L’Infanzia di un Capo: di che parla il film d’esordio di Brady Corbet con Robert Pattinson?

L’Infanzia di un Capo è l’opera prima del regista statunitense Brady Corbet, la cui trama si ispira liberamente al racconto omonimo di Jean-Paul Sartre contenuto nella raccolta Il muro pubblicato nel 1939. Prima di passare alla recensione, occorre soffermarsi sulla trama per comprendere dunque di che parla L’Infanzia di un Capo, il film di Brady Corbet con Bérénice Bejo e Robert Pattinson:

Il piccolo Prescott (Tom Sweet) vive nella villa vicino a Parigi dov’è alloggiato con i suoi genitori. Il papà (Liam Cunningham), consigliere del presidente americano Wilson, lavora alle stressanti trattative di definizione di quello che diventerà il famigerato trattato di Versailles, appena dopo la fine della prima guerra mondiale. La formazione del carattere di Prescott è segnata da una precoce tensione intellettuale e da frequenti scatti d’ira, che portano inevitabilmente alla continua ridefinizione degli equilibri di potere familiare. Fra le storture e le ipocrisie sociali che avvelenano una coscienza al suo nascere e la preparano ad una sorte colpevole, si consuma lo scontro tra lo sterile e vigliacco mondo maschile dei diplomatici, e dell’ambiguo amico di amiglia Charles Marker (Robert Pattinson), e quello femminile, al contrario vitale e vibrante, che circonda il bambino con le tre profondamente diverse figure di donna che gestiscono la sua vita: l’austera e religiosa mamma (Bérénice Bejo), la dolce governante (Yolande Moreau) e la fragile insegnante di francese (Stacy Martin). In quella che è una lampante e allo stesso delicata simbologia del male del fascismo che di lì a poco infetterà l’Europa, la consapevolezza auto-affettiva di Prescott si addensa inesorabilmente nel nichilismo del primo dopoguerra, che alzerà appunto il sipario alle tirannie del Ventesimo Secolo.

La recensione di L’Infanzia di un Capo: l’inizio della parabola storica di Brady Corbet

Se c’è un regista che fin dal suo esordio dimostra di avere un’idea ben chiara in testa di quello che sarà per lui il progetto cinematografico della vita quello è Brady Corbet. Girato interamente in 35mm, il film opera prima L’Infanzia di un Capo getta le basi per realizzare quella che si presenta a tutti gli effetti come una parabola in divenire di un’epoca storica che arriva fino ai giorni nostri. Ne L’Infanzia di un Capo infatti il racconto si ancora a partire da immagini ricavate da pellicole in bianco e nero dell’epoca risalente al periodo che va dagli ultimi anni dell’Ottocento, fino ai primi del Novecento. Tramite questa rappresentazione visiva, lo spettatore si immerge nella vera essenza della Storia e degli eventi salienti da cui è composta, ambientazione da cui il film riprenderà le fila del racconto. Da qui la narrazione del racconto di formazione del protagonista Prescott procede suddivisa in quattro atti, partendo dall’infanzia – che occupa i 3/4 della durata – fino ad arrivare al momento dell’ascesa politica della sua figura spettrale, ricreando in questo senso l’atto di sfogliare le pagine di un libro durante la lettura del racconto omonimo da cui il film si ispira, creando un climax narrativo ascendente.

Di fatto, lo spettatore si ritrova a partecipare attivamente durante la visione non solo in quanto testimone della crescita e della lenta discesa nel male e nell’oscurità del suo protagonista, ma anche e soprattutto in quanto complice delle sue azioni e suo fedele compagno. Attraverso i movimenti della camera, infatti, lo spettatore si rende disposto a seguirlo in qualsiasi cosa egli faccia, creando un senso di perturbante e inquieto spaesamento e straniamento accentuato dalla suggestiva colonna sonora composta da Scott Walker, diventando la mano che lancia un sasso o l’occhio che scruta ardentemente una donna attraverso la fessura della porta. Inoltre, la fotografia e i continui giochi di luci e ombre accentuano questa disintegrazione psicologica del personaggio, andando a creare l’associazione della dicotomia dell’alternanza luce/ombre a quella semantica e connotativa di bene/male in una successione di immagini oniriche. Tramite questo costante coinvolgimento attivo dello spettatore si realizza progressivamente la crescita psicologica del protagonista e con essa anche la tensione che consegue dal suo lento avvicinarsi sempre di più al male e dalla conoscenza e dalla esperienza che ne fa di esso, forgiandolo personalmente in quella che sarà la figura che assumerà alla fine del film.

Il racconto di formazione del piccolo Prescott diventa così un pezzo del puzzle della parabola storica e universale che coinvolge tutti gli uomini – che precede in ordine storico-cronologico e narrativo il successivo Vox Lux del 2018 sul Ventunesimo secolo – un’incarnazione esperenziale di quella che è per tutti noi la perdita della purezza in seguito alla conoscenza del male, che il poeta inglese romantico William Blake esprimeva con la dicotomie di innocenza/esperienza allegoricamente rappresentate dai rispettivi animali agnello/tigre nei suoi Songs of Innocence and Songs of Experience. Ecco che è in questo preciso senso che è da interpretare il fatto che, fatta eccezione per il protagonista e il ruolo interpretato da Robert Pattinson per ovvie ragioni che si possono comprendere solo alla fine del film, i personaggi non possiedono un nome proprio di persona ma bensì comuni quali “il padre”, “la madre” e infine “il capo” andando così ad avvalorare la tesi del messaggio universale sotteso al film, e della figura spettrale che assume Prescott che porta con sé gli echi nefasti alquanto espliciti di epoche storiche quali il fascismo e il nazismo.

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La locandina di L'Infanzia di un Capo, film d'esordio di Brady Corbet
L'Infanzia di un Capo
L’Infanzia di un Capo

L'Infanzia di un Capo è un racconto di formazione che narra la vita, dall'infanzia all'età adulta, e l'ascesa di un leader politico in un'atmosfera onirica e nefasta.

Voto del redattore:

9 / 10

Data di rilascio:

29/06/2017

Regia:

Brady Corbet

Cast:

Bérénice Bejo, Robert Pattinson, Liam Cunningham, Stacy Martin, Yolande Moreau, Tom Sweet, Rebecca Dayan, Luca Bercovici, Jacques Boudet, Michael Epp, Roderick Hill

Genere:

Drammatico

PRO

La costruzione della crescita psicologica del protagonista
La divisione in atti della narrazione
La fotografia e l’uso di luci e ombre
La colonna sonora di Scott Walker
Nessuno