Nosferatu tra temi ed estetica: il significato del film di Robert Eggers

L’ultimo lavoro dietro la macchina da presa di Robert Eggers spicca per una serie di componenti narrative, estetiche e tematiche: ma qual è il significato di Nosferatu?
Nosferatu tra temi ed estetica: il significato del film di Robert Eggers

Articolo pubblicato il 4 Gennaio 2025 da Bruno Santini

Fin da quando ha fatto il suo esordio al cinema, in occasione del 1 gennaio 2025, Nosferatu di Robert Eggers ha fatto tanto parlare di sé riuscendo a convogliare gran parte dell’attenzione degli spettatori verso un’opera che era molto attesa, e che coinvolgeva non soltanto gli amanti del genere horror ma anche tanti altri spettatori. È evidente che il ragionamento di Robert Eggers su Nosferatu, astraendosi dal semplice portare in scena il racconto gotico per eccellenza, voglia attenere a forme di significato molto interessanti e importanti, che permettono di qualificare al meglio il film, rendendolo estremamente coerente (se non addirittura più consapevole) alla filmografia di Robert Eggers. Per comprendere di più ciò che si sta dicendo, si offre di solito il significato di Nosferatu in termini estetici, narrativi e tematici.

L’estetica di Nosferatu e il cupo incessante del film

Nel tentare di definire quale sia il significato di Nosferatu di Robert Eggers, si parte da una componente che molto spesso viene sottovalutata ma che, nell’ottica di un ragionamento attuale sul cinema e sull’immagine, non può essere secondaria rispetto all’oggetto del racconto e della narrazione. Eggers è evidentemente uno dei registi migliori del cinema attuale per quanto riguarda tecnica ed estetica, avendo sia idee eccezionali che vengono portate magistralmente sullo schermo, sia le effettive e concrete capacità di tradurre in atto la sua ideologia basata su colori, toni e semitoni. Un fil rouge estremamente importante, nella filmografia del regista, è quello che viene legato al senso dell’immagine e della sua rappresentazione, difficilmente pulita e netta, di ogni personaggio, in nome di un intero universo narrativo che invece viene delineato nelle sue forme.

Basti pensare a quella claustrofobia di The Lighthouse, a sua volta in grado di richiamare quella del bosco di The Witch che, da solo, incuteva timore in una sola ripresa esaustiva all’inizio del film, salgo poi celare un’altra realtà inquadrata anche dal punto di vista tonale; questa grande cupezza, che in The Lighthouse viene resa con il meraviglioso bianco e nero del film, si traduce invece in colori accesi e caldi nel successivo The Northman: le scene più concitate del film, dalla grotta in cui si viene a contatto con Yggdrasil fino alla lotta finale di Amleto, sono invase dall’eccesso di rosso e dalla nebbia, che diluisce l’immagine rendendola ancora una volta oppressiva nei confronti dello spettatore. Ancora una volta, nel cogliere il significato di Nosferatu, bisogna allora parlare di colore anche per il quarto film di Eggers, che sui toni ragiona a partire da un’immagine limpida e quasi pallida della Wisborg rappresentata: un mondo certamente gotico, nella sua accezione però non convenzionale del termine. Pensare che il gotico in arte sia soltanto cupezza e sporcatura dell’immagine, in effetti, vuol dire tradire quel pensiero artistico secondo cui la luce divina dovesse inondare l’uomo muovendolo verso la sua predestinazione: ed ecco che, sul procedere del termine “provvidenza”, la prima parte del film si risolve con colori freddi e illuminazione molto marcata.

Man mano che si avanza nel film l’immagine cambia vedendo a toni più cupi e ad un impoverimento del fattore illuminazione: qui sì che si giunge all’immagine convenzionale del gotico, con i soli volti pallidi dei protagonisti in grado di risplendere nel buio del film, che pur resta a colori quasi dialogando con il senso del bianco e nero. Nel finale del lungometraggio la nuova luce, che costituisce sia il senso della purificazione al grido di “redenzione” del personaggio di Willem Dafoe, sia quello del ritorno del divino, del bene che ha sconfitto il male in forma di sacrificio.

