Articolo pubblicato il 27 Gennaio 2025 da Bruno Santini
Prima di ottenere un buon successo e un importante responso da parte della critica, con la doppia candidatura agli Oscar 2025 e la vittoria del Golden Globe per il miglior film d’animazione dato a Flow – Un mondo da salvare, Gints Zilbalodis aveva già lavorato a diversi cortometraggi – da Steiga del 2010 a Oāze del 2017 – e su personaggi, simboli e temi che sarebbero stati poi parte della sua produzione successiva. L’esordio dietro la macchina da presa, per un film d’animazione muto esattamente come Flow, è datato 2019 con Away, un prodotto da lui scritto, diretto, prodotto, fotografato, montatore, musicato e animato. Gints Zilbalodis, dimostrando una passione e una voglia di fare tipica dell’esperienza baltica (anche per quanto riguarda il mondo dell’animazione), mette così in piedi un delicato esempio di coraggio di cui ogni regista ha sicuramente bisogno al giorno d’oggi. Di seguito, attraverso la recensione di Away, tentiamo di capirne di più.
Mondi da salvare e mondi da sbloccare
Chi ha avuto modo di dare uno sguardo più approfondito alla carriera di Gint Zilbalodis può sicuramente notare che ci sono numerose opere di riuso che si osservano nel passaggio da cortometraggi a lungometraggi, da parte del regista lettone. Il volto del bambino, la silhouette del gatto o anche il senso dell’immensità, di quella sconfinata natura che avvolge l’azione dei protagonisti, spesso lasciandoli al solo confronto con la propria (ridotta) statura; probabilmente è un caso, ma giunti al secondo film dietro la macchina da presa, il regista dimostra di avere ancora ben salde le sue idee e di ragionare sulla base di quelle stesse, non tradendo se stesso o quella piccola – ma importantissima – quantità di elementi grafici che sono anche oggetto di riutilizzo, talvolta anche per questioni meramente economiche, e di rimodulazione all’interno di un suo film.
Con Flow – Un mondo da salvare arriva, allora, sicuramente il successo e il giusto riconoscimento che Gints Zilbalodis merita, ma già in Away è possibile osservare una traccia importantissima del suo cinema, un modus operandi che si ritroverà alla pari nel suo film successivo. Con un emblema su tutti: il mondo colto in uno stato quasi post-apocalittico e di abbandono, di sconfinata bellezza dettata dal fascino dell’immenso; c’è un qualcosa che sembra ricordare l’esperienza degli open world indie, nel cinema del regista lettone, che non soltanto attinge dalla tradizione dell’animazione orientale, per la realizzazione delle sue figure, degli occhi o dei movimenti dei singoli personaggi, ma anche dal complesso mondo dell’animazione per videogiochi. La contemporaneità è piena di addetti ai lavori che sopravvivono solo grazie a donazioni e supporti della comunità, per creare delle tracce artistiche che siano in grado di ragionare oltre gli schemi di una grossa casa di produzione videoludica. Ecco, allora, che quel personaggio che si ritrova improvvisamente abbandonato in un mondo a sé, inseguito da uno strano mostro (amico o nemico?), accompagnato dal suo uccellino nell’intento di salvarsi e di scappare, attraversando quelli che sembrano essere dei checkpoint in roccia, riporta alla memoria due videogiochi emblematici di quanto si diceva precedentemente a proposito dell’indie videogame: Humanity e Omno. Il primo, con un cane che salva gli esseri umani conducendoli verso la luce in una nuova prospettiva di platform; il secondo, che esplora l’idea dell’open world, in cui bisogna spostarsi da un micro-mondo all’altro fino a giungere verso quella luce stessa, che anche in Away sembra essere il fattore.
Per un regista nato nel 1994, allora, il videogioco sembra essere la vera frontiera dell’ispirazione: tutto nel suo lavoro, che è condotto in maniera praticamente autonoma con Away, sembra rifarsi a quell’esperienza, con elementi di contatto verso quel senso di mondo da scoprire che in effetti si manifesta sullo schermo con oasi in cui ripararsi, montagne da scalare, percorsi che conducono verso l’acqua, stagioni che si alternano o percorsi sterrati che portano alla libertà. C’è tanta voglia di scoprire, anche da parte dello spettatore, in un film che diventa quasi interattivo nella sua messa in scena.
La recensione di Away: il coraggio e la delicatezza di un regista interessantissimo
Certo è che, trattandosi di un esordio dietro la macchina da presa che viene realizzato curando praticamente ogni dettaglio (dal soggetto alla regia, passando per l’animazione, il suono e la fotografia), Away è quasi un miracolo, o comunque una testimonianza di quella grande passione e di quel coraggio che ha portato il giovanissimo Gints Zilbalodis a confrontarsi con una materia non semplice. Il mondo dell’animazione contemporaneo non è esattamente uno dei più rosei con cui stabilire dei punti di contatto, spesso anche per ragioni puramente concrete ed economiche, e in effetti Away viene realizzato con questa idea di consapevolezza. Certo, molti dettagli del film risentono di quelle scarse risorse che si hanno a disposizione – soprattutto nel riproporre immagini ed elementi che ne aumentano la durata -, ma Away è certamente un gioiello di consapevolezza e coraggio, che portano Gint Zilbalodis a imporsi nel suo panorama e a servirsi di quella giusta delicatezza per rappresentare il suo mondo. Già con Flow, che arriva 5 anni dopo Away ancora con un lavoro (quasi) completo del regista, si mostrano i segni di una maturità nella messa in scena, ma la poetica resta la stessa, così come il senso delle capacità di questo regista: Away, allora, è una piccola gemma da recuperare e che merita di essere inserita nel panorama dei prodotti d’animazione più interessanti della contemporaneità.