I 30 migliori film su MUBI da recuperare assolutamente

Si tratta di una delle piattaforme streaming più importanti ed apprezzate in circolazione, con una vasta selezione di opere di altissimo livello: ma quali sono i film su MUBI da recuperare assolutamente?
I 30 migliori film su MUBI da recuperare assolutamente

Articolo pubblicato il 12 Febbraio 2025 da Gabriele Maccauro

Da Netflix ad Amazon Prime Video, da Disney+ ad AppleTV e poi Paramount+ e lo stesso Rai Play, senza contare tutte quelle meno considerate o non presenti in Italia: siamo ormai invasi dalle piattaforme streaming. I tempi sono cambiati, è un’altra epoca ed il cinema, come lo spettatore stesso, deve adeguarsi alle esigenze del mercato. Non tutti i mali vengono per nuocere però e, nonostante alle volte i cataloghi lascino a desiderare o i contenuti originali siano pochi, c’è una piattaforma che spicca su tutte le altre. Stiamo parlando di MUBI, sito web nato nel 2007 che mescola lo streaming al social e che si fa portabandiera di un cinema più ricercato, d’essai, senza però ghettizzarsi da solo ed anzi, avendo al proprio interno svariate scelte anche per i meno cinefili che hanno però voglia di approfondire di più lo sterminato mondo della settima arte. Ma da dove cominciare? Per agevolare le ricerche, segue una lista dei 30 migliori film su MUBI da recuperare assolutamente. Inutile dire che di titoli che meriterebbero una visione ne esistono molti di più e che, col passare del tempo, alcune opere vengono rimosse dal catalogo e, al tempo stesso, ne vengono aggiunte di nuove.

Aftersun – Charlotte Wells (2022)

Il primo tra i 30 migliori film da recuperare assolutamente su MUBI è Aftersun di Charlotte Wells, non solo perché ha di fatto lanciato definitivamente la piattaforma in tutto il mondo generando il suo grandissimo successo per gli spettatori appassionati, ma anche perché ne rappresenta l’essenza su schermo, in termini di pensiero e di portata ideologica. L’esordio dietro la macchina da presa di Charlotte Wells è un elemento che fa dell’autobiografia non soltanto la propria destinazione, ma anche il proprio punto di forza: con una consapevolezza che sembrerebbe appartenere ad una penna e a una regia che viene da anni di approccio alla macchina da presa e alla materia, la regista realizza un vero e proprio capolavoro sotto tutti i punti di vista. Che si tratti della forza del divenire adulti, del contatto con il passato, del filtro rappresentato da ciò che viene portato davanti (o dietro) allo schermo, ogni elemento di Aftersun lambisce la perfezione e si crogiola in esso, in un’opera assolutamente estrema sotto tutti i punti di vista, che si arricchisce di un Paul Mescal assolutamente eccezionale e di una colonna sonora – con brani come Losing My Religion e Under Pressure – azzeccatissima nel restituire il senso di solitudine, depressione e incomunicabilità del nostro tempo.

Paul Mescal e Frankie Corio in una scena di Aftersun, diretto da Charlotte Wells e disponibile su MUBI.

My First Film – Zia Anger (2024)

La contemporaneità ha dalla sua non soltanto una grandissima abbondanza di idee, ma anche un modo costantemente originale di portarle sullo schermo. Probabilmente, uno dei marchi distintivi del nostro tempo (che sia inteso nel bene e nel male) è la ricerca costante di una chiave di volta che sappia risolvere il conflitto interno, inteso in ambito personalistico, ideologico ma anche propriamente emotivo. Ecco che quella grande complessità prende forma, alla maniera di quanto Charlie Kaufman insegnava nel suo Synecdoche, New York (ovvero con la maggiore mimesis possibile della realtà, ovvero una sub-realtà stessa), in My First Film di Zia Anger. In un supporto costante al metacinema che mette in piede la regista, il riferimento è quello alla sua prima opera diretta, il cui processo di composizione viene portato sullo schermo, per mezzo di elementi di dissonanza costanti che permettono un rimbalzo tra epoche, momenti ed elementi differenti. My First Film, al netto di condizioni di impurità che sono intrise nella storia del cinema contemporaneo, è un prodotto che merita di essere assolutamente recuperato e per cui consigliamo la visione a tutti coloro che vogliono scorgere, sul grande e piccolo schermo, una condizione di presente.

Persona – Ingmar Bergman (1966)

Difficile descrivere in poche parole la grandezza di un’opera come Persona. Il film diretto da Ingmar Bergman nel 1966 è infatti uno dei lungometraggi più intensi, profondi e strazianti che esistano, oltre ad essere citato più e più volte nel mondo del cinema e dell’arte in generale, da Noah Baumbach a Marracash. Un progetto mastodontico riassunto in soli 84 minuti di pellicola, un film pesante e complicato ma non per questo noioso o inavvicinabile dal grande pubblico, in quanto le tematiche trattate, in Persona come in tutto il cinema di Bergman, sono universali ed ogni spettatore non potrà che ritrovarci dentro ragionamenti e pensieri già espressi nella propria vita. Un capolavoro che tratta temi cari a Bergman come l’incomunicabilità, l’ipocrisia, la mancanza di fede (in Dio come negli esseri umani), la sessualità e con una fotografia – quella di Sven Nykvist – che tocca vette impensabili e che rende tutto ancor più rarefatto e pragmatico. Si tratta inoltre di un ottimo entry point per chiunque voglia iniziare a conoscere il regista svedese, le cui opere sono imprescindibili per chiunque ami la settima arte.

