Articolo pubblicato il 4 Febbraio 2025 da Arianna Casaburi
Conosciuto al grande pubblico grazie alla sua interpretazione emozionante in Chiamami col tuo nome (2017) di Luca Guadagnino, il giovane Timothée Chalamet si sta sempre di più facendo strada nel mondo del cinema e conquistando i suoi spettatori, performance riuscite o meno. Dopo il ruolo nei meravigliosi capitoli della saga di Dune diretta da Denis Villeneuve, e una parentesi musical con Wonka, l’attore sfida ora se stesso nei panni della leggenda del folk Bob Dylan in A Complete Unknown, il film biopic di James Mangold del 2024, a cui seguirà l’uscita anche di un altro biopic sul giocatore di ping pong Marty Supreme. Segue la recensione di A Complete Unknown, il film biopic su Bob Dylan del 2024 di James Mangold con protagonista Timothée Chalamet distribuito nelle sale italiane dal 23 gennaio 2025.
La recensione di A Complete Unknown: oltre il biopic per una poesia che “infuria contro il morire della luce”
Quale migliore titolo nel mare magnum del repertorio musicale di Bob Dylan poteva scegliere il regista James Mangold per il suo A Complete Unknown, il film biopic incentrato sulla parabola del giovane cantautore folk che si fa strada sul grande palco della musica per diventare la leggenda che è oggi. Una mente e un corpo irrequieti sono quelli di Bob Dylan, un animo contro il suo tempo, contro ogni corrente e conformità che un giovane attore come Timothée Chalamet si è ritrovato a dover vestire non solo i panni, ma anche il tormento interiore, l’incessante vagare alla ricerca di qualcosa. Nonostante all’inizio della visione del film si fatichi ad accettare l’ossimoro ambulante che nasce dall’incontro tra il suo viso timido e cauto con la figura imperversante di Bob Dylan, Timothée Chalamet si rivela essere una sorpresa positiva sotto tutti i punti della sua interpretazione, dalla performance recitativa – accompagnato da una straordinaria Monica Barbaro nei panni di Joan Baez che riesce a trasmettere quella sensazione di odi et amo nel protagonista così come nello spettatore – a quella canora in cui la voce del primo va a sovrapporsi nella mente degli spettatori a quella originale senza sporcarla od oltraggiarla. Considerando l’impenetrabilità di un personaggio come quello di Bob Dylan, Timothée Chalamet è riuscito dunque egregiamente a prestare il suo volto per dare voce – senza essere troppo intonato ma cercando di conservare quella punta di trasgressione musicale riportata fedelmente grazie agli arrangiamenti magistrali – e corpo all’ennesima identità del cantautore folk.
Il ritratto biografico di Bob Dylan realizzato da James Mangold, e dunque l’interpretazione portata sul grande schermo da Timothée Chalamet, può non essere considerata tuttavia perfetta nel suo risultato finale o non essere stata apprezzata come ci si aspettava o come doveva essere affrontata. Il punto della questione portata avanti dal regista qui, come nei suoi due precedenti biopic, risiede proprio su questa contraddizione. Infatti, così come in L’amore brucia l’anima – Walk the Line (2005) e in Le Mans ’66 – La grande sfida (2019), anche in A Complete Unknown la presenza di una fotografia prepotentemente sormontata dalle luci di accecanti riflettori creano un effetto simbolico contrastante in quanto i personaggi che vi si trovano sotto si scoprono essere tutt’altro che degli eroi o delle leggende, come diversamente idealizzati dal pubblico. Lo stesso titolo del film, A Complete Unknown (un perfetto sconosciuto), è ciò che Bob Dylan sente di essere, è un grido soffocato ma che vorrebbe urlare a tutti quei fan che gli dicono cosa deve essere o non essere. E James Mangold rappresenta questo tormento interiore mostrandoci con una semplicità disarmante di un’inquadratura in cui appare in primo piano un Bob Dylan nel pieno controllo di sé da solo con la sua musica. La musica. Per lei e grazie a lei è cominciato il suo vagare alla ricerca di “catturare una scintilla”, come risponde a Pete Seeger (Edward Norton) al momento del loro primo incontro quando gli chiede il motivo del suo viaggio fino al Minnesota.
