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Joker, il (forse) perfetto mix tra l’impronta autoriale e la cultura pop

Joker è un film del 2019 scritto e diretto da Todd Phillips con protagonista Joaquin Phoenix: ma com’è visto ad oggi quello che fu il Leone d’Oro di Venezia 76?
Recensione film Joker 2019, Joaquin Phoenix e Todd Phillips

Joker è un film del 2019 scritto e diretto da Todd Phillips, regista conosciuto per la trilogia di Una notte da leoni, con protagonista Joaquin Phoenix. L’attore ha ricevuto il premio Oscar per questa memorabile performance, mentre il lungometraggio ha ottenuto ben 11 nomination con 2 vittorie, nella fattispecie quella appena menzionata (miglior attore protagonista) e quella per la miglior colonna sonora originale. L’accoglienza critica di Joker è stata calorosissima sin dalla sua proiezione in anteprima mondiale alla 76esima edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d’oro. Ma com’è effettivamente il tanto discusso film di Todd Phillips? Di seguito la recensione di Joker.

La trama di Joker, film del 2019 con Joaquin Phoenix

Film che ha conquistato il plauso della critica oltre al cuore del pubblico, tra appassionati e non, Joker è ad oggi considerato uno dei cinecomic di maggior prestigio in assoluto. Ma di cosa parla in particolare il lungometraggio basato sui fumetti DC e interpretato da un superbo Joaquin Phoenix? Segue la trama come riportata sul sito ufficiale della Biennale Cinema 2019:

Joker è un film sul nemico per eccellenza ed è un racconto originale e autonomo, mai visto sul grande schermo. L’analisi sviluppata da Phillips del personaggio di Arthur Fleck, interpretato in maniera indimenticabile da Joaquin Phoenix, ci restituisce un uomo che cerca di trovare il suo posto nella società in frantumi di Gotham City. Clown di giorno, la notte aspira a essere comico di cabaret, ma si accorge di essere uno zimbello. Prigioniero di un’esistenza ciclica, tra apatia e crudeltà, Arthur prende una decisione sbagliata che innesca una reazione a catena di eventi, in questo crudo studio di personalità.”

Recensione film Joker 2019, Joaquin Phoenix e Todd Phillips

La recensione di Joker: il film di Todd Phillips rappresenta il (forse) perfetto mix tra l’impronta autoriale e la cultura pop

Tra i film più acclamati degli ultimi anni c’è senza dubbio Joker, lungometraggio firmato da Todd Phillips e interpretato da Joaquin Phoenix, ruolo che gli è valso anche l’Oscar nel 2020. L’accoglienza a dir poco entusiastica riservata a quest’opera è stata condivisa sia dal pubblico che dalla critica, e di fatto tale fattore ha giovato in termini di incassi al botteghino quanto sul piano delle nomination ai vari premi cinematografici. Ma quali sono i motivi che hanno spinto Joker (2019) ad ottenere un successo all’unisono? In primo luogo ci si sta pur sempre riferendo ad un cinecomic, che per definizione attinge il suo materiale dai fumetti – nella fatti specie DC Comics -; successivamente andrebbe sottolineato quanto il personaggio, ossia la nemesi di Batman, sia diventato iconico negli anni grazie al sontuoso lavoro di Christopher Nolan e Heath Ledger. C’è stata poi la rivisitazione del Joker da parte di Jared Leto sul grande schermo, con una storia romantica tra lui e la Harley Quinn di Margot Robbie che ha appassionato milioni di spettatori in tutto il mondo in Suicide Squad. D’altro canto, i cinefumetti sono una tendenza tutta contemporanea, ed hanno di fatto contribuito a rendere la figura del nerd prettamente popolare: quasi qualsiasi personaggio proveniente dalla stessa matrice letteraria, ad oggi almeno, potrebbe essere potenzialmente amato dagli spettatori, giovani o adulti che siano. A ciò si aggiunge un marketing tra i più consapevoli e intelligenti degli ultimi anni, anche se qualcuno potrebbe usare l’aggettivo “furbo” (ma cosa non lo è, quantomeno in termini commerciali?), tramite cui il film è stato venduto come un prodotto unico perché, a dispetto del linguaggio e dal tono impiegati in altri cinecomics, il Joker di Todd Phillips abbina al (sotto)genere altri generi, ondeggiando tra il cinema del passato e il postmoderno, e lo fa senza rinunciare alla sua essenza fumettistica.