La Guerra dei Mondi – Piotr Szulkin (1981)

La storia del cinema è ricca di influenze, di modi di fare che si sono reiterati nel corso degli anni, di riferimenti che sono possibili in qualsiasi momento storico. Dunque è una storia fatta non soltanto di scoperta ma anche di analisi costante, di riscoperta e di volontà di scavare in ogni tempo, là dove sono presenti degli elementi che permettono di comprendere tutta la nostra storia. MUBI ha accolto, all’interno del suo catalogo, la tetralogia della fantascienza di Piotr Szulkin, un esempio di cinema fondamentale e importantissimo non soltanto per il momento storico in cui viene realizzato (quello della guerra fredda e della legge marziale in Polonia), ma anche per tutte le influenze successive. Realizzando un’opera che mostra il possibile effetto deviante dell’informazione distorta, il regista polacco attinge dall’estetica e dal senso della fantascienza di Tarkovskij per mettere in piedi una serie di opere che dialogano con un futuro post-apocalittico che, in realtà, è anche presente. La guerra dei mondi è probabilmente il film più famoso dei quattro (con Golem, Ga-Ga e O-bi O-ba), e racconta del momento in cui sulla Terra c’è un’invasione marziana che porta con sé tutti i connotati di un nuovo mondo, almeno nella sua rappresentazione.

Festen – Thomas Vinterberg (1998)

Il Dogma 95 è stato un movimento cinematografico che potremmo definire come determinante nell’espressione di alcune opere che sono state realizzate da registi come Lars Von Trier e Thomas Vinterberg, soprattutto per quanto riguarda il modo di portare sullo schermo, una determinata opera. Dalle camere a mano all’assenza di qualsiasi forma di luce o colore che fosse estraneo rispetto alla realtà rappresentata, il movimento si formalizza per mezzo di una serie di riferimenti di concretezza e di purezza della messa in scena. Festen è il primo film che ne faccia ufficialmente parte, nonché un incredibile capolavoro del genere che dimostra come la macchina da presa possa catturare, pur con elementi di distorsione e di volontà di posizionamento, tutto ciò che è in suo potere inquadrare. Il senso del racconto e del disvelamento della verità, portato in essere nella narrazione passo dopo passo con la verità di molestie e stupri svelata durante una commemorazione, lascia spazio alla sapienza nella rappresentazione, con i topoi inizialmente inquadrati che lasciano spazio ben presto ad un racconto corale, fatto di armonie e scontri, fino a elementi tematici di razzismo, dissoluzione familiare e rigetto che conducono al meraviglioso finale del film. Senza alcun dubbio, il capolavoro di Thomas Vinterberg trova spazio tra i 30 migliori film da recuperare assolutamente su MUBI.

2046 – Wong Kar-wai (2004)

Presentato in anteprima al 57esimo Festival di Cannes, 2046 è il sequel di In the Mood for Love e, per quanto sia molto meno ricordato e considerato, è l’ennesimo capolavoro nella carriera di un gigante come l’hongkonghese Wong Kar-wai. Tony Leung Chiu-Wai torna ad interpretare Chow Mo-Wan in una pellicola che è al tempo stesso vicinissima ed opposta al lungometraggio che quattro anni prima, sempre sulla Croisette, veniva premiato col Prix d’Interprétation Masculine. Con 2046 continua un vero e proprio studio antropologico che mescola il melodramma alla fantascienza ed alza l’asticella dell’erotismo, con un cast semplicemente perfetto che vede, oltre al già citato protagonista, delle leggende come Zhang Ziyi, Gong Li, Faye Wong e Carina Lau. Un titolo imprescindibile, che racconta del tempo che passa e di come certe ferite, forse, non possono rimarginarsi.

Il Signore del Male – John Carpenter (1987)

Lontano da una macchina da presa da ormai 15 anni, John Carpenter è un regista da preservare. Sì perché l’impressione è che alcuni dei film da lui diretti – da Halloween a 1997: Fuga da New York ed Essi Vivono – siano divenuti cult e ricordati per la loro qualità ma non necessariamente (soprattutto dai più giovani) per l’autore che li ha realizzati. Eppure Carpenter è davvero un gigante di quest’arte e raramente ha sbagliato un progetto. Il suo è un cinema di contaminazione e, per quanto sia sempre stato un elemento presente, ha diretto poche volte dei veri e propri horror. Uno di questi è Il Signore del Male e ci sentiamo di consigliarlo in quanto uno dei più grandiosi esempi del genere e di come esso possa essere utilizzato per veicolare un messaggio, così come lo ha sempre inteso il suo collega George A. Romero. Secondo capitolo della cosiddetta Trilogia dell’Apocalisse – una delle migliori di sempre se si pensa che gli altri due titoli sono La Cosa e Il Seme della Follia – Il Signore del Male riesce a far paura anche a distanza di quasi 40 anni dalla sua uscita e lo fa a partire dalle viscere, con la paura che si trasforma quasi in dolore, grazie alla clamorosa interpretazione di Donald Pleasence e ad un lavoro di messa in scena semplicemente sublime. Quel finale poi – che ovviamente evitiamo di spoilerare – è tra i più belli non solo della storia dell’horror, ma di tutta la storia del cinema.

