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Recensione – Marco, il film biografico di Aitor Arregi e Jon Garano su Enric Marco Batlle

Il biopic di Aitor Arregi e Jon Garano si concentra sulla controversa ed incredibile storia del sindacalista Enric Marco Batlle, per un film sull’importanza della memoria e del saper raccontare una Storia.
Recensione del film biografico Marco

Presentato nella sezione Orizzonti dell’81a edizione del Festival del Cinema di Venezia, Marco è l’intenso biopic incentrato sulla controversa figura di Enric Marco Batlle. Con il protagonista interpretato da Eduard Fernández, il film dal titolo originale Marco, la verdad inventada è la nuova regia della coppia formata da Aitor Arregi e Jon Garano, la quale si prefissa di portare sullo schermo (non senza qualche rischio) la scandalosa storia vera del personaggio protagonista.

Un inusuale sguardo sul tema della memoria e sulla proverbiale capacità di saper raccontare una storia, trasformando in vero l’irreale e viceversa. Di seguito la recensione di Marco, il film spagnolo di Aitor Arregi e Jon Garano di Orizzonti al Festival di Venezia 2024.

La trama di Marco, il biopic diretto da Aitor Arregi e Jon Garano

Su sceneggiatura della stessa coppia di registi, assieme a Jorge Gil Munarriz e Jose Mari Goenaga, Marco è basato sull’assurda storia vera di Enric Marco Batlle, focalizzandosi sul travolgente evento che stravolse la sua vita nel 2005. In particolare, la sinossi ufficiale di Marco recita:

Basato su eventi reali, il film esplora la storia di un deportato spagnolo di un campo di concentramento, che si è rivelata essere fittizia. Il racconto della vita di un uomo di immenso carisma che per anni si è autonominato portavoce dell’Associazione spagnola delle vittime dell’Olocausto e che ha sostenuto, in pubblico e persino all’interno della sua stessa associazione – come all’interno della propria famiglia – una complessa ed elaborata menzogna: quella di essere stato prigioniero in un campo di concentramento nazista.

La recensione di Marco: credere ad un racconto forgia la memoria

Ancora nel 2024 continuano a soffiare, soprattutto in Europa (ma non solo), venti tossici per i quali si ha sempre la speranza di averli relegati alle pagine del passato, della storia. Senza troppi dubbi di coscienza, quella delle deportazioni negli inumani campi di concentramento nazisti fa parte della pagina più oscura della sopravvivenza dell’essere umano sulla Terra.

Anni di indicibile sofferenza raccontata ormai in tutte le salse (con la presenza ancora di deplorevoli negazionisti), dai reperti archeologici, alle testimonianze orali e scritte, passando inevitabilmente per l’Arte della musica e del cinema. Sotto quest’ultimo punto di vista, molti sarebbero i titoli arcinoti nella Settima arte che portano sullo schermo gli orrori dell’Olocausto, spesso raccontati dai protagonisti che quegli stessi orrori li hanno vissuti sulla propria pelle. A tal proposito arriva il film spagnolo Marco, il biopic di Aitor Arregi e Jon Garano incentrato sull’incredibile storia vera di Enric Marco Batlle.

Una narrazione falsa e non veritiera che diventa imprescindibile per un pubblico di ascoltatori, con la surreale vicenda del sindacalista affabulatore che diventa essa stessa lo specchio del cinema. Sfruttando il fondamentale ruolo della memoria collettiva in un tema così delicato come quello dell’Olocausto, i registi elaborano così un saggio sulla capacità di saper raccontare una storia, manipolarla senza dare nell’occhio, arrivando a stravolgere la realtà ed a mutare l’identità di una persona.