Una confezione sublime che vede in primo piano la fotografia di Lawrence Sher, che utilizza al meglio le fonti artificiali di luci soffuse per conferire un’idea di teatralità e drammaticità, così come la colonna sonora (vincitrice dell’Oscar) composta da Hildur Guðnadóttir riesce a disturbare lo spettatore lasciandogli percepire tutte le implicazioni psicologiche relative al protagonista. I suoni malinconici, le inquadrature scelte da Todd Phillips dalle quali si evince un’effetto traballante, sinistro, quasi onirico, poiché i movimenti di macchina scavalcano, pedinano e in un certo senso guidano il corpo talvolta danzante di Joaquin Phoenix. Inoltre, proprio le inquadrature annunciano con la comparsa del titolo del film una costante volontà di riempire lo schermo, quello del cinema e successivamente della televisione, come a voler suggerire un’idea di implosione-esplosione, una labile relazione tra causa ed effetto. Da questo punto di vista è la risata di Joker ad arricchire il film, dato che Arthur Fleck è inizialmente un martire, una persona malata dalla quale ci si aspetta un mascheramento della propria malattia: la madre presente nell’autobus è infastidita, nonostante le venga fatto presente il problema, così come gli altri individui non sono assolutamente in grado di provar alcun grado di empatia. Non è casuale che la prima frase pronunciata da Fleck sia relativa alla società (solo di Gotham?) in caduta libera, poiché la follia e la violenza sono sempre più diffuse; ma il primo dialogo del lungometraggio è funzionale anche ad instillare l’idea di star guardando le immagini dalla sola ed unica prospettiva di un protagonista psicologicamente disturbato. A più riprese le orecchie e lo sguardo del personaggio si ergono come esclusivo canale di percezione del mondo circostante, dal suono dello sparo fino alle continue proiezioni di sé in televisione.

Arthur è un pagliaccio, professionalmente parlando, nonché un aspirante comico, eppure non ride mai di sua sponte se non al cinema durante la visione di Tempi moderni (Charlie Chaplin, 1936). Prima di questa scena non lo si vede mai rapportarsi alla vita ridendone, anzi, il Joker di Joaquin Phoenix è un individuo soggiogato dalla risata/malattia in momenti caratterizzati dal nervosismo, e in qualunque sua forma. Forse è anche per questo che fermarsi a guardare una commedia del passato appare come un evento anacronistico, e dando un’ulteriore connotazione al titolo del capolavoro di Chaplin in virtù di quanto narrato nell’opera di Phillips, i tempi moderni sono costituiti dalla sporcizia, dai soprusi, dai giochi di potere, dalle menzione e dalla morte. Ridere – o sorridere – appare allora un gesto fuori contesto, arcaico, smielato, e chi lo sta comprendendo a sua spese è Arthur Fleck, fino a quando con una bomboletta modifica il contenuto di un cartello invitando così a “Non sorridere”. La figura del clown è emblematica sia perché il Joker è un criminale truccato da pagliaccio, sia perché nel film del 2019 chi ancora conduce questa professione figura come un mercenario senza passione: ci sono uomini frustrati e tragicamente tristi che tentano in tutte le maniere di indurre gli altri a divertirsi. Guardando Joker si assiste dunque all’ascesa del protagonista da Arthur Fleck al noto criminale, sottolineando però come tale passaggio avvenga gradualmente nel caos e nel segno della violenza, con il susseguirsi di gesti accidentali – il colpo di pistola; l’arma che cade in ospedale -, di lugubri e autoriflessive danze, nonché di amare scoperte.