Gli Oceani sono i Veri Continenti – Tommaso Santambrogio (2023)

Uno dei più grandi pregi di MUBI che contribuisce a renderla una piattaforma del tutto originale è, senza ombra di dubbio, la varietà del proprio catalogo, dove si possono trovare grandi classici, perle nascoste agli occhi dei più, ma anche lungometraggi di recente distribuzione che meritano di avere una risonanza maggiore rispetto a quella che magari riescono ad ottenere in sala o che, semplicemente, rientrano perfettamente negli intenti comunicativi ed artistici della piattaforma stessa. In questo senso, sentiamo di dover sottolineare la presenza di Gli Oceani sono i Veri Continenti, diretto dall’italiano Tommaso Santambrogio e presentato in anteprima all’80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione parallela delle Giornate degli Autori, di cui è stato film d’apertura. L’opera è stata accolta in maniera generalmente positiva, eppure qui vogliamo porre l’accento su come un lungometraggio come questo sia, in Italia, una boccata d’aria fresca, necessaria e sorprendente. A sorprendere è infatti come un italiano possa essere un allievo – sotto ogni punto di vista – di un autore tanto grande quanto poco citato come Lav Diaz, da cui Santambrogio studia e coglie appieno l’essenza delle opere, oltre che la meravigliosa arte del bianco e nero.

Occupied City – Steve McQueen (2023)

A proposito di opere recenti, una delle voci più importanti del cinema europeo degli ultimi 20 anni è indubbiamente quella del britannico Steve McQueen che, dopo un debutto folgorante con Hunger e Shame ed il trionfo ai premi Oscar con 12 Anni Schiavo, raggiunge un’indipendenza artistica tale da permettergli di realizzare opere di rottura tra il politico e l’umanistico. Non sempre gli è andata bene e, tra il flop di Widows e le critiche a Blitz, sembra quasi si stia raffreddando l’interesse per i suoi nuovi progetti, ma ciò rappresenterebbe un peccato capitale perché, mai come in questi anni, la capacità di raccontare il presente attraverso il ricordo del passato è necessario. Occupied City si pone proprio all’interno di questa cornice: un documentario di oltre 4 ore sull’occupazione nazista di Amsterdam durante la seconda guerra mondiale, basato sul romanzo Atlas of an Occupied City, Amsterdam 1940-1945 di Bianca Stigter e presentato in anteprima al 76esimo Festival di Cannes. Un progetto enorme, faticoso eppure straordinario, che trova casa nel catalogo di MUBI, alla portata di tutti, come dovrebbe sempre essere il cinema e, soprattutto, questo genere di cinema.

Sacrificio – Andrej Tarkovskij (1986)

Tutto ciò che è stato detto in precedenza riguardo Ingmar Bergman va preso ed applicato anche ad Andrej Tarkovskij, nome troppe volte associato ad un cinema difficile, d’élite, chiuso e pragmatico, ma non è altro che il meglio che la settima arte possa offrire. Sia infatti chiaro da subito: parlare di Tarkovskij significa parlare di uno dei 5 o 6 registi più influenti della storia ed un’artista gigantesco la cui eredità, vista la sua prematura morte, si racchiude in 7 lungometraggi, un paio di mediometraggi ed un documentario, tra l’altro co-diretto con l’italiano Tonino Guerra. Sacrificio è il suo ultimo progetto e, come spesso accade per questo tipo di opere, viene presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes dove, nel 1986, vince il Grand Prix speciale della giuria. In realtà, esso riceve anche un altro riconoscimento per il miglior contributo artistico. A chi? Proprio a Sven Nykvist, lo storico direttore della fotografia di Bergman due volte premio Oscar. Un’opera monumentale, centrato sul rapporto tra uomo e Dio ma anche tra l’uomo ed il contemporaneo, sull’alienazione e sull’incomunicabilità. Un capolavoro, come d’altronde tutto ciò che Andrej Tarkovskij abbia mai diretto.

Parasite – Bong Joon-ho (2019)

Probabilmente, considerando la lista di tutti i 30 film migliori da recuperare assolutamente su MUBI, Parasite è sicuramente il più noto di questi e avrebbe bisogno di ben poche spiegazioni. Tuttavia, si tratta pur sempre di una selezione che ha le sue ragioni non soltanto relativamente al film selezionato, ma anche a proposito di un regista che – per primo – ha saputo rivoluzionare il modo in cui guardiamo al cinema orientale. Non che Parasite e Bong Joon-ho siano rispettivamente il primo titolo e il primo regista orientale di cui prendere nota (e questa lista dimostra esattamente il contrario), ma ci piace immaginare che la vittoria all’Oscar come miglior film per il capolavoro di Bong Joon-ho sia stato il momento esatto in cui qualcosa, nel nostro sguardo e nelle nostre modalità di approccio a quella fetta consistente del mondo, è definitivamente scattato. In quanto tale, allora, Parasite è un baluardo: cronologicamente arriva dopo una vasta quantità di titoli, autori e registi, ma se c’è un ordine da seguire per rapportarsi al cinema asiatico, si può scegliere questo film prima di tutti gli altri, per iniziare così un percorso straordinario che cambierà la propria vita.

