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The Brutalist è il manifesto programmatico di un nuovo modo di fare cinema

Terzo film da regista per Brady Corbet, probabilmente al suo lavoro più ambizioso in assoluto: presentato in concorso a Venezia81, con protagonisti Adrien Brody e Felicity Jones, com’è The Brutalist?
La recensione di The Brutalist, il film di Brady Corbet con Adrien Brody presentato in anteprima al Festival di Venezia 2024

Un film impossibile che è stato reso possibile: questo, in breve, il commento di Brady Corbet che giunge al Festival di Venezia 2024 con The Brutalist, probabilmente il progetto più ambizioso della sua carriera. Il regista, che ha già diretto The Childhood of a Leader – L’infanzia di un capo e Vox Lux con Natalie Portman, dirige un sontuosissimo lavoro dalla durata di 215 minuti che vede Adrien Brody nei panni del protagonista László Tóth. Ma con quale risultato? Per comprenderlo, è importante considerare innanzitutto la trama del film The Brutalist, per poi procedere con la recensione del lungometraggio che annovera anche le presenze di Guy Pearce, Felicity Jones e Joe Alwyn.

La trama di The Brutalist, il nuovo film di Brady Corbet presentato al Festival di Venezia 2024

Prima di procedere con la recensione di The Brutalist, è importante sottolineare innanzitutto quale sia la trama che vede Adrien Brody nei panni del protagonista. Il film costituisce un ambiziosissimo progetto in 70mm per l’autore francese, che giunge al Festival di Venezia 2024 con un lavoro particolarmente sontuoso, che racconta la storia di László Tóth. Al di fuori del particolare caso di omonimia – con il criminale ungherese che sfregiò la Pietà del Vaticano e che divenne noto per un fatto di cui si hanno ancora pochissime testimonianze -, il racconto del regista francese riguarda un architetto ebreo che è stato costretto ad emigrare dall’Ungheria agli Stati Uniti nel 1947 e che, dopo aver vissuto in condizioni di povertà nel corso della sua vita, riesce finalmente a revitalizzare la sua intera esistenza attraverso un contratto e un progetto che lo terrà impegnato per 30 anni di carriera.

La recensione di The Brutalist: una nuova concezione dell’arte

Le Corbusier scriveva, nella sua raccolta di saggi Verso una architettura del 1923, che “L’architettura consiste nello stabilire relazioni in movimento con le materie prime”. Il concetto di béton brut, successivamente, diventerà il presupposto fondante della corrente del brutalismo, un superamento del modernismo formale e artistico che prese piede in Europa a partire dagli anni ’50, costituendo il fondamento di numerosi esempi di design industriale e architettura d’interni. Quando si pensa all’arte brutalista, i primi riferimenti che vengono in mente sono quelli dell’estrema cementificazione e del ricorso a linee squadrate e colori patinati, gli stessi che si osservano nella mastodontica opera di László Tóth, il protagonista di The Brutalist magistralmente interpretato da Adrien Brody. Elaborando la sua opera come un puro manifesto di arte brutalista, Brady Corbet seziona il suo intero progetto e lo divide entro linee e sezioni precise, che reinquadrano il film tutto entro una rigidità formale soltanto apparente, che permetta – accanto alla vita dell’architetto ungherese – di elaborare anche una complessa rappresentazione della storia americana. Potremmo considerare The Brutalist diviso in due parti, tanto nella sua concezione squisitamente strutturale, quanto nell’elaborazione di generi proposti all’interno del film: in mezzo c’è una delle intuizioni più notevoli del cinema di Corbet, l’intermission dalla durata di 15 minuti che costituisce parte integrante di The Brutalist e che rappresenta un ulteriore omaggio alla confezione dei grandi kolossal del passato, che la prima parte del film evidentemente omaggia.