Ciò che Fleck commette è per l’appunto violento, ma nella società di Gotham, specchio parossistico di quella contemporanea, basta poco per accendere la miccia, e così le azioni disinteressate di un uomo qualunque diventano simbolo – il pagliaccio – di rivoluzione proletaria. Eppure la violenza genera altra violenza, e in tali termini la critica sociale messa in atto nel film funziona, è feroce, cinica, tanto da scaturire dibattiti e discussioni a riguardo. Joker passa dall’essere un martire al diventare un criminale fuori controllo perché mosso da una rabbia accecante, tanto che mentre ci si avvia verso la conclusione si vede Arthur Fleck vivere in prima persona tale cambiamento: dal commettere un suicidio in diretta per dare un senso alla sua morte decide repentinamente di commettere un brutale e insensibile omicidio, e solo perché istigato dal conduttore (Robert De Niro). Quelle immagini passate in televisione assumono agli occhi dei cittadini un significato politico ben preciso, scaturiscono una reazione (rapporto causa-effetto) spropositata perché covata lungamente; si tratta, come premesso, di un’esplosione. Giacché si tratta del Joker, chi ha lavorato al film ha rispettato quest’idea di caos da sempre perpetuata dal villain, ma ne ha anche esteso e modificato i valori trasformandolo in una specie di antieroe. A prescindere dalla fedeltà ai fumetti, viene qui finalizzato il tentativo di rendere una storia personale – la parabola di Arthur Fleck -, che non è direttamente collegata alla situazione sociopolitica di Gotham, una storia collettiva. Thomas Wayne di fatto viene citato da Joker soltanto perché quest’ultimo crede che sia suo padre, e non perché ce l’ha con lui per la metaforica quanto tangibile spazzatura da cui la città viene travolta. Due binari che per tutta la durata del film viaggiano parallelamente alla fine si incontrano (implodono) generando violenza (esplodono).

Nella sua essenza autoriale il Joker di Todd Phillips è un giallo raffinato (per l’estetica citata in apertura) retto interamente dalla performance di un magnetico Joaquin Phoenix, il quale più volte in carriera è riuscito a indirizzare da solo i film con le sue incredibili doti attoriali. Ovviamente, e urge sottolinearlo, tale lavoro è derivativo: il Leone d’Oro del 2019 deve tutto al cinema di Martin Scorsese e ai personaggi interpretati da Robert De Niro in Taxi Driver (1976) e in Re per una notte (1982). Ma, anche questo è doveroso evidenziarlo, nell’attuale epoca segnata dal postmoderno non è diventato una cifra stilistica citare, omaggiare e riprendere il contenuto (talvolta anche la forma) di determinati capolavori che hanno scritto la storia del cinema? E allora si può affermare che, alla luce di una elaborazione brillante cucita ad hoc su un personaggio popolare come Joker, il film di Phillips rappresenta il (forse) perfetto mix tra l’impronta autoriale e la cultura pop; il “forse” è però relativo ad alcuni elementi in particolare.

Cosa non funziona in Joker?

Joker è un film postmoderno nel quale vengono ibridati diversi generi cinematografici, dal cinecomic al dramma, passando per il giallo, il thriller psicologico e persino il mind game movie. E se, come largamente sottolineato in precedenza, ciò è un fattore decisivo in grado di elevare la qualità del lungometraggio del 2019, a non funzionare quasi per nulla sono però i connotati da mind game movie. Di questo sottogenere non c’è bisogno di scomodare un caposaldo come Vertigo – La donna che visse due volte (Alfred Hitchcock, 1958), bensì due autori fortemente contemporanei come David Fincher e Christopher Nolan; il primo per film come The Game – Nessuna regola (1997) e Fight Club (1999), il secondo per Memento (2000) e The Prestige (2006). Ciò che garantisce del sano intrattenimento e al contempo una riflessione teorica sull’inaffidabilità dello sguardo, e di conseguenza delle immagini nel 21esimo secolo, è l’ancoraggio dell’obiettivo della macchina da presa alla (quasi) costante soggettività di uno o più personaggi.