I temi affrontati da Nosferatu e il significato del film di Robert Eggers

Il cinema non è certamente sola narrazione e non si esprime necessariamente in forma di tematiche raffrontate, ma è evidente che in un film come Nosferatu il lavoro possa, e debba, essere meglio analizzato proprio per mezzo di quei numerosi temi che sono presenti all’interno del lungometraggio. C’è da partire inevitabilmente da un interrogativo: quanto di Eggers c’è in questo film, considerando che si tratta di un progetto estremamente personale e di un sogno del regista che arriva sullo schermo? Se, di primo acchito, si potrebbe pensare che il regista sacrifica la sua poetica in nome di un remake che sia fine a se stesso, probabilmente non si rende omaggio all’enorme portata poetica e narrativa del lavoro di Eggers, che più volte esprime tutta la sua profonda convinzione sul cinema già presente nei suoi tre film precedenti. Come ci si potrebbe immaginare, è evidente un grande ragionamento sul corpo, sull’offersi e sul senso del denudarsi che appartiene a tutti i principali personaggi del cinema di Eggers, soprattutto se calati in un senso di enorme pathos: la Anya Taylor-Joy di The Witch si spoglia offrendosi nuda al culto delle streghe, il Willem Dafoe di The Lighthouse si denuda di fronte al faro colto nella sua espressione di massimo piacere, mentre in The Northman il contatto con le viscere della propria storia avviene proprio denudandosi. Il corpo, per Robert Eggers, dialoga necessariamente con una caratteristica psicologica e quasi morale, essendo intrisi i suoi racconti di un profondo senso di religiosità, sia chiaro, mai fine a se stessa e mai amorale o timorata della divinità, bensì resa ideale nella sua rivalutazione dell’animo umano.

Tutti i personaggi di Eggers, compresi quelli di Nosferatu, sono colti nella loro fallibilità esistenziale, pur con un contatto iniziale tra il concreto e il metafisico (il personaggio di Aaron Taylor-Johnson, prima di cedere alla pazzia, tenta di aggrapparsi al presente così come quello di Robert Pattinson o quello della stessa Anya Taylor-Joy in The Witch), che poi giungono ad un tutt’uno. E ancora, il tema della repressione costituisce il vero motore del significato di Nosferatu: il film parte con l’espressione di un profondo senso di carnalità, un desiderio maligno che poi perseguita nel corso della vita. Proprio il male, che è quello che governa (nell’accezione di peccato originale da cui ci si deve costantemente ripulire nella cristianità) deve essere riconosciuto per essere debellato, ammonisce il personaggio di Willem Dafoe, a meno che non lo si persegua con piacere, con quella passione – intesa anche in senso latino, dunque dolore – distruttiva. Ellen, in effetti, prova un piacere perverso che intercetta e comprende, desidera il male e ha un rapporto sessuale con esso, concedendosi al demonio interpretato da Bill Skasgård: non era lo stesso anche con Willem Dafoe in The Lighthouse, che voleva tutta per sé quella luce quasi metafisica che gli restituiva un mortale piacere?

A proposito di carne, un elemento di cui il cinema horror contemporaneo ha necessariamente bisogno per parlare di corpi, distorsioni e astrazioni rispetto alla propria immagine riflessa, c’è un tema che potrebbe essere passato in sordina, a proposito della sessualità trattata nel film. Nosferatu, che nei fatti è più maligno del male e della morte stessa, non stupra mai la donna, ma accetta di unirsi ad essa solo a seguito del suo offrirsi volontariamente in un atto di comunione del piacere: e a nulla vale l’idea secondo la quale Ellen faccia tutto solo per salvare il suo Thomas, poiché il suo dialogo finale con il dottor Von Franz dimostra che il suo desiderio, immutato dalla gioventù, era stato solo costantemente represso ma continua ad esprimersi. Un grandissimo ragionamento sul consenso, allora, che rende Nosferatu molto più concreto e attuale di quanto si possa pensare. Il significato di Nosferatu permette allora di ascrivere il film alla filmografia di Robert Eggers, con il regista che continua ad essere fedele al suo animo narrativo e poetico, fatto di un costante senso dell’oppressione e della repressione, dell’ossessione e del cedere alla follia.

Lo stesso aspetto ritualistico, esoterico e folkloristico ritorna dopo le sue opere precedenti: che ci sia un’immagine riflessa del biblico (la scena finale sembra quasi una pietà michelangiolesca) o del costume di un popolo, tutto diventa parte integrante di un racconto di cui Eggers non si fa mai onnisciente ed extradiegetico, calandosi perfettamente entro la natura della realtà che rappresenta, in questo caso, anche con la lingua usata nel film e con il dialetto parlato dal vampiro. Chi cerca in Nosferatu un film che possa spaventare, probabilmente, resterà deluso: piuttosto il film persegue l’inquietudine, il perturbante e il disturbante nei confronti dello spettatore, portandolo con mano verso la consapevolezza del (proprio) male interiore e distruggendolo, non prima di averci copulato, alla luce del sole.