ACAB: tutti colpevoli e tutti innocenti nella nuova serie Netflix

Su Netflix ha fatto il suo esordio la nuova serie televisiva di ACAB, con Marco Giallini e Adriano Giannini protagonisti: ma qual è il suo risultato e vale la pena vederla?
ACAB: tutti colpevoli e tutti innocenti nella nuova serie Netflix (Recensione)

Articolo pubblicato il 16 Gennaio 2025 da Bruno Santini

Ha fatto il suo esordio a partire dal 15 gennaio 2025, segnando anche l’inizio della stagione seriale italiana, ACAB; per chi non fosse avvezzo alla storia pregressa del prodotto e ne sentisse parlare per la prima volta, stiamo parlando non soltanto di una serie con produzione Cattleya, ma anche del prodotto che porta avanti quello sguardo e quella narrazione inaugurata nel film omonimo diretto da Stefano Sollima, da cui la serie TV eredita non soltanto alcuni attori (Marco Giallini aka Mazinga su tutti), ma anche il suo focus fondamentale: raccontare la violenza, l’oscurità della città di Roma, il delirio delle percosse e delle manganellate, il “celerino figlio di puttana” ma a partire dallo sguardo delle forze di polizia stesse. E qual è il risultato di questa nuova serie Netflix? Tentando di ragionare anche a proposito dello stato della serialità italiana, vediamo di seguito la recensione di ACAB, la nuova serie Netflix con Marco Giallini e Adriano Giallini.

La recensione di ACAB: tra il fascino per la divisa e il fascino del criminale

Talvolta c’è bisogno di ben poche parole per esprimere un concetto e, soprattutto, per portarlo sullo schermo: ACAB se ne serve di tre (e la terza è “suca”) per introdursi immediatamente in un ragionamento che Stefano Sollima aveva tentato di portare sul grande schermo nel 2012, con il suo All Cops Are Bastard, primo capitolo della trilogia della Roma criminale. Un movimento di camera verso destra ed ecco che il titolo della serie, sono pur sempre passati 13 anni e il modo di comunicare è necessariamente cambiato, campeggia sulla parete di una galleria, appena realizzato con una bomboletta spray di colore rosso. L’animo di ACAB si manifesta sullo schermo con quella stessa brutalità che vuole comunicare, tra manganellate e percosse a questa o quella persona: in un certo senso, guardando gli eventi della serie televisiva – che riporta Marco Giallini nei panni di Mazinga – si potrebbe pensare che non necessariamente ogni manifestazione finisce così, con gli sfollagente e le bodycam, ma in fondo il discorso che ACAB mette in piedi non è tanto di racconto della realtà criminale e violenta italiana, quanto di fascino della sua rappresentazione.

Si dice spesso che la divisa ne abbia uno, che l’uomo appartenente alle forze dell’ordine conservi un qualcosa di magnetico, e la serie sembra quasi voler poggiare su questo presupposto: l’ambiguità affascinante, oltre che grezza, dei suoi personaggi. Volti di certo maschili, ma anche “maschilizzati”, cioè resi volutamente gretti, imbruttiti nel viso (ne è l’emblema quella mascella preminente di Marco Giallini, al limite dell’incomprensibile ormai nel momento in cui pronuncia una qualsiasi battuta), ma anche deturpati nella loro immagine, tra sfregi e ferite, accompagnati dal mullet di Adriano Giannini protagonista, insieme al suo personaggio, sullo schermo. È, anche, un fascino per il criminale quello che la serie propone: un mondo alternativo, fatto non di dialogo e di conciliazione ma di ragionamenti avari e colpi violenti, di manifestazioni sedate e di assolutismi (o assolutisti) che non si possono definire tali, almeno guardando al modo in cui vengono portati sullo schermo. Questo perché, diversamente rispetto a ciò che si potrebbe pensare, ACAB non dialoga necessariamente con la contemporaneità: certo, il mondo violento portato sullo schermo è verosimile, l’Italia dei problemi di residenza, occupazione, no-vax e no-TAV esiste ed è concretamente tangibile, ma si tratta soltanto della cornice di una rappresentazione e di un mondo che appartengono invece a un qualcosa di diverso, quasi alieno o parallelo, che invece naviga e sguazza nel lusso di quelle regole sovvertite e di quell’umano che viene presentato attraverso un’altra formula.

