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Famiglie come la nostra, la serie TV di Thomas Vinterberg ambientata in un futuro distopico (e nemmeno troppo)

Tra le quattro serie TV presentate fuori concorso all’81esima edizione del Festival di Venezia c’è Famiglie come la nostra, di Thomas Vinterberg: ma com’è qualitativamente parlando?
Recensione Famiglie come la nostra, serie TV Venezia81 Thomas Vinterberg

Famiglie come la nostra (Familier som vores) è una delle serie TV più attese tra quelle presentate fuori concorso in vista di Venezia81. Il Festival, come annunciato dal direttore artistico Alberto Barbera, ha deciso di dare maggior spazio alla serialità, elemento contemporaneo davvero essenziale nel mondo di oggi. Storia suddivisa in 7 episodi, com’è effettivamente Famiglie come la nostra? Di seguito la recensione della serie TV di Thomas Vinterberg (Un altro giro), cineasta danese tra i più famosi in assoluto.

La trama di Famiglie come la nostra, serie TV di Thomas Vinterberg

Famiglie come la nostra è stata presentata in anteprima mondiale alla 81esima edizione della Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, più precisamente nelle giornate del 31 agosto e del 1° settembre 2024. Si tratta di una delle attesissime quattro serie televisive presentate fuori concorso al Festival: ma di cosa parla Famiglie come la nostra? La trama ufficiale della serie TV di Thomas Vinterberg:

“I paesi scompaiono, l’amore resta. Danimarca, un futuro non troppo lontano. Non si può ignorare l’aumento del livello delle acque e si deve evacuare il paese. Mentre gli abitanti si disperdono in tutte le direzioni, devono dire addio a ciò che amano, a ciò che conoscono e a ciò che sono. Il cambiamento è lento ma inesorabile. Tutte le proprietà perdono valore, tutte le fortune cambiano e la sorte favorisce solo pochi. Quelli che possono permetterselo viaggiano in paesi ricchi, mentre i meno abbienti dipendono dal governo e devono spostarsi verso destinazioni più problematiche. Famiglie, amicizie e persone care vengono separate. Alcuni saranno sopraffatti dall’odio e dalla divisione, mentre altri nutriranno amore e promuoveranno nuovi inizi. È in questo frangente che facciamo la conoscenza di Laura, una studentessa delle superiori a un passo dal diploma che si è innamorata per la prima volta. Quando si diffonde la notizia dell’evacuazione, la vita di Laura e della sua famiglia cambia corso per sempre e la ragazza è costretta a una scelta impossibile tra le tre persone che ama di più.”

La recensione di Famiglie come la nostra, una serie TV con un grande potenziale che però resta inespresso

Come confermato a sua tempo dai diretti interessati, tra cui Woody Allen, molto spesso i registi che danno se stessi anche alla televisione riscontrano non poche difficoltà nella “conversione”, sia stilistica che puramente narrativa. Presentata fuori concorso a Venezia81, Famiglie come la nostra è la prima serie TV del famoso cineasta danese Thomas Vinterberg, fresco vincitore del premio Oscar come miglior film internazionale per Un altro giro (2020). L’idea di poter raccontare l’eventualità, e quindi la distopia, di una Danimarca costretta a sfollare per ragioni puramente geografiche è sicuramente un’occasione per veicolare un messaggio d’impatto agli occhi del pubblico, ma al contempo rappresenta una strada suggestiva per l’inserimento di una denuncia sociale che riguarda tutti noi. Il prologo di questo prodotto suddiviso in 7 episodi parte in quarta con l’annuncio della devastante notizia, seguita poi, o meglio preceduta, da sei mesi caratterizzati dai preparativi, dalle difficoltà psicologiche, da ardue scelte e dall’accettazione di un cambiamento imparagonabile a qualsiasi altro evento. L’esistenza di una famiglia, quella su cui si concentra Vinterberg nella serie televisiva, viene sconvolta, ma non mancano personaggi secondari che ruotano attorno ai principali allo scopo di evidenziare l’universalità di determinate problematiche.

Per la maggior parte del tempo ci si interroga sulla complessità delle procedure burocratiche, su quei passaggi resi eccessivi, sia politicamente che socialmente, al punto tale da forzare le famiglie a separarsi. Come anticipato, l’elemento di maggior stimolo per ciò che concerne la contemporaneità nella quale viviamo è destata dalla presenza di nuovi rifugiati, definizione che scinde ogni etnia quando ci si trova di fronte situazioni allarmanti come la distopia immaginata da Vinterberg. Se il fattore scatenante è un chiaro riferimento ad un altro enorme problema moderno, ossia i cambiamenti climatici, le conseguenze sono perlopiù legate all’emersione della parte più grottesca dei vari Stati europei, nonché degli individui formanti le diverse nazioni. L’anello di congiunzione è quindi una causa X, ma le reazioni mostrate nel corso di Famiglie come la nostra, pur essendo diversificate, vorrebbero mettere in risalto il cinismo e la brutalità di chi non riesce (e non vuole) andare oltre il proprio naso compiendo un atto profondamente egoistico. Colpisce allora la presenza di coloro che in forma abusiva organizzano trasporti pericolosi da un Paese all’altro, la disumanità di chi non intende includere gli stranieri nella propria terra o di chi non ha altro a cuore che se stesso ed il proprio tornaconto (anche economico). Si tratta di meccanismi presenti praticamente da sempre, eppure di frequente si sottovaluta che possa succedere anche in realtà più vicine alla nostra, come per l’appunto avviene per la tranquilla Danimarca; dunque, la serie TV in questione non fa altro che estendere una riflessione globale avvalendosi di un espediente distopico.

