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Recensione – Beetlejuice Beetlejuice: il sequel di Tim Burton con Michael Keaton e Jenna Ortega

La recensione di Beetlejuice Beetlejuice, il nuovo sequel di Tim Burton presentato fuori concorso a Venezia 81 e con protagonisti Michael Keaton, Jenna Ortega e Winona Ryder.

Beetlejuice: Spiritello Porcello è considerato uno dei capolavori assoluti di Tim Burton, nonché una delle più grandi commedie americane mai realizzate. Per questo il suo sequel, intitolato Beetlejuice Beetlejuice e finito spesso nel limbo della lavorazione per almeno trent’anni, era particolarmente atteso, soprattutto considerando il fatto che sarebbe stato realizzato dallo stesso autore. Inoltre rappresenta anche il ritorno di Tim Burton al cinema dopo il grande successo di Mercoledì. Ma come è Beetlejuice Beetlejuice, il quale è stato presentato fuori concorso all’81° edizione del Festival Del Cinema Di Venezia?

La trama di Beetlejuice Beetlejuice

Beetlejuice Beetlejuice è ambientato trentasei anni dopo gli eventi di Beetlejuice: Spiritello Porcello e si discosta dal soggetto di Beetlejuice Alle Bahamas, ovvero la stesura della trama originale creata quando il sequel venne concepito per la prima volta. La nuova trama infatti è la seguente:

La famiglia Deetz torna a casa a Winter River dopo l’inaspettata morte di Charles Deetz. La vita di Lydia viene sconvolta quando la figlia adolescente ribelle, Astrid, scopre il misterioso modello della città in soffitta e il portale per l’Aldilà viene accidentalmente aperto, liberando Beetlejuice. Le cose peggiorano quando Astrid finisce nell’Aldilà stessa, rischiando di perdere la propria anima. Contro ogni previsione, Lydia è costretta ad allearsi con Beetlejuice sperando di riportare a casa sua figlia sana e salva.

La recensione di Beetlejuice Beetlejuice

Sul lato puramente visivo, il sequel di Tim Burton è un totale trionfo: l’impostazione espressionista dell’autore si sbizzarrisce in ogni inquadratura che ritrae il mondo dell’Aldilà, con pareti e porte che si rimodellano costantemente e assorbono i protagonisti, sia fantasmi che vivi, i quali sembrano quasi mimetizzarsi con l’ambiente, entrando in sintonia con esso. Oltre ai suoi tratti facilmente riconoscibili, Tim Burton decide di dare una nuova linfa al suo cinema, scegliendo di utilizzare la CGI solo in rare occasioni per dare spazio a fantasmi e creature fatte solo di marionette e trucchi prostetici estremamente efficaci. In alcune scene l’autore ricorre persino a splendide creature in stop-motion (animate con una fluidità degne dei migliori lavori di Phil Tippett) che si mischiano con gli attori presenti sul set, una scelta che nessun altro cineasta ha il coraggio di assumere in un blockbuster contemporaneo. Burton quindi, in un’epoca in cui il digitale è il protagonista assoluto della creazione delle sequenze audiovisive, urla a gran voce il suo amore per la tangibilità. Persino per ricostruire un attore del film originale, impossibilitato a tornare sul set, Burton non si affida alla CGI, ma piuttosto crea una sequenza d’animazione a passo uno che dona ulteriore freschezza, poiché si allontana dal tratto stilistico dei suoi precedenti film (come per esempio La Sposa Cadavere) per rifarsi a qualcosa di più simile ad Anomalisa di Charlie Kaufman.

In questo ritorno alle origini della sua carriera, l’autore non esita ad inserire nuovi omaggi al cinema di Mario Bava grazie a rimandi presi da La Maschera Del Demonio, attraverso una strepitosa sequenza gore girata in bianco e nero. Anche il musical diventa parte integrante della narrazione in alcune scene, con i fantasmi che usano i brani per esprimere definitivamente i loro sentimenti in danze sospese a mezz’aria. Infatti tutti i morti che hanno accettato la loro condizione e si apprestano a prendere il treno per “passare oltre“, si beano in balli di gruppo realizzati sulle note della sigla di Soul Train, celebre programma televisivo degli anni 70. Parlando del cast, non solo Michael Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara sembrano non essere mai usciti dai loro personaggi dopo tutti questi anni, ma anche le new entry Monica Bellucci e Willem Dafoe sfruttano a pieno le loro nuove maschere, mentre Jenna Ortega, una delle poche ad avere un ruolo non eccentrico e più tranquillo, è perfetta. Le gag sono deliziose e basate sia su battute irriverenti con grandi tempi comici che su sequenze fisiche folli e macabre.

