5 minuti che possono cambiare una carriera

A volte, per rendere una carriera iconica, bastano pochissimi minuti: è il caso di Anthony Hopkins in Il silenzio degli innocenti, ma potrebbe essere così anche per Jesse Plemons in Civil War.
5 minuti che possono cambiare una carriera

Articolo pubblicato il 14 Novembre 2024 da Bruno Santini

Benché la memoria collettiva ne conservi un ricordo molto più approfondito, l’interpretazione di Anthony Hopkins in Il silenzio degli innocenti ha la durata di soli 16 minuti, che sono comunque valsi all’attore un Premio Oscar come miglior attore protagonista all’interno del film; accanto a questo record, ce ne sono di altri ancor più iconici, come quello di Beatrice Straight che – per soli 5 minuti – venne premiata nel contesto di Quinto potere. Il modo in cui alcune immagini e interpretazioni possono cristallizzarsi nell’ambito della memoria popolare, talvolta, prescinde dalla presenza sullo schermo e, in tempi recenti, c’è un’interpretazione che ha saputo (giustamente) conquistare lo spettatore: quella di Jesse Plemons in Civil War. Soli 5 minuti totali di presenza sullo schermo, per l’attore che, grazie ad un mix perfetto di elementi, potrebbe finalmente aver trovato la chiave di volta definitiva nella sua carriera.

Jesse Plemons deserved

Non troppo tempo fa, commentando il film di un suo storico collaboratore come Martin Scorsese, Paul Schrader criticava l’impostazione di Killers of the Flower Moon, soprattutto per quanto riguarda il ruolo che era stato affidato a un Leonardo DiCaprio che, del resto e con grande sgomento, non aveva guadagnato neanche una nomination nella cinquina degli attori agli Oscar 2024. La soluzione, suggerita dal regista, sarebbe stata quella di invertire i ruoli con quello di Jesse Plemons che, in questo modo, si sarebbe ritrovato di colpo ad essere protagonista nel contesto di uno dei film più chiacchierati degli ultimi anni: che Killers of the Flower Moon sia un progetto nato con tutt’altri intenti (raccontare le origini dell’FBI negli Stati Uniti) è ormai cosa nota, ma è molto utile soffermarsi proprio su quell’altro attore che è stato troppo spesso protagonista di vicende simili, nelle quali il suo immenso talento non è stato in grado di primeggiare.

Attore che ha avuto la possibilità di lavorare con grandi registi – da Steven Spielberg a Paul Thomas Anderson, passando per Jane Campion e Martin Scorsese -, Jesse Plemons si è spesso ritrovato al centro di realtà assolutamente imprevedibili (o comunque, la cui portata non si immaginava essere tale), nelle quali il suo talento non sempre ha avuto la possibilità di emergere al meglio. In The Master di Paul Thomas Anderson viene totalmente schiacciato da alcuni giganti, come Joaquin Phoenix, Amy Adams e Philip Seymour Hoffman, mentre in Judas and the Black Messiah la scena è tutta del poi premiato Daniel Kaluuya. Persino nelle sue esperienze Netflix è sfortunato: nel film Il potere del cane guadagna una nomination come miglior attore non protagonista, ma il suo ruolo – anche per ragioni di scrittura del personaggio – è molto meno vendibile rispetto a quello di Benedict Cumberbatch e, nella stessa categoria, Kodi Smith-McPhee. In Black Mirror, invece, figura come protagonista in uno degli episodi meno apprezzati degli ultimi anni, USS Callister, in un’epoca di forti cambiamenti per la serie antologica creata da Charlie Brooker. Il 2024 rappresenta un anno di grande riscatto, con il Prix d’interprétation masculine al Festival di Cannes per il suo triplice ruolo in Kinds of Kindness (che potrebbe portarlo nuovamente agli Oscar) e con quegli incredibili 5 minuti che lo vedono dominare la scena in Civil War di Alex Garland. Un momento di gloria assolutamente meritato, in cui Jesse Plemons – rivitalizzato anche nell’estetica con cui si presenta al pubblico – dismette i panni dell’incredibile comprimario per assumere un ruolo da più incisivo protagonista; i prossimi anni, a partire da ciò che Bugonia di Yorgos Lanthimos promette, potrebbero consegnare alla storia uno dei migliori attori del cinema contemporaneo.

I 5 incredibili minuti di Jesse Plemons in Civil War

Civil War di Alex Garland, al netto di quel che si può pensare a proposito del lungometraggio, è tra i film dell’anno per una serie di motivi: arriva in uno dei momenti più decisivi per la storia dell’umanità, con le elezioni Presidenziali degli Stati Uniti d’America del 2024, e suggella definitivamente il talento di un regista che è stato – forse più di quanto si possa immaginare – incredibilmente impattante nel cambiamento di come si percepisce un certo tipo di cinema anche per il grande pubblico. Se si chiedesse ad uno spettatore qualsiasi qual è la scena che maggiormente ricorda del film, accanto all’intenso finale, la risposta sarebbe probabilmente immediata: quella in cui compare Jesse Plemons. Presentato fin dal trailer con l’iconica linea di dialogo “Sì, ma che tipo di americani?”, l’attore riesce in un’interpretazione assolutamente iconica, che permette – nella sua esigua durata – di condensare ciò che tante linee di dialogo non avrebbero saputo fare.

L’estetica del personaggio la fa da padrona: è stato proprio Jesse Plemons a decidere di portare sul set gli iconici occhialini da sole rossi che accompagnano la tuta mimetica e i capelli rasati, per un personaggio che fin da subito riesce a colpire non soltanto per quanto è spietato, ma anche per quella sottile ed effimera ironia che sprigiona. Con un mitra al posto al pollice che può essere piegato per decretare la vita di un gladiatore, il personaggio di Jesse Plemons è il Commodo (a proposito di Joaquin Phoenix) degli Stati Uniti del 2024 – o di qualsiasi altra epoca, nell’atemporalità del film -, ovvero un uomo che ha la possibilità di disporre dei corpi che gli si parano dinnanzi, senza alcun principio di moralità che possa frenarlo rispetto al suo giudizio. Grattando il suo mento e muovendo lentamente quel mitra che imbraccia fiero, il personaggio che l’attore interpreta è una rappresentazione estremamente fedele di quel che l’uomo medio è, sarà e potrebbe essere, posto nelle giuste condizioni di agire in un determinato modo; un personaggio a metà tra il nuovo-Cristo de L’uomo verticale di Davide Longo (un post-hippie che comanda un piccolo plotone di uomini in un’epoca di superamento dell’umanità) e il colonnello Kilgore di Apocalypse Now, che spiccava per un altro elemento iconico nella sua estetica, il cappello della cavalleria nordista. Si è parlato tanto di quel che Civil War può essere, soprattutto nel suo profondo messaggio politico, ma è molto interessante notare che il lungometraggio di Alex Garland non abbia mai bisogno di dichiarare il periodo storico in cui viene posto, non compiendo mai un ragionamento che tocchi questa o quella classe politica; il personaggio di Jesse Plemons, allora, potrebbe essere tanto un conservatorista repubblicano – e l’imbracciare le armi delimitando ciò che americano è da ciò che non è sembrerebbe suggerirlo – quanto un fiero promotore dei nuovi diritti democratico, poiché poco importa ciò che la politica indica come sinistra e destra, nell’era dei post-umani. Talvolta, la carriera di un attore è solo frutto della giusta combinazione di estetica, fortuna e momento giusto in cui far valere la propria qualità: questi 5 minuti potrebbero definitivamente aver cambiato la storia di Jesse Plemons.