La narrazione di Famiglie come la nostra, almeno concettualmente, ha del potenziale incredibile da sfoggiare. Ciononostante non riesce ad esprimere quanto potrebbe, per cui sfortunatamente Vinterberg è rimasto vittima dell’inesperienza nell’ambito televisivo. Infatti, la preoccupazione maggiore è data dalla faticosa elaborazione delle storie da seguire: all’inizio ci sono in ballo più personaggi, tutti legati tra loro da una parentela, ma gradualmente è Laura ad affermarsi come la protagonista, specie per la sua storia d’amore con Elias. Non tutti hanno il giusto minutaggio, e sebbene duranti i 7 episodi non si riesca ad avvertire empatia per gran parte della famiglia pensata per il piccolo schermo, il vero grattacapo è rappresentato proprio da Laura, scelta che rende complessivamente sbilanciato il racconto. Si tratta di un personaggio al quale viene fornito anche troppo spazio, per cui arriva addirittura a coprire le azioni, le difficoltà, i desideri ed i pensieri degli altri. Il montaggio alternato non rende giustizia, figurando come un obbligo imposto dal linguaggio televisivo piuttosto che come un’urgenza espositiva. È vero che si sta dando vita ad una reale scissione familiare, oltre che nazionale, tuttavia il distacco emotivo diventa così ingombrante da indurre lo spettatore a perdere interesse con il passare dei minuti. Ci si ritrova ben presto in un contesto di totale impasse anche perché gran parte degli espedienti narrativi sono così banali (la scelta di Laura di prendere il traghetto; la pistola; l’abbondante ingenuità di Elias) da sorpassare in più occasioni il confine segnato dalla sospensione dell’incredulità, punto che dovrebbe essere invece fermissimo in una serie TV volenterosa di esprimersi sull’epoca attuale.

Per approfondire, si potrebbero segnalare i due viaggi on the road di quelli che a tutti gli effetti diventano i protagonisti: tali espedienti diventano via via più deboli siccome vengono messi in scena con un insolito (per il regista) modo di fare ridondante. Da un lato Laura viene maltrattata, è costretta a sborsare soldi, deve trovare soluzioni alternative come attraversare la foresta al confine tra la Russia e la Polonia, dall’altro Elias riesce a varcare i confini tra Danimarca e Germania, poi tra quest’ultima e la Polonia. La maniera con cui nel finale si incrociano i due destini non crea il pathos auspicato e, fatto ben più grave, non appare nemmeno lontanamente come la conclusione di un racconto, televisivo o cinematografico che sia. Dunque, dopo eventi narrati senza che vi sia una particolare tensione, si giunge alla fine con la consapevolezza di aver goduto di performance attoriali di spessore da parte di tutto il cast, nonché alla propagazione di un nobile messaggio, ovvero che a prescindere dal luogo si deve sempre contare sul sostegno della famiglia (come suggerisce il titolo), delle persone che ci amano e che a nostra volta amiamo. In tal senso la Danimarca continua ad esistere in tutto il mondo proprio grazie all’affermazione identitaria dei suoi abitanti al di fuori dei confini, poiché hanno saputo ripartire da zero facendo sacrifici su sacrifici, perdendo tutto (o quasi), ma non ciò che è di maggior rilievo: la famiglia. Peccato che a depotenziare il contenuto sia stata la forma, complice una sceneggiatura poco brillante che non cavalca le intuizioni, come ad esempio il personaggio di Lucas e le connotazioni da lui scaturite (il disegno; la capacità di vedere nelle persone; gli sfoghi). Famiglie come la nostra è, dispiace dirlo, un prodotto mediocre che vive di idee e buoni sentimenti, ma che non ha il coraggio di mostrare realmente anche il marcio e la cattiveria quando deve.

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Famiglie come la nostra
Famiglie come la nostra

Regista e sceneggiatore danese, Thomas Vinterberg (Un altro giro; Festen - Festa in famiglia; Il sospetto) si è prodigato nella realizzazione della sua prima serie TV in assoluto: partendo da una distopia tenta di delineare un ritratto sulla contemporaneità.

Voto del redattore:

5 / 10

Data di rilascio:
Regia:

Thomas Vinterberg

Cast:

Amaryllis August, Albert Rudbeck Lindhardt, Nikolaj Lie Kaas, Paprika Steen, Helene Reingaard Neumann, Magnus Millang, Esben Smed, David Dencik, Thomas Bo Larsen, Asta Kamma August

Genere:

Drammatico, distopico

PRO

L’estensione della narrazione attorno al titolo, a partire da un’ottima idea (la distopia)
Le interpretazioni di tutto il cast
L’ambizione di voler parlare della contemporaneità (rifugiati, confini)
Gli espedienti narrativi sono troppo banali e il confine segnato dalla sospensione dell’incredulità viene più volte superato
Il minutaggio dedicato ai personaggi è sbilanciato, per cui il montaggio alternato viene depotenziato
Il finale non rende giustizia a quanto raccontato
Non vengono mostrati cinismo e brutalità quando necessari