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Maria, il nuovo film di Pablo Larraín è “solo” una rappresentazione ben eseguita

Maria è un film biografico dedicato alla figura di Maria Callas, ed è stato presentato in concorso a Venezia81: ma com’è l’ultimo lavoro di Pablo Larraín?
Recensione Maria film con Angelina Jolie Venezia81

Il regista cileno più famoso della sua generazione è senza dubbio Pablo Larraín, autore che in carriera ha diretto grandi attori elaborando storie originali e allestendo suggestive rappresentazioni della vita di figure emblematiche nella Storia, come per esempio dimostra il recente Spencer incentrato sulla principessa Diana. Presentato in concorso a Venezia81, Maria è invece la ricostruzione cinematografica di quanto vissuto dalla famosa cantante Maria Callas, qui interpretata da Angelina Jolie: ma com’è effettivamente l’ultimo lavoro del cineasta in questione? Di seguito la recensione.

La trama di Maria, film di Pablo Larraín con Angelina Jolie

Maria è stato presentato in anteprima mondiale alla 81esima edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nella fattispecie il 29 agosto 2024. Il progetto è incentrato sull’affascinante figura di Maria Callas, cantante di assoluto spessore; ma, entrando più nello specifico: di cosa parla Maria? La trama ufficiale del film di Pablo Larraín:

“Maria racconta la tumultuosa, tragica e bellissima storia della vita della più grande cantante lirica del mondo, rivisitata e reinterpretata durante i suoi ultimi giorni nella Parigi degli anni Settanta.”

La recensione di Maria: una rappresentazione ben eseguita che però non riesce ad andare oltre

In continuità con la seconda parte della sua carriera, Pablo Larraìn chiude un cerchio e termina la trilogia dedicata alle grandi donne, così ribattezzata da lui stesso. Come ci si poteva attendere, da un punto di vista artistico c’è grande continuità nella costruzione delle immagini da parte del cineasta cileno con quanto realizzato in precedenza: se in Jackie il genere prevalente è il thriller psicologico, mentre in Spencer primeggia l’horror, in Maria tocca invece alla tragedia (greca). Per ciò concerne le modalità di messa in scena, e quindi di consapevole utilizzo del linguaggio cinematografico, il filo conduttore che lega tutti e tre i film è la capacità di Larraín di restituire allo spettatore le emozioni – a 360 gradi – delle protagoniste poste davanti l’analitico obiettivo della macchina presa; come? Attraverso l’elaborazione delle immagini mentali, o anche alle proiezioni del sé al di fuori della matrice corporale per raggiungere l’immateriale, per poter scindere il tempo riflettendo su quanto vissuto prima di compiere il definitivo salto dalla vita alla morte.

Per un proposito così ambizioso non poteva che mettersi metaforicamente in gioco il regista in prima persona, la cui personificazione assume le sembianze dell’attore Kodi Smit-McPhee (che ha lo stesso nome di un farmaco), intervistatore-documentarista che pone domande personali alla cantante Maria Callas, ne approfondisce la scissione della sua complessa personalità in “Maria” e “La Callas”, mettendo in luce il rapporto passato/presente, contemplando quindi le cause e gli effetti in termini puramente psicologici. Di fatto la percezione soggettiva in Maria è totale (decide lei cosa è reale, afferma), si sbircia nel suo dolore per ottenere, nella maniera più rispettosa possibile, un ritratto introspettivo fedele agli ultimi giorni della sua esistenza. Si tratta di un’operazione autentica nelle intenzioni, anche perché il cinema diventa tangibile con l’inserimento di quattro ciak per la suddivisione in capitoli, commovente per la trasmissione di un dolore traumatico ma necessario. E poi il montaggio, base del linguaggio della settima arte, qui fondamentale poiché mette in relazione la protagonista con il suo vissuto, portandola da un ricordo/trauma all’altro per lasciarne comprendere la disperazione attuale. La musica, come suggerisce la stessa Callas, le fuoriesce dal corpo per esigenza, per una vocazione alimentata solo ed esclusivamente dalla sofferenza: le belle melodie, d’altronde, nascono dalla tristezza e dalla povertà.