Utilizzando il 70mm, Brady Corbet offre estremo respiro al suo racconto, che si arricchisce anche di quei preziosismi estetici (quali bruciature di pellicola o riflessi di luce) che accompagnano l’intera rappresentazione, ben inseriti all’interno di un film che si pone, come obiettivo, la commistione tra elementi di esaltazione e rimando al passato con caratterizzazioni tipiche di quel postmodernismo che, nell’ambito del cinema contemporaneo, si traduce troppo spesso in forme di citazionismo aprioristico e screvro. Un manifesto programmatico di nuova arte, dunque, e di un nuovo modo di concepire la settima arte entro parametri precisi che vadano oltre il confine del cinema e dell’opera filmica: The Brutalist si serve dell’uno per allargare il suo discorso al tutto, si districa tra i generi, regala ad ognuno dei suoi attori alcune delle interpretazioni più importanti della propria carriera e, soprattutto, riesce in ciò che le grandi epopee hanno compiuto nel corso della storia del cinema. Da Casablanca a C’era una volta in America, da Il Padrino a Il Petroliere, The Brutalist segue la storia di un solo uomo colto all’interno dell’universo che (lo) abita, tra genio e sregolatezza, affrontando ogni caratterizzazione del venire al mondo, tanto artistico quanto narrativo: non è un caso che una delle prime riprese del film sia quella della Statua della Libertà rovesciata, così come emblematico è anche il tema linguistico all’interno del lungometraggio, che rappresenta un elemento di formazione identitaria del protagonista.

Il “brutalista” di cui si parla è uno dei tanti figli dell’esodo ebraico ma, benché la funzione ideologica dei singoli personaggi sia perfettamente delineata – tramite un discorso che viene portato avanti attraverso il film, anche per mezzo di una radio di sottofondo, di un comunicato o di una qualsiasi altra forma di cristallizzazione temporale -, Brady Corbet è abilissimo a mascherare costantemente il suo ego e il suo pensiero, delineando una storia fatta di creste e ventri e servendosi dell’impalcatura di un biopic/storia vera e, di fatto, utilizzando la stessa tecnica che era stata già presentata in Tár con Cate Blanchett nel ruolo di Lydia Tár. Il risultato si osserva in quei 215 minuti che, per tanti spettatori, sono stati e saranno un deterrente: quello che si può vedere è la testimonianza di un’epoca, in un racconto degli Stati Uniti che viene presentato attraverso il fallimento del caratteristico sogno americano, uno specchietto per le allodole che nasconde molestie e soprusi, magistralmente rappresentate attraverso i personaggi di Guy Pearce e Joe Alwyn; offrendo, allora, un parallelo di tale discorso, il vero e proprio passaggio fondamentale si manifesta nel momento in cui, con il crollo della dimensione fiabesca degli Stati Uniti, la pellicola cede al disorientamento e al vagabondaggio, due elementi tipici della crisi evolutiva della storia del cinema. Lo stesso finale, con la sua funzione catalogatrice, rappresenta l’estrema forma di postmoderno che si cristallizza nell’emblema dell’immagine fissa su schermo, prima della verità svelata dal personaggio della nipote, qui interpretata da Ariane Labed: l’intera opera di László è forma di rimembranza degli orrori dell’Olocausto, rievocati attraverso le linee squadrate delle sue installazioni, che richiamano la forma delle celle e delle prigioni a cui il popolo ebraico è stato destinato. Se esistesse un film per cui è lecito utilizzare la parola capolavoro, The Brutalist ne è il perfetto esempio: il futuro della storia del cinema passa attraverso prodotti di questo genere e, soprattutto, ha bisogno di una riqualificazione di tale valore che sappia, oltre ogni dominio di forma e contenuto, riportare l’arte all’arte.

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The Brutalist
The Brutalist

The Brutalist è il terzo film diretto da Brady Corbet, un progetto molto ambizioso del regista francese in 70mm che racconta la vita dell'architetto ebreo László Tóth, costretto ad emigrare dal suo paese verso gli Stati Uniti.

Voto del redattore:

10 / 10

Data di rilascio:

31/08/2024

Regia:

Brady Corbet

Cast:

Adrien Brody, Guy Pearce, Felicity Jones, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Stacy Martin, Isaach De BankolP, Alessandro Nivola

Genere:

Drammatico

PRO

Il manifesto di una nuova forma d’arte presente nel film
Nessuno