Querelle de Brest – Rainer Werner Fassbinder (1982)

Quando si parla di cinema tedesco, i nomi che vengono subito alla mente sono quelli di Wim Wenders e Werner Herzog, pionieri e figure fondamentali all’interno della storia della settima arte. Eppure, c’è un regista fondamentale che oggi sembra ormai essere dimenticato e che ha segnato in maniera indelebile la storia del cinema: Rainer Werner Fassbinder. Il regista nato nel piccolo comune di Bad Wörishofen ha avuto una carriera certamente più breve – nato nel 1945, ha diretto film per un breve arco temporale, dal 1969 al 1982 – ma non per questo meno pregna di significato e qualità. Una carriera conclusasi inoltre con uno dei suoi più grandi capolavori e pietra miliare del cinema queer, ovvero Querelle de Brest, cosa che sottolinea ancor più l’attenzione con la quale MUBI seleziona le opere per il proprio catalogo.

L’opera fu presentata in anteprima alla 39esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia pochi mesi dopo la morte del regista e l’allora presidente di giuria Marcel Carné tentò in tutti i modi di consegnargli il più ambito dei premi, senza però incontrare il parere unanime dei suoi colleghi, portando il Leone d’oro sì in Germania, ma nelle mani del precedentemente citato Wim Wenders, per il comunque magnifico Lo Stato delle Cose. Querelle de Brest è uno dei lavori più importanti di Fassbinder, regista sempre troppo poco citato ma ancora oggi influente e che, in un certo senso, con quest’opera ha anticipato di decenni Dogville di Lars Von Trier: nonostante il film del regista danese vada poi in un’altra direzione, Querelle è infatti barocco, estremo, antirealistico in quanto girato in un teatro di posa e che non ha paura di mostrare sesso, prostituzione e droga. Ciò lo portò ad un divieto ai minori ed a tagli per circa 110 minuti di girato in Italia, ma resta un film enorme che, si spera, possa così essere (ri)scoperto.

Prayers for the Stolen – Tatiana Huezo (2021)

A proposito di gemme nascoste, MUBI ha l’enorme pregio di rendere reperibili opere che, senza la risonanza che la piattaforma streaming può dare, rimarrebbero nascoste, invisibili dunque inesistenti. È il caso di Prayers for the Stolen – noto anche come Noche de Fuego – lungometraggio diretto dalla regista salvadoregna Tatiana Huezo e tratto dall’omonimo romanzo di Jennifer Clement. Si tratta di un film molto vicino, se vogliamo, all’approccio umanistico del precedentemente citato Steve McQueen, che si concentra sulla vita di tre giovani ragazze che vivono in un piccolo villaggio rurale totalmente dominato dallo spaccio e dai cartelli della droga, dove tutto è morte e la speranza sembra svanire. Cinema del reale per un’autrice quasi totalmente sconosciuta ma che merita di essere citata il più possibile, perché la sua voce e quella dei suoi personaggi necessita di essere ascoltata e che, di nuovo, va dal particolare all’universale con un racconto che parla di tutto il mondo e di come troppo spesso non si è in grado di notare ciò che si ha sotto i propri occhi o, ancor peggio, lo si evita.

Anatomia di una caduta – Justine Triet (2023)

Palma d’Oro al Festival di Cannes 2023 e Oscar per la migliore sceneggiatura originale nel 2024; l’annata di Anatomia di una caduta, che intanto è stato inserito su MUBI con una grandissima presa da parte della piattaforma, è stata assolutamente sensazionale per un film che ha mostrato tutta l’incredibile qualità del cinema francese e del suo stato, anche e soprattutto in questo momento storico. Il film di Justine Triet porta con sé tutti i crismi del cinema thriller, ma non solo, in cui l’aspetto del sonoro (e di ciò che effettivamente è stato possibile sentire) rappresenta il primo passo di una successiva indagine sensoriale, in cui lo spettatore compartecipa alla materia processuale in tutto e per tutto. Un film assolutamente necessario non soltanto per gli amanti del genere, ma anche per coloro che ricercano – sulla piattaforma – un prodotto da cui muovere i primi passi per la scoperta della piattaforma di streaming in questione: insomma, Anatomia di una caduta figura senza alcun dubbio tra i migliori 30 film da recuperare assolutamente su MUBI.