Nel suo semplice e lineare racconto, grazie a una limpida e come sempre impeccabile regia di James Mangold, la vita di Bob Dylan, da 19enne fino al momento dell’iconico concerto a Newport che ha segnato la svolta elettrica nella sua carriera, scorre irrequieta sul grande schermo così come l’errare ingrovigliato della sua persona. Ed è nelle inquadrature in cui James Mangold sceglie di immortalare un Bob Dylan che è rivolto sì verso il pubblico, ma che dà le spalle allo spettatore, così la luce imponente e accecante dei riflettori stagliandosi contro la sua sagoma, mostra veramente le ombre e i contrasti di un eterno e inguaribile antieroe trasgressivo. Così facendo, allo spettatore potrebbe sembrare di sbirciare e scorgere per pochi secondi un’eredità invisibile e silenziosa, una scintilla che balugina a inizio film e che lo accompagna per tutto il suo cammino fino a diventare il Bob Dylan che le folle acclamano, e lottare per continuare a tenerla accesa anche dopo la scomparsa – “il morire della luce” della scintilla da dove tutto è nato – del suo mentore Woody Guthrie (Scoot McNairy). Se in L’amore brucia l’anima – Walk the Line (2005) era riuscito a catturare la fiamma ardente che ha avviluppato sul palco e nella vita privata il duo composto da Johnny Cash e June Carter, qui James Mangold punta il riflettore su un singolo individuo sì, ma interiormente composto da una moltitudine di identità sfaccettate, basti pensare al precedente biopic sul cantautore Io non sono qui di Todd Haynes: “je est un autre” (io è un altro) diceva Arthur Rimbaud. In A Complete Unknown, James Mangold incide così una nuova faccia del caleidoscopico Bob Dylan, che infuria contro il morire della luce, per citare il grande poeta Dylan Thomas, musa ispiratrice per la sua scrittura e da qui per il suo nuovo cognome, nella sua lotta continua contro la morte nel suo senso assoluto in quanto anche annichilimento nell’accettare di diventare quello che gli altri vogliono che tu sia o ciò che vogliono da te. In molti conoscono o hanno sentito dire almeno una volta nella loro vita il nome di Bob Dylan. Pochi sanno che in realtà si chiama Robert Zimmerman, ma nessuno, neanche lui stesso, sa chi sia veramente Bob Dylan perché d’altronde è “un perfetto sconosciuto”, perché “lui non è qui”.
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A Complete Unknown: le declinazioni della trasgressione e della libertà nei biopic di James Mangold
Si dice che gli amori facciano giri immensi e poi tornino indietro. Osservando la filmografia di James Mangold sembrerebbe una frase che si adatta alla perfezione al suo caso. Nella carriera del regista inglese infatti si contano ben tre film biografici, in ordine cronologico di uscita Quando l’amore brucia l’anima – Walk the Line (2005), Le Mans ’66 – La grande sfida (2019) e infine A Complete Unknown (2024). Partendo dal primo, Mangold si cimenta per la prima volta in un film biografico scegliendo la figura del cantautore blues Johnny Cash, interpretato da Joaquin Phoenix, conosciuto anche con il soprannome the man in black (l’uomo in nero) per il colore di abbigliamento con il quale era solito presentarsi durante le sue performance musicali, una vita sregolata, tenuta insieme solo grazie alla fiamma ardente del suo amore nella vita e nella musica June Carter.
Successivamente segue il biopic sulla epica figura del pilota della casa automobilistica Ford, Ken Miles, interpretato da Christian Bale, e affiancato da Matt Damon nei panni del suo fedele collaudatore Carroll Shelby, una storia che come i motori e le auto che i protagonisti si trovano a guidare, ruggiscono la propria trasgressione verso la gloria spirituale al di là di una vincita mancata. Infine, si arriva naturalmente proprio al film in questione A Complete Unknown in cui un giovane Bob Dylan, all’età di soli 19 anni, incomincia il suo viaggio verso la musica, il suo vero amore, per scoprire e fare i conti con l’irrequietezza della moltitudine delle sue identità. La sua lotta per la libertà, per la trasgressione incondizionata, per l’anticonformismo applicato a ogni aspetto della vita, oltre a essere un elemento preponderante della sua persona, si riflettono inevitabilmente nelle sue canzoni e dunque nella sua musica, forse l’unico posto dove poter cercare la scintilla del vero Bob Dylan.