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April, la nuova esasperazione visiva di Dea K’ulumbegashvili

Secondo film dietro la macchina da presa per Dea K’ulumbegashvili, che dirige April, un delicato racconto femminista prodotto da Luca Guadagnino e con Ia Sukhitashvili.
La recensione di April di Dea K'ulumbegashvili, film prodotto da Luca Guadagnino e presente a Venezia81

Secondo film dietro la macchina da presa per Dea K’ulumbegashvili, regista e sceneggiatrice georgiana di origini ossete, April rappresenta uno dei titoli che sono stati inclusi nella sezione del Concorso del Festival di Venezia 2024. Il racconto austero che attinge a piene mani dal mondo della medicina, permettendo anche di inquadrare la dinamica degli aborti, viene qui tratteggiato in maniera molto delicata all’interno del film, dalla durata di 134 minuti: ma con quale risultato? Di seguito, si indica tutto ciò che c’è da sapere a proposito della trama e della recensione di April, che vede nel suo team di produzione anche Luca Guadagnino.

La trama di April, il film di Dea K’ulumbegashvili prodotto da Luca Guadagnino

Nel definire quale sia la recensione di April, è importante innanzitutto sottolineare quale sia la trama del film diretto da Dea K’ulumbegashvili, regista georgiana alla sua esperienza dietro la macchina da presa, che torna a dirigere un film dai tempi di Beginning del 2020. Il film in questione racconta di Nina, una ginecologa che vive la sua vita austera e che viene messa in discussione, così come il suo lavoro, a seguito di un aborto che coinvolge una sua paziente: il dubbio è quello di una pratica illegale di aborto che venga realizzata, da parte della ginecologa, per tutte quelle donne che vogliono privarsi del loro futuro bambino. Il destino professionale e l’etica della donna vengono messi in discussione, ma con quale esito?

La recensione di April di Dea K’ulumbegashvili: estremismi e provocazioni visive

Quello dell’aborto è uno dei temi ancora oggi più dibattuti in ambito sociale e politico, soprattutto per le numerose implicazioni che sono osservate in termini di scontro ideologico. Nella valutazione di tale fenomeno, non si può fare a meno di notare che esistano delle realtà in cui l’accesso ad una serie di diritti minimi appare assolutamente negato: una di queste è quella georgiana, e più in generale post-sovietica, i cui disastri sociali erano già stati descritti da Dea K’ulumbegashvili in Beginning. Il suo secondo film, April, porta all’estremo la forma, in un tentativo di provocazione visiva che riesca a restituire – allo spettatore – quel clima di repressione che la protagonista, interpretata da Ia Sukhitashvili, vive. La pratica illegale degli aborti, che vengono realizzati principalmente all’interno di un villaggio dove le donne incinte non hanno possibilità di svelare la loro gravidanza (o di abortire nella capitale, Tbilisi), diventa così l’unico mezzo possibile per la libertà di un popolo martoriato per le sue condizioni politiche e sociali.

Riducendo all’osso l’uso del controcampo e scegliendo volutamente un ritmo che lambisca l’idea di slow cinema, Dea K’ulumbegashvili crea una cornice estremizzata nella sua forma, servendosi della camera fissa per la maggior parte delle riprese e affiancandola spessa all’uso della soggettiva. Al suo interno, il racconto di Nina, una ginecologa che realizza aborti illegali e che vede il suo lavoro minacciato a seguito della morte di un neonato cinque minuti dopo la nascita; ci si intenda, quello di April non è assolutamente un risultato perfetto: le intenzioni sono ottime, il tema fenomenale e i preziosismi estetici del film ancor più graditi, soprattutto nel momento in cui si riesce a comprendere la concreta idea di regia che si trova alla base del film. Tuttavia, il lungometraggio soffre di una dispersitività e di uno sfilacciamento che – per quanto voluti – rappresentano un estremo limite rispetto alle enormi potenzialità. Dea K’ulumbegashvili dimostra, ancora una volta, di avere una piena conoscenza della materia che tratta e, soprattutto, di muovere i suoi passi con estremo rispetto della figura femminile, che viene raccontata attraverso le sue due immagini: quella effettiva e quella repressa, che prende forma attraverso un corpo mostruoso e incavato.

Il tema della repressione, in Nina, diventa sempre più marcato all’interno del film, mettendo – di volta in volta – in luce il volto del personaggio che appare sempre più in primo piano, rispetto alle riprese di taglio (o alla già citata assenza di controcampi) che si propone all’inizio del lungometraggio; la sapienza delle riprese non è mai banale, a dimostrazione di una grandissima abilità nella regia dell’autrice georgiana, che dedica il necessario – portato all’estremo – spazio ad ogni momento della vita di Nina, a partire dal parto iniziale fino all’interminabile scena dell’aborto. È un vero peccato che, dati questi presupposti, il film non riesca a gestire parte del suo ritmo nella seconda parte di un racconto che diventa, inevitabilmente poiché si vuole fare a meno di un impianto evolutivo della trama, ridondante tanto nella sua forma quanto nel contenuto: eppure, c’è grande maestria nella mano di Dea K’ulumbegashvili e le premesse per un futuro importante, che la porti anche ad esser meglio gestita in termini produttivi, sono davanti ai nostri occhi.

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April
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Il secondo film dietro la macchina da presa di Dea K'ulumbegashvili, prodotto da Luca Guadagnino, presenta un saggio molto articolato sulla delicata femminilità, attraverso il racconto di una ginecologa accusata di favorire aborti illegali.

Voto del redattore:

6.5 / 10

Data di rilascio:

04/09/2024

Regia:

Dea K'ulumbegashvili

Cast:

Ia Sukhitashvili, Kakha Kintusurashvili, Merab Ninidze

Genere:

Drammatico

PRO

I preziosismi formali del film
La rappresentazione della repressione di Nina
Il ritmo claudicante nella seconda parte del film
L’assenza (voluta) di un’evoluzione dei personaggi