Tratto dall’omonima pièce teatrale Premio Pulitzer di August Wilson, The Piano Lesson è un film Netflix di genere drammatico disponibile sull’omonima piattaforma a partire dal 22 novembre 2024. Lungometraggio diretto da Malcolm Washington, con un cast composto da Samuel L. Jackson, John David Washington e Danielle Deadwyler, e con una durata complessiva di 127 minuti. Secondo numerosi critici e analisti statunitensi, proprio Samuel L. Jackson sembrerebbe partire davanti a tutti per la vittoria dell’Oscar 2025 come miglior attore non protagonista grazie a questo ruolo. In virtù di ciò, e del fatto che il film è tratto da un’opera teatrale Premio Pulitzer, com’è The Piano Lesson? Di seguito la trama e la recensione.
La trama di The Piano Lesson: di cosa parla il film Netflix con Samuel L. Jackson e David John Washington?
The Piano Lesson è un film con una trama ben specifica, la quale si svolge per quasi tutto il tempo del racconto in una sola ambientazione. Il lungometraggio diretto da Malcolm Washington racconta infatti la storia della famiglia Charles di Pittsburgh, i cui eventi narrati risalgono al 1936, e si sviluppano nella casa di Doaker Charles (Samuel L. Jackson). Qui si trova il famoso pianoforte di famiglia, tanto desiderato dal fratello di Doaker e padre di Boy Willie (John David Washington) e Berniece (Danielle Deadwyler), poiché intagliato da suo nonno ai tempi della schiavitù e in seguito ad un evento che lo separò dalla moglie e dal figlio. Lo scontro interno verte tutto attorno allo strumento musicale in questione, poiché Boy Willie vuole venderlo per sancire il definitivo passaggio da mezzadro a proprietario terriero, mentre Berniece non intende dar via quello che è a tutti gli effetti un cimelio contenente le loro radici familiari.
La recensione di The Piano Lesson, un film che è rimasto fin troppo fedele (almeno nella forma) alla pièce teatrale da cui trae ispirazione
Film come 12 anni schiavo (2013), Mudbound (2017), Ma Rainey’s Black Bottom (2020) e Il colore viola (2023) hanno dimostrato quanto negli Stati Uniti, molto più che in Europa, ci sia giustamente la volontà di dare spazio ad un filone artistico ben preciso che, soprattutto nell’ultima decade, ha ottenuto un riscontro più che positivo agli occhi del pubblico generalista. Ciò vale per il teatro, per la letteratura, per la musica, seppur in forme differenti, fino ad arrivare al cinema, in sala come sulle piattaforme di streaming, sulla scia del Black Arts Movement. The Piano Lesson è l’adattamento di una pièce teatrale di successo, un prodotto apprezzato da tutti ma che si rivolge, più specificamente, alla comunità afroamericana e alla sue radici. La storia raccontata punta tutto sul fattore emotività più che sulla qualità, ma in fin dei conti, e senza troppe pretese, è forse questo l’unico scopo del regista e dei suoi collaboratori.
Il film diretto da Malcolm Washington ruota attorno al conflitto dialogico tra Boy Willie e sua sorella Berniece, ragion per cui sono rispettivamente John David Washington e Danielle Deadwyler a farsi carico della tensione emotiva del racconto, mettendo in luce le dovute differenze tra i due personaggi. Se John David Washington risulta esagerato e continuamente pieno di energia, così da rispecchiare le grandi ambizioni di Boy Willie, Danielle Deadwyler è davvero intensa nel mostrare, in una forma illusoriamente trattenuta, la determinazione e il forte legame affettivo di Berniece con sua madre, rimasta vedova troppo presto, e il pianoforte di famiglia. Tale contrapposizione estende il confronto dialettico anche all’espressività e alla fisicità dei due attori, rendendo il contrasto sentimentale ancor più vivace. Samuel L. Jackson, Ray Fisher, Michael Potts e Corey Hawkins non fungono semplicemente da contorno al cuore del film, bensì offrono punti di vista differenti all’insegna della sofferenza, della malinconia e della solitudine. Perché, per l’appunto, senza badare troppo al “come”, in The Piano Lesson conta solo ed esclusivamente il “cosa”, e allora ecco che il pianoforte si eleva dalla sua materialità fino a diventare il simbolo della lotta e dei trionfi, nei confronti dei bianchi, della famiglia Charles.
Avvalendosi di elementi provenienti direttamente dal realismo magico e dal gotico, il film riesce a rendere maggiormente epidermici i traumi, le questioni irrisolte e la sofferenza di chi popola la casa di Doaker. L’emersione delle varie tematiche presenti, dalla forza delle donne della famiglia fino all’importanza della memoria storica, si concretizza in maniera graduale, senza ricorrere a goffe forzature o ad una altrimenti ingombrante retorica. Sullo sfondo resta invece il pianoforte, oggetto che presenta anch’esso delle cicatrici – il legno è stato inciso per realizzare le figure – ergendosi a punto di riferimento sentimentale, oltre che narrativo. Il grosso difetto di The Piano Lesson è che non aggiunge davvero nulla pièce da cui trae ispirazione, restandole fin troppo fedele, almeno nella forma; chi scrive non ha visionato l’opera originale e qui non si commenta, dunque, la differenza contenutistica. Infatti, il film di Malcolm Washington è eccessivamente teatrale nella recitazione e nella quasi totale rinuncia all’impiego del linguaggio cinematografico, il quale entra in gioco soltanto per tramutare i ricordi condivisi dai vari personaggi in immagini, per giunta senza alcun vero “acuto”. Nessuna sequenza ha una potenza tale da imprimersi nella mente di chi osserva, per cui l’intera operazione – come Ma Rainey’s Black Bottom, ad esempio – appare come un di più pensato per la televisione (eppure esisterebbero le registrazioni delle opere teatrali).
The Piano Lesson risulta interessante e, tutto sommato, comunica il suo valoroso messaggio, ma lascia il sapore di un prodotto preconfezionato, pensato soprattutto in virtù della stagione dei premi. Malcolm Washington muove continuamente la macchina da presa allo scopo di offrire più angolazioni, in modo tale da creare profondità visiva in spazi limitati, tentando di evitare lo spettro (a proposito di fantasmi) della staticità, ma il livello drammaturgico resta comunque ancorato alla matrice teatrale proprio a causa di un montaggio singhiozzante. I salti temporali e l’esasperazione del ritmo nel finale sono inserti discontinui sia nella qualità che nella quantità, non restituendo la giusta dose di pathos, ma anzi, in alcuni momenti si ha l’impressione di star guardando dei riempitivi. Anche esteticamente si ha come ormai traccia di una sorta di standardizzazione in determinati prodotti, i quali non brillano certo per inventiva, almeno da questo punto di vista. Infatti, non distano poi tanto tra loro, in termini di messa in scena, film come The Piano Lesson, Mudbound e Ma Rainey’s Black Bottom, il cui minimo comun denominatore è Netflix.