Lo Zio Boonmee che si Ricorda le Vite Precedenti – Apichatpong Weerasethakul (2010)

Probabilmente Apichatpong Weerasethakul non dirà molto, come nome, alla maggior parte degli spettatori; tuttavia, il film che indichiamo tra i migliori 30 da recuperare assolutamente su MUBI non solo rappresenta un saggio delle sue capacità, della sua portata narrativa e del suo incredibile lavoro in termini di estetiche. Lo Zio Boonmee che si Ricorda le Vite Precedenti è un rarissimo caso di Palma d’Oro che, fino all’ultimo, non aveva neanche un compratore e che dice molto del senso della percezione di un certo tipo di cinema, che in questo caso si avvale anche di tecniche rudimentali e di un modo di portare in scena l’immagine assolutamente distante dal modo Occidentale di percepire l’arte. Eppure si tratta di un’opera eccezionale, delicata nel rappresentare lo stato di trapasso di un essere umano e al contempo intelligentissima nel mescolare piani narrativi ed estetici che vanno dal reale all’irreale, con fantasmi, mostri e persone comuni che siedono allo stesso tavolo senza farsi troppe domande e con la gestione del doppio che costituisce lo splendido finale del film.

Mishima: Una Vita in Quattro Capitoli – Paul Schrader (1985)

Yukio Mishima è stato uno degli autori giapponesi più importanti del XX secolo. Scrittore, poeta, drammaturgo, saggista: un’artista a tutto tondo con posizioni politiche molto controverse, estremamente patriottico e fondatore della Tatenokai, una milizia privata tradizionale, conservatrice e nazionalista discussa ancora oggi. Nel 1985, Paul Schrader decide di dirigere Mishima: Una Vita in Quattro Capitoli, uno dei Biopic più importanti di sempre che cerca di scavare nella mente di questo personaggio grazie all’uso di flashback e di una messa in scena a dir poco straordinaria. Il cuore del film restano però i suoi ultimi giorni quando, il 25 novembre 1970, decise di fare irruzione in una base militare di Tokyo insieme a quattro membri della sopracitata Tatenokai. Dopo aver tenuto un discorso che esortava le truppe presenti ad insorgere, decise di togliersi la vita praticando il seppuku, il suicidio rituale dei samurai. Paul Schrader coglie perfettamente l’essenza di questa figura, i suoi tormenti ed ideali, il periodo storico in cui ha vissuto e porta in scena il tutto in maniera totalmente anarchica ed originale, realizzando così uno dei suoi più grandi capolavori che, come accaduto con tanti titoli presenti in questa classifica, fu presentato in anteprima al 38esimo Festival di Cannes.

Cannibal Love – Claire Denis (2001)

Altro giro, altra corsa. Anche in questo caso, il film consigliato come uno dei 30 presenti nel catalogo di MUBI da recuperare assolutamente è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes, per la precisione alla sua 54esima edizione nella sezione fuori concorso. Stiamo parlando di Cannibal Love, lungometraggio diretto da chi conosce bene la Croisette, ovvero Claire Denis, autrice divisiva e che non sempre ha centrato il punto con le sue opere ma che, con Cannibal Love, realizza uno dei suoi migliori lavori e che viene ancora oggi ricordato e citato da una élite di appassionati e di autori, come fatto per esempio da Luca Guadagnino nel suo Bones and All. Con un Vincent Gallo in splendida forma, vengono mescolati sesso e cannibalismo in una pellicola cruda, spietata ed incredibilmente credibile, oltre che ancora perfettamente godibile a quasi 25 anni dalla sua uscita. Si tratta inoltre di un ottimo starting point per approfondire il cinema di un’autrice importante e che, nonostante qualche passo falso, merita di essere (ri)scoperta.

Il Disprezzo – Jean-Luc Godard (1963)

Come nel caso di Ingmar Bergman ed Andrej Tarkovskij, Jean-Luc Godard è un altro di quei registi che non ha di certo bisogno di presentazione. Fra i principali esponenti della Nouvelle Vague e figura di spicco dei prestigiosi Cahiers du Cinéma, il regista francese ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema, tentando costantemente di sovvertirne le regole, rivoluzionando attraverso, spesso e volentieri, idee ed anarchia. La sua è stata una carriera estremamente prolifica e tutto il primo periodo lo si può tranquillamente considerare come pietra miliare della settima arte. All’interno di questa fase – durata dal 1960 al 1967 – c’è un film che però, almeno rispetto agli altri, sembra venir citato meno, ovvero Il Disprezzo. Tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, si tratta di un vero e proprio capolavoro, con una coppia d’attori – Brigitte Bardot e Michel Piccoli – semplicemente perfetti ed una meravigliosa comparsata di Fritz Lang (per quanto Moravia, inserendo nel suo scritto un regista tedesco, pare si ispirasse a Georg Wilhelm Pabst). Un’opera-mondo che ragiona su amore, cinema e su come questi elementi finiscano per intrecciarsi, con esiti non sempre positivi.

