Articolo pubblicato il 19 Febbraio 2025 da Gabriele Maccauro
La recensione di Storia della mia Famiglia, serie tv ideata da Filippo Gravino e diretta da Claudio Cupellini, con protagonista Eduardo Scarpetta. Disponibile su Netflix a partire dal 19 febbraio 2025, si tratta di uno dei prodotti italiani più attesi dell’anno, non solo per la sua presenza nel catalogo della famosa piattaforma streaming, ma anche e soprattutto per il suo cast corale e le tematiche trattate, che vanno dall’elaborazione del lutto all’amore incondizionato nei confronti di parenti ed amici. Un progetto a suo modo ambizioso composto da 6 episodi della durata di circa 45 minuti ciascuno che, siamo certi, appassionerà il pubblico. A seguire, trama e recensione di Storia della mia Famiglia.
La trama di Storia della mia Famiglia, disponibile su Netflix
Prima di passare all’analisi e recensione della serie tv, è bene spendere due parole sulla trama di Storia della mia Famiglia, il nuovo prodotto originale Netflix ideato da Filippo Gravino e diretto da Claudio Cupellini. Le vicende di Storia della mia Famiglia girano attorno alla figura di Fausto (Eduardo Scarpetta), un giovane segnato da una brutta malattia, che trascorre il suo ultimo giorno di vita con un solo pensiero: il futuro dei suoi due figli, Libero ed Ercole. Sapendo di non poter contare sulla loro madre, Sarah (Gaia Weiss), Fausto affida i bambini alle quattro persone più importanti della sua vita: la madre Lucia (Vanessa Scalera), il fratello Valerio (Massimiliano Caiazzo) e i suoi amici più cari, Maria (Cristiana Dell’Anna) e Demetrio (Antonio Gargiulo). Un gruppo eterogeneo e imperfetto, che si trova improvvisamente a dover diventare una famiglia per il bene dei bambini, affrontando limiti, paure e responsabilità.

Massimiliano Caiazzo in Storia della mia Famiglia (2025), diretta da Claudio Cupellini
La recensione di Storia della mia Famiglia, serie tv diretta da Claudio Cupellini
Alexandre Dumas diceva che, per scavare nell’animo umano, c’è bisogno di una ferita, intesa come un insieme di eventi che, nel bene o nel male, segnano l’esistenza di tutti, nessuno escluso. Il cinema italiano ha da sempre fatto tesoro di questo concetto con autori che, con la propria autorialità ed in maniera originale e personale, sono stati in grado di rivoluzionare non solo la cinematografia nostrana, ma anche quella mondiale, attestandosi ancora oggi come fonte d’ispirazione per registi e artisti provenienti da ogni parte del globo. È questo il caso di Michelangelo Antonioni, che ha fatto dell’incomunicabilità e dell’alienazione il proprio cavallo di battaglia, segnando in maniera indelebile gli anni ’60. Con un approccio diverso ma con un fil rouge capace di legarne l’essenza, è poi arrivato Ettore Scola che, tra gli anni ’70 ed ’80, ha saputo coniugare commedia all’italiana ed impegno sociale come nessun’altro. Nello stesso periodo c’è stato poi un altro autore che, con un approccio ancor più sovversivo e rivoluzionario, ha portato avanti questa tradizione in maniera a dir poco eccezionale, ovvero Bernardo Bertolucci, forse l’ultimo grande regista italiano capace di realizzare un film italiano epico nel senso più stretto del termine. Per quanto autori come Paolo Sorrentino o Luca Guadagnino sembra siano un po’ gli eredi dei geni sopracitati, ritrovare quella voglia e desiderio di raccontare l’oggi partendo dal particolare per arrivare all’universale sembra impresa ben più ardua.
In realtà, di opere che hanno tentato di riprendere questi stilemi ce ne sono e forse Gabriele Muccino è l’unico vero autore il cui tratto caratteristico è riconoscibile in tutti i suoi lungometraggi, ma a mancare è, paradossalmente, quel senso di verità di cui erano pregne opere come La Notte (1961), C’eravamo tanto Amati (1974) o Novecento (1976). Manca autenticità, manca la capacità di guardarsi davvero dentro e raccontare una storia che sappia parlare davvero a tutti e Storia della mia Famiglia, nonostante ambisca a riprendere in mano quel filone, fallisce proprio in questo.
Durante la visione dei 6 episodi di cui è composta la serie tv Netflix ideata da Filippo Gravino e diretta da Claudio Cupellini, si ha la costante sensazione che ci sia qualcosa fuori posto. C’è un buon cast corale, c’è una famiglia che deve vedersela con una ferita impossibile da rimarginare e la necessità di andare avanti per il bene collettivo, eppure non riusciamo a credere loro. Non riusciamo ad accettare certi comportamenti e scelte – in primis del Fausto interpretato da Eduardo Scarpetta – e, soprattutto, non riusciamo ad accettare che queste vite vengano filtrate da chi sta dietro la macchina da presa, ovvero da chi dovrebbe essere invisibile ed imparziale, interessato a raccontare fatti e non ad imporre il proprio volere sullo spettatore, guidandolo verso lacrime imposte e sentimenti pilotati e dove la musica gioca un ruolo centrale ed a tratti subdolo, che veicola il pubblico in una direzione piuttosto che in un’altra, dove si urla piuttosto che parlare, dove si estremizzano concetti ed esagerano modi ed umori. Più Muccino che Scola dunque. Storia della mia Famiglia è dunque un progetto riuscito solamente a metà e, per quanto si lasci vedere e scorra anche abbastanza bene, non può che lasciare l’amaro in bocca per quello che poteva essere e non è stato, come troppo spesso accade negli ultimi anni.