Quest’ultima è quella del protagonista Enric, un vero e proprio camaleonte da questo punto di vista, capace di penetrare nella mente degli ascoltatori grazie alla sua proverbiale oratoria per imprimere la sua verità, o almeno quella che si vuole far credere. Si assiste alla costruzione di un personaggio abbietto, viscido e che trova nel tradimento la sua fonte di vita più che di successo. Eppure, attraverso una rischiosa ed ambigua operazione narrativa, il personaggio resta quello protagonista da “coccolare” fino alla fine, con la sua parlantina capace di conquistare anche uno spettatore che ha appena imbracciato torcia e forcone.

Alla fine della fiera, Enric risulterebbe uno spregevole bugiardo, senza ombra di dubbio, ma non un criminale. Il suo mentire non ha cagionato effettivi danni ai suoi cari e non ha portato avanti la sua crociata per poter intascare in maniera truffaldina qualche denaro in più, ma per una buona e giusta causa, quella di dare voce ai sopravvissuti di quegli orrori. Sebbene poi la sua reale prigionia ed esperienza nel campo tedesco di Flossenbürg non possa essere creduta ed accettata ad occhi chiusi, tali probabili sofferenze patite sembrerebbero essere reali, facendo quindi riferimento ad una vittima del delirio nazista.

Il protagonista di Marco ne fuoriesce quindi come fortemente ambiguo, tanto spregevole e deplorevole quanto ammirabile nella sua proverbiale dialettica e tenacia di portare avanti la sua personale crociata contro tutto e tutti. A dare maggior forza al personaggio è un’emozionante prova di Eduard Fernández, 2 volte vincitore del premio Goya per il Miglior Attore Protagonista e presente in altri celebri film come La pelle che abito di Pedro Almodóvar.

Oltre all’interessantissimo tema lanciato in pasto d’analisi sulla fondamentale capacità di saper raccontare una storia – tanto nella vita “reale” quanto attraverso lo stesso cinema – ed una grandissima prova da protagonista di Fernandez nel trasmettere tutte le tormentate emozioni e preoccupazioni del suo scomodo cantore, Marco riesce ad appassionare per la costruzione della sua narrazione. Successivamente ad una prima parte, più vicina alle corde del dramma-storico per inquadrare al meglio il fine ultimo della crociata di Enric, il film prende completamente ritmo nel suo punto di svolta centrale.

Dalla minaccia dello storico Bermejo, la visione si inoltra nei meandri di un cupo thriller ed una continua lotta psicologica dove il protagonista deve dare sfogo alla sua genialità per uscire dalla scomoda situazione volta dopo volta. Con l’ultimo atto si assiste invece ai nefasti effetti che la verità cagiona allo stesso Enric e alle persone a lui care, con il primo inabissato in un vortice di emarginazione e screditamento dalla quale vuole avidamente uscire.

Avviandosi a concludere gli ultimi momenti biograficamente importanti nella vita del protagonista, il film continua fino alla fine a sottolineare la determinazione di Enric nel vedere riconosciuta la sua verità. Una voce, seppur falsa ed ingannatrice, che meriterebbe di essere ascoltata, tanto per la sua capacità di ammaliare l’ascoltatore quanto per l’obiettivo prefissato, dare maggiore importanza alla memoria storica tramandata dai sopravvissuti. E quindi il fine giustifica i mezzi?

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Marco
Marco

Un'incredibile storia ed un'affascinante trattazione sulla capacità della finzione di manipolare la realtà, contando su un'ottima prova dell'attore protagonista.

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:
Regia:

Aitor Arregi e Jon Garaño

Cast:

Eduard Fernández, Nathalie Poza

Genere:

Biografico, drammatico, thriller

PRO

Un racconto ambiguo ed inusuale sugli orrori dell’Olocausto e sull’arte della finzione, basato su un’incredibile storia vera.
Emozionante la sofferta prova da protagonista di Eduard Fernández.
Una costruzione della narrazione che verte sì sul materiale biografico e semi-documentaristico per trasformarsi poi in un dramma e thriller psicologico.
Una storia forte della sua di storia e sulla prova del cast, con un comparto tecnico che non riesce tuttavia ad imprimere memorabile potenza immaginifica.