Il Sorpasso – Dino Risi (1962)

Se in Francia nei primi anni ’60 debuttava la Nouvelle Vague e veniva distribuito nelle sale il sopracitato Il Disprezzo di Jean-Luc Godard, nel nostro paese la cosiddetta commedia all’italiana toccava una delle sue vette massime con il più grande capolavoro di Dino Risi ed uno dei film nostrani più importanti di sempre. Stiamo parlando di Il Sorpasso, lungometraggio che ha influenzato il cinema a livello mondiale e scritto pagine indelebili della storia della settima arte. Con due strabilianti protagonisti – Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant – l’opera scava nelle profondità del popolo italiano del dopoguerra ed in pieno boom economico, con un affresco tanto bello quanto spaventoso per accuratezza della società italiana di quel periodo, riuscendo a superare la prova del tempo grazie alla freschezza (ancora oggi a distanza di 63 anni dalla sua uscita) di dialoghi, regia e messa in scena. Una pietra miliare della settima arte che, a differenza di come spesso avviene con opere di tale portata, fu da subito un enorme successo di pubblico e critica, in Italia come all’estero, grazie anche a quella capacità tipica del grande cinema italiano di sapere far ridere e piangere, riflettere e lasciarsi andare.

Ancora un’Estate – Catherine Breillat (2023)

Come detto, tra i pregi di MUBI c’è la capacità non solo di rendere reperibili opere del passato e classici fondamentali nella storia della settima arte, ma anche di scovare quelle opere imprescindibili del presente che però, per una distribuzione discutibile o per la mancanza di passaparola, restano nascoste. È il caso dell’ultimo film di Catherine Breillat, regista francese da molti considerata scabrosa ma che ha invece contribuito in maniera decisiva alla formazione di un certo tipo di cinema erotico, collaborando addirittura con Rocco Siffredi in più occasioni. Dopo 10 lunghi anni d’assenza, è tornata dietro la macchina da presa con Ancora un’Estate, titolo che ha fatto molto parlare di sé e che, nonostante sia stato selezionato in concorso a Cannes76, è stato da molti massacrato per le tematiche trattate. Ciò che lo rende invece un film da non perdere non è tanto ciò di cui parla, quanto il modo in cui si approccia a temi ancora oggi considerati tabù ma che, in quanto parte integrante della società dall’alba dei tempi, sono più attuali che mai. Perché alla fin fine è proprio sui modi che bisognerebbe interrogarsi, senza fermarsi alla copertina, privi di preconcetti ed aperti ad altri punti di vista, ad altre finestre sul mondo, che è poi quello in cui tutti vivono, nessuno escluso. Uno dei migliori film del 2023.

Persepolis – Marjane Satrapi, Vincent Paronnaud (2007)

Il catalogo di MUBI non è forse, da un punto di vista meramente quantitativo, il più ricco tra le varie piattaforme esistenti, ma è indubbiamente il più curato. Non mancano infatti esempi del più alto cinema d’animazione esistente e caso vuole che uno di questi titoli non sia soltanto estremamente attuale, ma anche tra i più noti e premiati della storia. Persepolis infatti, dopo aver addirittura vinto il premio della giuria al 60esimo Festival di Cannes – si, per l’ennesima volta un film proveniente dalla Croisette – è stato candidato al premio Oscar, dove però vengono seguite ben altre logiche, col film che perse contro il sì bellissimo Ratatouille, ma contro l’ennesimo film della dominante Pixar. Il lungometraggio di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud è irriverente, anarchico e racconta una storia che, partendo dal particolare, si allarga all’universale, essendo così incredibilmente contemporaneo. Allo stesso tempo, non si tratta neanche del classico film d’animazione come se ne vedono fin troppi ogni anno, ma di un’opera che tenta di innovare sia da un punto di vista tecnico – realizzato dagli studi Je Suis Bien Content e Pumpkin 3D e per lunghi tratti in bianco e nero- che concettuale.

Il Terzo Uomo – Carol Reed (1949)

Se opere come quelle precedentemente citate di Ingmar Bergman e Andrej Tarkovskij sono sì imprescindibili ma i loro autori, almeno come nome, sono piuttosto noti tra i cinefili ed i più appassionati, lo stesso non si può dire di Carol Reed. Eppure si tratta di un regista che ha dedicato la sua intera esistenza al cinema, lavorando dalla metà degli anni ’30 fino a pochi anni dalla sua morte avvenuta nel 1976 e che, nel 1969, è addirittura riuscito a portarsi a casa un premio Oscar per il miglior regista con Oliver!. Nonostante abbia diretto molte opere di pregevolissima fattura, è ancora oggi ricordato per una in particolare: stiamo parlando di Il Terzo Uomo, vincitore del miglior film al terzo Festival di Cannes e con protagonista un immenso Orson Welles. Oltre a regalargli uno dei più grandi ruoli della sua carriera, Reed ha però messo in scena uno dei più grandi noir di sempre, tanto da essere stato inserito dall’American Film Institute al 57esimo posto nella speciale classifica “AFI’s 100 Years… 100 Movies“. Ancora oggi ricordato e citato, Il Terzo Uomo ha rivoluzionato il genere ed il modo di fare cinema, con un’inventiva straordinaria e con un utilizzo semplicemente unico della colonna sonora.