Ad osservare quelle scene in cui intere strade sono interessati da un solo gruppo di comparse, mentre tutt’intorno imperversa il buio imperante, ci si rende conto della direzione che vuole prendere la serie: e lo confermano la colonna sonora che alterna brani di musica elettronica e cantautorato italiano, il trucco che sporca i volti dei personaggi o la stessa resa di tutte le interpretazioni, sempre tendenti ad un regionalismo differente e mai volte a quella ricerca di parlato ideale (anzi, talvolta si capisce davvero tanto che si sta recitando anche in quel senso); un mondo a parte, un mondo quasi onirico, là dove il sogno non è la ricerca del bene o del mondo migliore che il primo Michele Nobili sogna, ma la violenza ad ogni costo, il “corcare de’ botte” come unico strumento possibile dell’animo del prodotto. Un mondo in cui sono evidente i conflitti psicologici e personali, tutti enfatizzati con dovizia e attinenti a quelle sfere umane che sembrano, talvolta, sovrastare quella professionale: una figlia violentata, un figlio distante, una moglie che decide di lasciare il marito. È una serie con degli evidenti limiti soprattutto nella sua confezione estetica, che talvolta vacilla inseguendo un’inquadratura perfetta o una scena con del potenziale poetico, ma che – quando si abbandona all’essere cruda e basta, senza andare alla ricerca del necessario formalismo – trova la sua chiave di volta ideale, in un racconto che certo si ascrive al genere del poliziesco italiano (e dunque anche ai vari Gomorra o Romanzo criminale), ma che aggiunge l’idea di rappresentare il poliziotto, lo sbirro, esattamente come il criminale. Dunque con le sue regole, la sua gerarchia e il suo modello umano.

ACAB: la recensione della nuova serie Netflix con Marco Giallini e Adriano Giannini
Adriano Giannini (Michele Nobili) in un’immagine di ACAB

Che ce ne facciamo, oggi, di serie come ACAB?

Certo è che ACAB vive, oggi, in un momento storico in cui la violenza è già il segno dei nostri tempi e in cui anche corpi di polizia e forze dell’ordine sono oggetto di una costante attenzione mediatica; perché, allora, una serie del genere nel 2025? Forse il motivo lo si può ritrovare proprio nell’espediente su cui muove i passi il prodotto in sé: un nuovo comandante, mosso da ideali nobili, che si trova a guidare una delle squadre più corrotte e legalmente disastrate della polizia romana, salvo poi comprendere quali siano i meccanismi intimi di un mondo che crede (fallendo) di conoscere. Sovvertire i pronostici e credere nella vittoria del bene sul male a tutti i costi è certamente una bella illusione, ma ACAB vuole piuttosto stare dalla parte opposta, arrendendosi al caos e sintetizzando – nella massima di un ispiratissimo Adriano Giannini che domina sugli altri per resa e interpretazione – il tutto con un “tutti innocenti, tutti colpevoli”. Un mondo che non può, insomma, essere scandito a parole e neanche nei fatti con una resa che possa far pensare a parti contrapposte: la città di Roma, che vive nei suoi set e nella sua irreale ma vuota stazione di Roma Termini, come epicentro di un mondo ormai al limite, quasi un regno oscuro dove la nuova violenza imperversa. E questo mondo, non di certo lontano dal nostro, è pur sempre un modo di guardare alla (nostra) realtà, al riparo da sterili illusioni e da promesse di vita migliore che forse non appaiono più sostenibili.

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ACAB
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Ispirata agli eventi del film di Stefano Sollima, ACAB ne prosegue la narrazione con una nuova rappresentazione delle forze di polizia italiane e con il ritorno di Marco Giallini aka Mazinga nel cast

Voto del redattore:

7 / 10

Data di rilascio:

15/01/2025

Regia:

Michele Alhaique

Cast:

Marco Giallini, Adriano Giannini, Valentina Bellè, Pierluigi Gigante, Fabrizio Nardi

Genere:

Poliziesco, drammatico

PRO

La rappresentazione dei conflitti personali e intimi
L’interpretazione di Adriano Giannini
La scelta di costruire un mondo quasi parallelo ed estetizzato nella sua forma
Alcune scelte di regia nel caratterizzare l’ambiguità tra polizia e criminale…
… talvolta contrastate da un’eccessiva ricerca del formalismo
Non tutte le interpretazioni sono riuscite al massimo
La serie si perde a volte nelle contraddizioni della sua rappresentazione della violenza