Recensione - Beetlejuice Beetlejuice: il sequel di Tim Burton con Michael Keaton e Jenna Ortega

I legami di Beetlejuice Beetlejuice

Il rapporto sgretolato tra le due protagoniste è uno degli elementi più riusciti del film, soprattutto perché è causato dalla perdita di una persona amata, ovvero Richard, il marito di Lydia e padre biologico di Astrid. Quest’ultima infatti è un’outsider della famiglia, esattamente come lo era Lydia da adolescente durante gli eventi del primo film. Tim Burton infatti evidenzia ancora come essere parte di un nucleo familiare non rende automaticamente simile ad esso, dato che Astrid è l’unica persona a non credere ai fantasmi (mentre Lydia era l’unica a crederci nel capitolo precedente). Anche se Astrid è una persona che vive soprattutto di razionalità, Tim Burton non condanna questo lato del personaggio, anzi, esalta la sua passione per la scienza poiché, proprio in quanto passione, si tratta della cosa che maggiormente la fa stare bene, riprendendo parte dello stesso discorso affrontato nel remake di Dumbo (in cui il personaggio di Milly era proprio un’amante della scienza e degli esperimenti). Infatti, durante la festa di Halloween, Astrid si traveste da Marie Cure, la donna che ha scoperto la radioattività ed indosserà quel costume per la maggior parte del film. Coerentemente con il discorso delle maschere adottato da Tim Burton, le quali rivelano la vera personalità degli individui, Astrid si veste quindi delle proprie passioni e le trasforma in una manifestazione della propria identità. Ad un certo punto Astrid rivela che il fascino per Marie Cure lo prova anche perché la scienziata è stata uccisa dalla stessa materia che lei amava studiare (dopo aver scoperto la radioattività si è accorta troppo tardi che quest’ultima era pericolosa per il corpo umano): la morte causata dalla propria passione potrebbe, oltre a creare un parallelismo con un elemento che verrà citato tra poco, essere un riferimento allo stesso Tim Burton, il quale ha definito dannosi per il suo benessere alcuni lati negativi della sua carriera (tra cui anche la Disney, la quale viene anche sbeffeggiata in un dialogo del film).

Se Astrid è l’elemento razionale della famiglia, Lydia è rimasta fortemente connessa all’idea dell’Aldilà ed ha trasformato la sua passione in un programma TV che l’ha resa famosa e circondata da persone che vogliono approfittarsi di lei (altro riferimento autobiografico di Tim Burton). Tuttavia, dopo la tragica morte del marito, Lydia non ha mai imparato ad andare avanti e si è lasciata trascinare dall’iniziativa del fidanzato Rory soltanto perché le può dare l’illusione di avere un altro marito, il quale le permette di rimanere con la stessa vita sicura che aveva prima della morte di Richard. Rimanendo troppo spaventata dalla sua solitudine e lasciandosi trascinare eccessivamente dal rifugio che la sua passione per il regno degli spiriti le dà, Lydia diviene incapace di comunicare con sua figlia e tra le due si crea una notevole discrepanza. Infatti, come Lydia rischia di perdere i momenti con sua figlia, Astrid rischia di perdere la sua anima proprio perché è ossessionata dalla morte di suo padre (da qui il parallelismo con ciò che ha ucciso Marie Cure). Il loro rapporto può essere salvato soltanto dall’amore che entrambi cercano, cercando di ricucire un legame abbracciando le nuove porte del futuro senza per forza rinnegare il passato, usando i loro ricordi più belli per farsi forza. Il tentativo di rimettere insieme i pezzi da parte di Lydia e Astrid va in contrasto con il rapporto tra Lydia e Delia: quest’ultima infatti è rimasta un personaggio volutamente ridicolo che pensa principalmente a sé stessa, utilizzando la morte del marito come scusa per manifestare pubblicamente il suo dolore che diviene un nuovo tassello da aggiungere alla propria galleria d’arte, la quale viene creata semplicemente per soddisfare il suo ego e non per colmare un reale vuoto. A tal proposito, se le opere artistiche create da Delia non appaiono reali e finiscono per consumare la sua essenza interna, Tim Burton non manca di puntare il dito verso i social, dipingendo diverse persone come burattini che sono ossessionati dal registrare dirette senza provare veri sentimenti, attraverso una delle sequenze satiriche più belle di tutta la sua filmografia.