La Pianista – Michael Haneke (2001)

Un altro grande classico, al pari dei tanti già citati, ma tra quelli di distribuzione più recenti. Solamente 24 anni fa usciva infatti nelle sale La Pianista, l’ennesimo capolavoro dell’austriaco Michael Haneke: per intenderci, per chi fosse macchiato dal peccato di non conoscere questo enorme autore, stiamo parlando di uno dei pochi registi in grado di vincere per due volte la Palma d’oro al Festival di Cannes e l’unico ad esserci riuscito con due opere consecutivamente, ovvero Il Nastro Bianco (2009) e Amour (2012). Si tratta però di una punta di diamante nella storia del festival francese ed infatti anche questo titolo fu presentato sulla Croisette. Mancò il primo pieno – in una folle edizione che vide trionfare Nanni Moretti con La Stanza del Figlio – ma si portò a casa il Grand Prix speciale della giuria ed entrambi i riconoscimenti attoriali, con il Prix d’interprétation Masculine andato a Benoît Magimel ed il Prix d’interprétation Féminine andato a Isabelle Huppert. Un successo stratosferico per quello che poi non è altro che un film erotico, dunque uno di quei generi da sempre più malvisti dalla massa ma che invece, nella sua crudezza, racconta uno spaccato di vita estremamente realistico. Un must, come tutta la sua filmografia, i cui titoli sono spesso presenti nel catalogo MUBI.

Los Colonos – Felipe Gálvez (2023)

Un esordio dietro la macchina da presa per Felipe Gálvez, che dirige un film troppo (e ingiustamente) sottovalutato nell’ultima stagione cinematografica, nonostante tutta una serie di elementi che permettono di parlare di grandissima opera. Il Los Colonos di Gálvez muove da un impianto cinematografico consolidato e classico, con quel western che ha fatto la storia del cinema e che viene ripreso tanto nelle ambientazioni quanto nelle tematiche fondamentali, nel senso di territorialità, nello scontro con l’altro e nella conquista di spazi che si configurano non soltanto come geografici, ma anche come sociali. Los Colonos è una brillantissima opera prima, che mette in luce non soltanto il talento del suo regista, ma anche una condizione di possesso e di partizione territoriale che ancora oggi è tremendamente attuale, il tutto senza fare troppo necessariamente affidamento agli stilemi tipici del western, ma lasciando ai silenzi e alla contemplazione il teatro dell’azione globale.

Tokyo Sonata – Kiyoshi Kurosawa (2008)

Quando si parla di Kurosawa la mente va, inevitabilmente, ad Akira, uno dei capostipiti del cinema giapponese ed internazionale, autore di capolavori della settima arte che influenzano ancora oggi registi di ogni angolo del mondo. C’è però un altro Kurosawa i cui lavori sono d’importanza capitale: stiamo parlando di Kiyoshi, ovvero la mente dietro due tra i più rilevanti titoli degli ultimi decenni come Cure (1997) e Pulse (2001) e recentemente premiato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con il Leone d’argento per la miglior regia di Moglie di una Spia. Oltre a Venezia, egli è però un frequentatore del Festival di Cannes – come, d’altronde, la maggioranza dei più importanti autori di sempre – dove, nel 2008, si è portato a casa il premio della giuria nella sezione Un Certain Regard grazie ad una delle sue tante gemme, ovvero Tokyo Sonata. Con protagonista il suo attore feticcio Kōji Yakusho – ora noto ai più per il suo ruolo sublime in Perfect Days di Wim Wenders – si tratta dell’ennesima opera che attesta non solo l’enorme talento di Kiyoshi Kurosawa, ma che sottolinea nuovamente quanto la sua sia una delle voci più importanti del cinema contemporaneo. Un nome noto a molti ma che resta spesso in superficie, dunque la presenza in questa lista è anche una maniera per invitare i lettori a recuperare le tante opere da lui realizzate e l’ennesimo plauso a MUBI che ha occhi ovunque e si rende conto della sua grandezza.

Il Laureato – Mike Nichols (1967)

Che carriera strana quella di Mike Nichols. Il suo film di debutto – Chi ha Paura di Virginia Woolf? – vinse 5 premi Oscar su 13 nomination e solamente un anno dopo, nel 1967, uscì nelle sale Il Laureato, ovvero una delle opere più importanti nella storia del cinema americano: non a caso, nel 1998 l’American Film Institute lo ha inserito al settimo posto nella classifica dei migliori 100 film statunitensi di tutti i tempi, salvo scendere di dieci posizioni nell’aggiornamento della stessa datato 2008. Altre 7 candidature agli Academy Awards e statuetta per la miglior regia, ma i premi non sono che accessori per un lungometraggio leggendario, di culto e cross-generazionale, che lanciò la carriera di Dustin Hoffman e consacrato i già noti Simon & Garfunkel, autori della indimenticabile colonna sonora. Che dire poi di quel finale, divenuto emblema di un periodo storico in cui si cercava l’emancipazione dai propri padri e la rottura con il conformismo imposto dalla società dell’epoca fuggendo verso l’ignoto. Un capolavoro assoluto cui Nichols non ha mai saputo davvero replicare, nonostante abbia successivamente diretto altre opere rilevanti come Conoscenza Carnale (1971) o Closer (2004). Non esiste studioso, critico o appassionato che non abbia visto Il Laureato e non sappia riconoscerne il ruolo centrale nella storia della settima arte.