Sul finale Maria Callas sceglie la libertà, sceglie per la prima volta in assoluto di cantare per se stessa e nessun altro (la madre, Onassis), sceglie di andarsene facendo quanto l’ha resa grande agli occhi del mondo, anche perché non ha potuto disfarsi della pluricitata sofferenza, tanto da lasciarsi andare alla morte. Gli elementi che invece lasciano un sapore piuttosto amaro non mancano, poiché una rappresentazione del genere è sì ben eseguita, ma risulta artificiosamente studiata a tavolino. La tragedia greca della cantante, sottolineata persino dalla presenza delle sculture nell’ultima sequenza (ancora rapporto passato/presente), arriva forte e chiaro tramite il volteggiare della sua voce tra un tempo e l’altro, a distanza di anni e a prescindere dai luoghi, poiché letteralmente da casa sua incanta Parigi in punto di morte. Tuttavia, si conclude la visione non pienamente soddisfatti: e allora quali fattori non funzionano in Maria? Pablo Larraín è uno dei più grandi registi contemporanei, ha raggiunto una maturità stilistica invidiabile e in un certo senso può fare ciò che vuole, ma proprio per tale ragione risultano quasi imperdonabili alcune ingenuità in un film così essenziale per l’attuale poetica del regista cileno. Il bianco e nero del passato non è stucchevole nella forma quanto nel contenuto: da un lato le conversazioni con Onassis rendono perfettamente l’idea su quanto fosse arrogante e manipolatore, ma dall’altro la parentesi davvero traumatica non viene mai aperta del tutto, soltanto suggerita tramite ammiccamenti. La storia della Callas è conosciuta, eppure il cinema dovrebbe anche mostrare tramite le immagini e il montaggio, per cui spiazza la scelta di non inserire alcuni personaggi famosi (Pasolini su tutti), ed è scostante non poter osservare un reale approfondimento del passato della cantante. Non ci sono scene audaci, non vengono compiute scelte coraggiose, le quali non devono per forza essere scioccanti, bensì d’impatto sul piano emotivo.

I circa 122 minuti di Maria risultano allora più lunghi del dovuto mentre si attende l’inevitabile, e nonostante la messa in scena regali suoni e inquadrature ampiamente suggestive, non avviene “quel passo in più” nell’atto di raccontare per alzare l’asticella. L’altro problema del film di Pablo Larraín è incredibilmente Angelina Jolie, e non perché l’attrice non abbia impiegato tutto il suo talento, anzi, potremmo definirlo già adesso uno dei suoi migliori ruoli in carriera, è che non lascia emergere in tutto e per tutto La Callas. Ciò implica una difficoltà nello scindere l’attrice dal personaggio interpretato, quindi non si ha mai l’impressione di credere di star vedendo Maria Callas nei suoi ultimi giorni di vita, bensì Angelina Jolie che sfoggia una performance drammatica, toccante ma non totale, proprio per questa motivazione. Maria è un biopic tutt’altro che convenzionale, anche perché un progetto di tale portata affidato ad un altro regista avrebbe probabilmente portato ad un risultato scarno e standardizzato, eppure il cineasta cileno incanta a metà. Le immagini mentali della folla prodotte dalla protagonista, il suo viaggio nei ricordi, il passaggio del tempo segnato dalla perdita della voce, il quale entra in contrasto con il propagarsi immutabile della sua sofferenza, è una somma persuasiva di elementi. Peccato però che a mancare sia anche la deformazione di alcune di queste immagini, e di conseguenza il regista rinuncia alla necessaria brutalità della sofferenza, alla carnalità del tragico in favore di artifici semplicistici.

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Maria
Maria

Maria, come si evince dal titolo, è la rappresentazione della vita della nota cantante Maria Callas, nel film interpretata dalla famosa attrice Angelina Jolie.

Voto del redattore:

7 / 10

Data di rilascio:
Regia:

Pablo Larraín

Cast:

Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Haluk Bilginer, Kodi Smit-McPhee

Genere:

Biografico, drammatico

PRO

Il lavoro sulle immagini mentali della protagonista
La percezione del senso da tragedia greca
La fluidità del montaggio: sono suggestivi i passaggi canori e di eventi tra il passato e il presente
La mancanza di scelte audaci sul piano della narrazione (soprattutto le scene in bianco e nero)
L’assenza di deformazione delle immagini
La scelta di Angelina Jolie per interpretare Maria Callas