In Joker questi elementi vengono costruiti essenzialmente tramite la proiezione di sé, nella fattispecie quando Arthur Fleck si immagina in televisione o quando invece riceve degli applausi fittizi da un pubblico che nella realtà dei fatti lo sta deridendo. La soggettività del protagonista e la percezione che ha del mondo circostante vengono perciò annunciate da subito, e nemmeno con chissà quali meccanismi di distorsione delle immagini, eppure sul piano narrativo uno dei colpi di scena consiste nell’aver portato lo spettatore a pensare ad una – inesistente – relazione tra Arthur e Sophie Dumond (Zazie Beetz). La suddetta rivelazione non offre nulla di più di quanto già non fosse stato fatto presente, e oltre a non essere praticamente mai credibile come tentativo di deformazione del mondo, si aggiunge ad un finale in cui persino il “The End” appare come una chiccheria.

Sarebbe stato decisamente più efficace concludere il film con la dissolvenza in nero e la risata in sottofondo, con un Joker divenuto simbolo per gli altri in seguito ad una graduale emersione identitaria, per cui il protagonista si sente gratificato per essere finalmente al centro dell’attenzione, seppur per motivi ben diversi dalla sua – assente – vena artistica. L’ulteriore ingombrante scena finale ambientata nell’ospedale psichiatrico di Arkham sembra voler forzatamente suggerire a chi guarda di non fidarsi di quanto raccontato fino a quel momento: la psicologa sembra la stessa di quella presenta nell’incipit, non viene mostrato l’arresto, viene fatto presente che Arthur sta pensando ad una barzelletta (il film intero?).

Tale supposizione si sfalda subito per mancanza di ambiguità, e di fatto il breve manifestarsi delle immagini della morte dei Wayne riporta subito alla realtà. Quale è stata allora la sua funzione? Perché inserire questa scena? Per instillare maggiori dubbi ci sarebbe voluta una semina più attenta di dettagli ed informazioni, ragion per la quale soltanto le effettive azioni di Thomas Wayne (la foto con Penelope Fleck firmata “T.W.”) restano sullo sfondo senza rivelazioni o goffi colpi di scena. In Joker è allora l’asset da mind game movie a non colpire, a non destare alcuno stupore a differenza dei succitati titoli (Fight Club; Memento), ma soprattutto a non apportare nessuna trasformazione delle immagini per la distorta percezione di Arthur. Tolto ciò, il film di Todd Phillips con Joaquin Phoenix resta un’operazione notevole, memorabile, ma anche un gran film grazie ai numerosi pregi manifestati nel corso del racconto.

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Recensione film Joker 2019, Joaquin Phoenix e Todd Phillips
Joker
Joker

Joker è un cinecomic atipico per struttura e finalità, poiché si basa interamente sulla creazione iconografica del noto villain fumettistico di Batman.

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

03/10/2019

Regia:

Todd Phillips

Cast:

Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Bill Camp, Zazie Beetz, Brett Cullen, Frances Conroy, Glenn Fleshler, Marc Maron, Douglas Hodge, Josh Pais, Shea Whigham

Genere:

Cinecomic, drammatico, thriller, giallo

PRO

La magnetica interpretazione di Joaquin Phoenix: da solo regge l’intero film
La struggente e disturbante colonna sonora composta da Hildur Guðnadóttir
Come viene messa in scena la critica sociale: la violenza genera altra violenza
Lo sviluppo narrativo dell’ascesa da Arthur Fleck a Joker, brillante mix tra autorialità e cultura pop
Gli elementi da mind game movie non funzionano, risultano forzati e goffi