The Sand Castle è un elegante esercizio di estetica e sonoro

Su Netflix ha fatto il suo debutto un nuovo film libanese, dal forte messaggio avvolto da una grande sperimentazione visiva e da un grande lavoro sul sonoro: ma qual è il risultato di The Sand Castle, il lungometraggio con Nadine Labaki?

Il 24 gennaio 2025 ha fatto il suo esordio, sulla piattaforma di streaming Netflix, il film The Sand Castle, con regia di Matty Brown e con l’interpretazione dell’attrice (e regista) libanese Nadine Labaki, nota per aver diretto e interpretato film come Caramel, E ora dove andiamo? e Cafarnao. Con un approccio surrealista che sembra coniugare la letteratura di Saramago con l’estetica molto cara al cinema contemporaneo, il film offre uno spaccato molto importante della forza – e della necessità – dell’immaginazione con una trama surreale e uno svolgimento che si affida alla sperimentazione. Cerchiamo di capirne maggiormente con la recensione di The Sand Castle su Netflix.

La recensione di The Sand Castle tra sperimentazione visiva e fascino del sonoro

Da ormai diversi anni i lavori di sperimentazione spesso poggiano su una base di destrutturazione del cinema, anche contemporaneo, affinché questo possa essere riadattato in nuove forme, servendosi dunque di immagini – ma anche di rimandi, citazioni e di qualche forma di collegamento sensoriale – già viste, ma ripresentate in altro modo. Osservando The Sand Castle viene immediatamente in mente una lunga serie di elementi che, anche nel cinema contemporaneo, sono diventati particolarmente iconici: il faro che i protagonisti del film adattano a dimora in cui sopravvivere, in mezzo al nulla, non può che far venire in mente la condizione dei due uomini di The Lighthouse di Robert Eggers, e quella saturazione dei colori mista ad elementi di simmetria nelle riprese sembrano attingere dalle parti di Wes Anderson, che del resto dell’isola e del faro si era servito nel suo Moonrise Kingdom. Affidando al criptico e alla sperimentazione estetica il suo lavoro, il regista Matty Brown racconta di una famiglia che si ritrova (non si sa con quale origine e per quale motivo) su un’isola in mezzo al nulla, che però inizia a ribellarsi alla sua presenza. Un moto che parte dal basso, dalle viscere di un luogo che viene costantemente risucchiato dal mare e che trasforma la condizione annoiata dei quattro personaggi in una corsa per la sopravvivenza, poi in una lotta contro l’allucinazione.

Un'immagine di The Sand Castle, il nuovo film libanese su Netflix (Recensione)

Si diceva di quei rimandi, e di quel dialogo molto intrigante con il nostro tempo che prende forma all’interno del film: una delle tracce della contemporaneità risiede nella capacità di dare forma all’indicibile, evocando piuttosto un qualcosa di celato, di perturbante. The Sand Castle, allora, che si fa portatore di un messaggio che viene svelato man mano nel corso del film, sa dialogare costantemente con lo spettatore e con la sua capacità di seguire un flusso incostante, fatto di elementi evocativi, di messaggi criptici e di distorsioni, che prendono maggiormente forma nell’allucinazione nella seconda parte del film. Quest’isola apparentemente infestata, le cui viscere si ribellano all’uomo soffocandolo e nascondendo qualcosa che sembra non venire mai alla luce, potrebbe a tratti ricordare quella di Old, in cui Shyamalan nascondeva l’elemento horror nel contesto del paradisiaco; allo stesso modo, con una regia che anche nella sperimentazione sembra avere sempre le idee chiare sulla visione del mondo e sullo stato attuale delle cose, uno degli elementi più importanti di tutto il film (in grado di restituire quel senso di inquietudine e di disturbo allo spettatore) si ritrova nel sonoro, e in quella costante obnubilazione dell’orecchio dello spettatore, costantemente stimolato dal rumore delle onde del mare, dal fruscio del vento o dal brusio della radio che funziona a intermittenza. Una sfida, quella che viene condotta in prima persona dallo spettatore, che diviene compartecipativa rispetto alla prova di sopravvivenza espressa nel film: quando, alla fine, si comprende quale vuole essere (anche perché esplicitamente dichiarato) il messaggio del film, tutto sembra condurre verso una chiusura del cerchio, verso un senso di lieve sospiro di sollievo per chi ha vissuto – nei poco più di 100 minuti del film – una costante saturazione dei sensi. Il lavoro con la Labaki (non di certo un nome banale quando si parla di cinema politico), che recita anche offrendo un’importante prova attoriale, è allora non soltanto elegante nella sua messa in scena e nell’importanza del sonoro (riuscendo a dare seguito a quell’importantissimo esempio di La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer), ma anche necessario nel restituire il senso di costruzione e di clausura vissuto nel dramma dei nostri tempi.

La necessità dell’imperfezione in The Sand Castle

Certo è che, per onestà di recensione di The Sand Castle, non si può fare a meno di notare come il film, che riesce a mettere in piedi un interessantissimo discorso soprattutto sul sensoriale e sulla portata dell’immaginifico, talvolta diventi preda della sua esagerazione e del suo strabordare. È un peccare che ci sentiamo però di dire necessario, in una materia così tanto complessa che affida – al rifugio dell’immaginazione – la sua potenza; se nel sonoro si riscontrano delle importanti intuizioni, probabilmente è di troppo l’utilizzo degli auricolari e della loro funzione di cancellazione del rumore con un altro suono, restituito da alcuni brani che si ascoltano durante il film, così come molte scelte appaiono esageratamente criptiche soprattutto nella seconda parte del film. Ben vengano errori (che si fa fatica anche a dire tali, e per cui forse è più concreto l’utilizzo di un termine come impurità) di questo genere, per film che sanno e vogliono essere coraggiosi non solo nel messaggio, ma anche nella messa in scena. Di self-made-film di solito temi, e che su essi pretendono di esistere, ne siamo fin troppo pieni, e un approccio come quello di The Sand Castle appare necessario.

3,0
3,0 out of 5 stars (based on 2 reviews)
Matty Brown
Matty Brown

The Sand Castle è un nuovo thriller psicologico arrivato sulla piattaforma di streaming Netflix, con Nadine Labaki protagonista, dal forte messaggio politico accompagnato da grande sperimentazione estetica

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

24/01/2025

Regia:

Matty Brown

Cast:

Nadine Labaki, Ziad Bakri, Zain Al Rafeea, Riman Al Rafeea

Genere:

Thriller, drammatico

PRO

L’impeccabile lavoro sul sonoro
L’interpretazione di Nadine Labaki
L’estetica del film e la destrutturazione del cinema contemporaneo
Il messaggio finale del film
Nella sua seconda parte, il film tende a esagerare alcuni elementi estetici e criptici