Shiva Baby – Emma Seligman (2020)

Emma Seligman è probabilmente una delle registe più interessanti nel panorama del cinema indipendente e i suoi lavori dimostrano non soltanto una grandissima consapevolezza della macchina da presa, del connubio tra generi e della commistione tipica del postmoderno, ma anche una dose enorme di ironia e di conoscenza di ciò che si sta portando sullo schermo: prima di ripetersi con Bottoms, che sfrutta i meccanismi tipici della commedia liceale per sovvertirli e creare un qualcosa di innovativo sotto ogni punto di vista, la regista aveva già lavorato con Rachel Sennott per Shiva Baby, film in cui – nel minutaggio risicato del film – aveva saputo dar vita ad un grande prodotto pieno di ritmo, claustrofobia e inferenze tipiche del genere horror (soprattutto nella fotografia e in quelle distorsioni prodotte talvolta sullo schermo), il tutto ragionando a proposito di sesso, moralità e religione in un ambiente vorticoso che omaggia le classiche rappresentazioni corali realizzate in una piccolissima quantità di stanze e interni. Un film certamente non perfetto in tutti i suoi momenti, che talvolta pecca di un eccesso di zelo, ma che dimostra come Emma Seligman sia una regista da scoprire nella sua giovanissima età e nella sua grande qualità in termini di proposta.

Asparagus – Suzan Pitt (1979)

Parlando di Persepolis abbiamo sottolineato come MUBI si muova su più fronti ed abbia un occhio di riguardo anche per la grande animazione. Per quanto il film di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud sia meraviglioso, il vero pezzo da 90 presente nel catalogo della piattaforma streaming è la filmografia di Suzan Pitt. Sconosciuta ai più, la regista statunitense è una delle fondatrici di un certo modo di fare animazione che si discosta in maniera netta dall’idea Disney-centrica che, più o meno forzatamente, hanno un po’ tutti. Negli anni ’70, Pitt ha rivoluzionato il cinema con una serie di cortometraggi straordinari, maturi e dal senso estetico ed artistico impareggiabile che, anche se mai citati, hanno davvero segnato la storia della settima arte. In questa classifica citiamo forse il più noto, ma che è anche la perfetta summa della sua arte, ovvero Asparagus dove, in soli 20 minuti, c’è un condensato di genialità impareggiabile e, non a caso, quando uscì nelle sale fu proiettato spesso e volentieri a mezzanotte a braccetto con Eraserhead di David Lynch, con cui condivide non solo l’evidente tratto surrealista, ma anche la consapevolezza che, col cinema, non esistono limiti se non quelli autoimposti.

Melancholia – Lav Diaz (2008)

In precedenza ci siamo sentiti di citare, all’interno di questa classifica dei 30 migliori film da recuperare su MUBI, l’ultimo lungometraggio di Tommaso Santambrogio, sottolineando l’enorme influenza che ha avuto su di lui Lav Diaz. Ecco, si da il caso che questa sia l’unica piattaforma streaming nel quale catalogo sono presenti i film di un regista tanto importante quanto poco ricordato come il filippino. Tra i tanti titoli presenti, quello che vogliamo citare è Melancholia, vincitore del premio per il miglior film nella sezione Orizzonti della 65esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Durata: 447 minuti, ovvero più di 7 ore. Diaz è famoso per la lunghezza dei suoi lavori ma qui ha davvero estremizzato le cose. Eppure, il suo tratto distintivo sta proprio nel modo in cui nostalgia e malinconia vengono dilatati all’interno del tempo filmico, sottolineando come poi il tempo reale trasformi tutto ciò che esiste, dai paesi alle persone stesse. Un film certamente lento e che mette a dura prova il fisico dello spettatore ma, come succede anche con Satantango di Béla Tarr, è chiaro che il viaggio sia parte integrante del progetto. Lento sì, di certo non noioso, con questi due fattori che vanno scissi in maniera netta, cosa che non sempre accade. La durata ha come unico difetto quello di non essere forse il migliore degli entry point per approcciarsi a Lav Diaz ma, al contempo, se c’è la volontà di scoprire il suo lavoro, allora uno vale davvero l’altro. Imperdibile.

Paradiso: Fede – Ulrich Seidl (2012)

Questa classifica dei 30 migliori film da recuperare su MUBI è stata dominata da titoli presentati al Festival di Cannes, eppure la piattaforma streaming ha un occhio di riguardo per opere che hanno avuto la propria anteprima mondiale nei maggiori festival del mondo. Tra questi, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è indubbiamente uno dei più importanti, nonché il più antico. Oltre alle già citate, vogliamo concludere questa lista con un’opera che, a Venezia69, si è aggiudicata il premio speciale della giuria, ovvero Paradise: Faith di Ulrich Seidl. In realtà sono molte le opere del regista austriaco presenti all’interno del catalogo e tutte, per un motivo o per un altro, meritano la visione, in quanto si tratta di un autore davvero unico che, per quanto forse non affine ai gusti del grande pubblico, andrebbe riscoperto. Il film in questione è il secondo della trilogia composta anche da Paradise: Love e Paradise: Hope ed è, in questo senso, forse lo zoccolo duro della sua filmografia, dove l’erotismo trova sfogo nel modo più anticonvenzionale possibile. Uno sguardo sul mondo e sulla settima arte unico ed inimitabile.