Beetlejuice Beetlejuice la recensione del nuovo film di Tim Burton

I fantasmi di Beetlejuice Beetlejuice

Le sfumature del personaggio di Beetlejuice aumentano rispetto al film precedente: oltre ad essere un fantasma che si ebbra delle sue abilità da mattatore, adorando la libertà di poter fare qualsiasi cosa, è interessante la sua ossessione per Lydia. Infatti la donna rappresenta la sua unica possibilità per poter smettere di essere morto, tanto che il solo pensiero gli causa enormi manifestazioni di felicità che lo fanno sentire completo e non sorprenderebbe se, dopo aver passato decenni ad osservare Lydia con grande pazienza, avesse iniziato davvero ad amare quest’ultima. Infatti non è un caso che Beetlejuice cerchi di scappare dalla sua ex moglie perché non vuole terminare definitivamente la sua esistenza, cercando ogni scappatoia per poter vivere. Che sia attraverso la ricucitura dei legami di Astrid e Lydia, o attraverso le discutibili azioni di Beetlejuice, la maggior parte dei personaggi cercano di trovare un modo per compiere un passo nuovo e rimanere perennemente attaccati alla vita. Persino il fantasma ispettore Wolf Jackson, le cui sequenze ricalcano il cinema poliziesco degli anni 70, nonostante sia stato incaricato di contenere le minacce contro l’Aldilà, non smette mai di pensare alla sua vita da attore cinematografico e preferisce sempre comportarsi come se fosse su un set quando il suo corpo respirava ancora.

L’antagonista Delores, ex moglie di Beetlejuice, ha un’eccellente presentazione, dal momento che ricuce i pezzi del proprio corpo per poter di camminare di nuovo, riprendendo un’ossessione dell’autore che ama mostrare personaggi che devono simbolicamente rimettere insieme i pezzi della propria anima, riprendendosi da ciò che li hanno abbattuti (in questo caso Delores si ricompone dopo essere stata fatta a pezzi da Beetlejuice). Anche il fatto che lei risucchi le anime per diventare più forte riprende un altro elemento poetico del cinema di Burton, il quale mostra che non tutte le persone diverse sono buone e approfittano della loro diversità per fare del male ad altri emarginati (basti pensare ai Vacui di Miss Peregrine: La Casa Dei Ragazzi Speciali). Purtroppo, nonostante le sue basi interessanti, Delores compare troppo poco ed il rapporto tra lei e Beetlejuice non viene abbastanza sviluppato. Tra i vari personaggi presenti, uno dei più riusciti è sicuramente Rory, ritratto come un ridicolo guru che sfrutta i dolori altrui per trarre profitto, non amando davvero Lydia e usandola soltanto per arricchirsi grazie alla sua fama. La figura di Rory crea un parallelismo con quella di Dolores: come l’ex moglie di Beetlejuice prosciuga fisicamente le anime dei fantasmi, così Rory prosciuga l’anima di Lydia, diventando un parassita che pensa soltanto al denaro.

Beetlejuice Beetlejuice: la recensione del sequel di Tim Burton

Beetlejuice Beetlejuice a volte scricchiola dove non dovrebbe, dal momento che alcune scene sono affrettate, limitando l’intensità emotiva di scelte narrative fondamentali, mentre la minaccia principale non è sviluppata. Tuttavia la poetica di Burton viene espressa in numerosi concetti che rendono l’opera un inno alla vita, con personaggi estremamente divertenti che non sono esenti da momenti toccanti, i quali confermano l’importanza della comunicazione tra emarginati. Inoltre il lato tecnico creativo ed audace rappresenta una grande boccata d’aria fresca per l’industria di Hollywood, con sequenze visive pregevoli che rendono questo sequel un’ottima operazione nostalgica in cui c’è tanto cuore.

2,5
Rated 2,5 out of 5
2,5 su 5 stelle (basato su 2 recensioni)
Beetlejuice Beetlejuice
Beetlejuice Beetlejuice

Astrid, la figlia di Lydia, evoca involontariamente Beetlejuice e viene trascinata nell'Aldilà, così sua madre chiede allo spirito maligno di salvarla.

Voto del redattore:

8.5 / 10

Data di rilascio:

05/09/2024

Regia:

Tim Burton

Cast:

Michael Keaton, Winona Ryder, Jenna Ortega, Monica Bellucci, Cate O'Hara, Willem Dafoe, Justin Theorux, Danny DeVito

Genere:

Fantasy, commedia, musical

PRO

La grande regia di Tim Burton
Gli straordinari effetti pratici
Lo sviluppo delle protagoniste
La caratterizzazione di Beetlejuice
Un’antagonista non sviluppata
Alcune sequenze affrettate
Il finale sbrigativo