Recensione – The Penguin 1×06: Summit d’oro

Avvicinandosi al finale di serie, The Penguin giunge al suo sesto episodio, che prende il titolo di Summit d’oro: ma qual è il suo risultato?
Recensione - The Penguin 1x06: Summit d'oro

Articolo pubblicato il 28 Ottobre 2024 da Bruno Santini

Distribuita sui canali di Sky e sulla piattaforma di streaming di NOW TV, Summit d’oro è la sesta puntata della serie The Penguin, che costituisce uno spin-off del film The Batman incentrato sul personaggio di Oswald Cobb, con Colin Farrell nei panni del protagonista e con il personaggio di Sofia Falcone (interpretata da Cristin Milioti) sempre più centrale all’interno del cast. L’episodio numero 6, ancora una volta una transizione – seppur interessante – verso il finale della serie, pone in essere altri elementi da tenere d’occhio: ma quali? Nel comprenderlo, è importante sottolineare quale sia la recensione di The Penguin 1×06, Summit d’oro.

La trama di The Penguin 1×06, Summit d’oro

Come sempre, prima di procedere con la recensione del sesto episodio di The Penguin, è importante sottolineare innanzitutto la trama dello stesso, che permette di analizzare anche parte di quei rapporti tra i personaggi che porteranno inevitabilmente alla fine della serie in questione. Come già osservato, Oz e Victor si trasferiscono a Crown Point con Francis – la madre del Pinguino – dove riescono a costruire un vero e proprio impero basato sulla coltivazione del Bliss. Tuttavia, Sofia e Sal Maroni si alleano e trovano il modo per indebolire il potere di Oswald, uccidendo alcuni degli uomini della Triade che, per questo, vengono meno ai rapporti stipulati con il Pinguino. Mentre questi tenta di fronteggiare alcuni problemi, tra cui anche quello della mancanza di corrente a Crown Point, Victor si scontra con Squid che tenta di entrare nel giro del potere di Oz, per cui il ragazzo è costretto a uccidere il suo ex committente, vivendo un trauma per il suo primo omicidio a sangue freddo. Intanto, grazie ad una soffiata, Sofia riesce finalmente a trovare il rifugio di Oswald.

La recensione del sesto episodio di The Penguin

Giungere al finale di una serie televisiva non è mai un qualcosa di semplice, come dimostrano alcuni dei casi più importanti nella storia della televisione, spesso neanche tanto per il finale stesso – narrativamente uno dei primi elementi da essere costruito – quanto più per il percorso seguito dall’azione nelle sue fasi intermedie. The Penguin ha inevitabilmente già raggiunto il suo apice con il quarto episodio della serie, definito da molti come uno dei migliori della storia, e si avvia lentamente verso un procedere compassato (ma deciso) verso il finale; è evidente, allora, che se si effettua un paragone tra queste due parti si potrebbe in qualche modo essere delusi, considerando soprattutto che il sesto episodio di The Penguin, Summit d’oro, pur nella sua azione si prenda del tempo per offrire un’esemplificazione di alcuni elementi. Ciò che appare, a seguito della crescita del personaggio di Sofia Falcone, è una volontà particolarmente marcata di riportare in primo piano il Pinguino, giustificando così anche gli intenti della serie e permettendo una ancor più complessa caratterizzazione del protagonista interpretato da Colin Farrell, ancora una volta colto nel rapporto con il suo passato e con la morte dei fratelli. In tal senso, la spalla offerta dalla madre Francis è sicuramente una delle più riuscite della serie, così come continua ad essere interessante il trattamento del personaggio di Victor Aguilar, qui tratteggiato nel trauma che vive dopo aver ucciso a sangue freddo una persona per la prima volta.

Molte delle dinamiche presentate sullo schermo, a ben vedere, non sono delle innovazioni geniali che la serie si concede: lo stesso omicidio di Squid, nel modo in cui avviene e nella reazione successiva, sa di un già detto che comunque non toglie qualità a ciò che si osserva, ma per cui non si può gridare al capolavoro come – diffusamente – si sente. Visivamente, e in una messa in scena che ormai sembra aver trovato definitivamente il suo compimento, The Penguin resta un prodotto tanto fedele quanto incarnato da Matt Reeves, che nelle vesti di produttore esecutivo compie un lavoro eccezionale nel costruire la sua epica cittadina attraverso un ulteriore elemento di world building: il sottosuolo. L’azione, allora, acquisisce un piano ancor più profondo di svolgimento, determinato sia dalla claustrofobia di quei sotterranei dove si produce il Bliss, sia dalla più classica delle interazioni sociali alto-basso che caratterizzano la concreta rappresentazione della lotta sociale. Il Pinguino, nel suo essere moralmente e costantemente ambiguo, funziona quasi come un demiurgo tra due mondi: quello del benessere, cui anela, e quello della ristrettezza e della pena, da cui deriva, barcamenandosi claudicante tra due realtà nelle quali appare costantemente a suo agio. Con un cliffhanger piuttosto atteso, ma con qualche espediente di troppo che appare leggermente forzato nella sua resa (come il modo in cui Sofia scopre del nascondiglio di Oswald) si giunge al finale che anticipa gli ultimi due episodi della serie, da cui ci si aspetta sicuramente tanto.

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