Articolo pubblicato il 28 Febbraio 2025 da Vittorio Pigini
Distribuito nelle sale italiane dal 27 febbraio 2025, Heretic è il nuovo film prodotto, scritto e diretto dalla coppia di registi Scott Beck e Bryan Woods. Dopo aver sceneggiato A Quiet Place – Un posto tranquillo di John Krasinski e The Boogeyman di Rob Savage, la coppia continua ad immergersi nel campo del thriller-horror, questa volta con un ospite “d’eccezione”. Trattasi dell’attore britannico Hugh Grant che, grazie al ruolo inedito di questo film, riesce ad ottenere la candidatura sia al Golden Globe che ai BAFTA. Ecco di seguito la recensione di Heretic, il thriller-horror che vede protagonisti Hugh Grant, Chloe East e Sophie Thatcher.
La trama d Heretic, il film thriller-horror con Hugh Grant
Su idea e sceneggiatura della stessa coppia di registi Scott Beck e Bryan Woods, Heretic narra delle giovani missionarie mormoni Sorella Barnes e Sorella Paxton. In un giorno di lavoro, per diffondere porta a porta la Parola in cui credono, le due Sorelle raggiungono casa del Signor Reed, il quale chiese maggiori informazioni sulla loro comunità. Una volta accomodate a casa dal signore di mezza età apparentemente cordiale, le due giovani ragazze si ritroveranno immischiate in un gioco di sopravvivenza molto particolare, che metterà a rischio la loro ferrea fede religiosa.

La recensione di Heretic: Bibbia e Monopoli sul tavolo della fede
<<Voglio fare un gioco con te. Vivere o morire? Fai la tua scelta>>. Annunciava questo alle sue vittime l’iconico personaggio di Jigsaw, protagonista della celebre saga torture-porn ideata da James Wan e Leigh Whannell. Un gioco sadico, perverso, imbevuto di ideali anche esistenziali dove alla vittima viene concessa solo l’illusione del libero arbitrio. Il boia infatti riusciva sempre a mantenere il controllo della situazione, il potere di condizionare le scelte delle sue vittime nonostante a queste venga sulla carta chiesto di fare una scelta, quella di vivere o morire.
In tale contesto irrompe anche il dilemma religioso, esistenziale ed antropologico di Heretic, thriller-horror del 2024 diretto da Scott Beck e Bryan Woods che arriva nelle nostre sale in pieno periodo premi Oscar. Non a caso si cita la prestigiosa Notte delle Stelle, con il film in questione che si pregia di contare nel cast uno dei volti più iconici ed amati del cinema hollywoodiano e soprattutto britannico. Si tratta ovviamente di Hugh Grant, celebre protagonista romance che, in Heretic, si presta ad un ruolo ed un’interpretazione sicuramente inedita e sorprendente, tanto da far arrivare questo luciferino predicatore a conquistare le candidature ai Golden Globes e ai BAFTA.
Il Signor Reed di Heretic porta infatti in scena una vera e propria lezione di teologia, quella che non si insegna ovviamente nelle scuole e che farebbe crollare il castello della nostra intera esistenza. Se in Jigsaw l’amletico interrogativo verte sul “vivere o morire”, in questo nuovo thriller-horror targato A24 si porta lo spettatore ad aprire la porta del “credere” o quella del “non credere”, con entrambe che conducono tuttavia ad un’oscura voragine senza fondo. La fede, il credo, costituisce di fatto una “facile scappatoia”, con le misteriose vie del Signore che portano a sopportare e superare tutte le difficoltà con lo spirito giusto, con qualcosa al quale potersi aggrappare.
Essere credenti (soprattutto giovani alle prese con i propri impulsi e desideri, come mostrato ad inizio visione di Heretic) è sempre più difficile nel nuovo millennio, con il rinnovamento tecnologico che corre decisamente più veloce dei dogmi religiosi, oltre ai continui e drammatici mutamenti politici che lasciano poche speranze nel futuro. Ed ecco che entra in gioco la lezione del Signor Reed, che sposta il focus del “se credere” verso il “a cosa credere”. <<È il momento dell’illuminazione>>. La religione come sua essenza non sarebbe altro che la Parola di Dio (o degli Dei) filtrata attraverso l’azione dell’Uomo volta a diffondere quel credo. La storia e lo studio della natura umana, tuttavia, mostra un essere umano peccatore, che fallisce, mente, inganna. E allora qual è la Vera Parola di Dio, la Vera religione?
A dir poco fragorosa la sequenza del film verso metà visione, in cui il Signor Reed analizza le varie “iterazioni” messe in atto nel corso dei secoli. I testi sacri del Libro di Mormon, del Corano, della Bibbia e della Torah vengono così accomunati alle diverse versioni di un gioco da tavolo, ad una canzone plagiata ed abusata nel corso degli anni, con più o meno accettazione e consapevolezza della cosa. Come l’azione in sé dei missionari, dei venditori porta a porta di questi Testi Sacri, la questione della fede è sempre stata una vera e propria negoziazione di ideologie, a chi riesce a vendere meglio il proprio credo. La stessa figura di Cristo diventerebbe un “plagio”, una iterazione di altre figure divine e mitologiche nate millenni prima la sua nascita, con il gioco dei “rifacimenti” che certamente non è assente nelle religioni soprattutto politeiste.
Il paradosso della conoscenza, quello per il quale più conosci e meno sai, porta così alla frustrazione di individuare quale, fra tutte queste “iterazioni”, è quella giusta. Prende il via in Heretic un vero gioco ad incastri, un puzzle che, sfida dopo sfida, porta questo esperimento sociale ed esistenziale ad arrivare ad una conclusione, ad individuare quale potrebbe essere l’unica vera religione. La diffusione di tutti questi credi sopracitati (soprattutto con gli innumerevoli esempi di violenza e prevaricazione nel corso della storia), condividono infatti un unico punto in comune, che oscura tutti gli altri: il controllo. Nella millenaria storia dell’uomo la religione, il credo, non è stato altro che un sistema di controllo per dominare le masse, costruzioni artificiali per manipolare la verità, dirottare le vite dei fedeli nel decidere cosa pregare, dove pregare, se e come avere rapporti sessuali, stilando ognuno a proprio modo i propri comandamenti.
In questa spietata conclusione, Heretic incenerisce con potente semplicità tutto il “marketing” secolare di sfruttamento della fantomatica “Parola di Dio”, a seconda della religione di turno, ma la questione di fondo si fa purtroppo ancor più articolata e demoralizzante. Che la religione si sia rivelata, nel corso dei secoli, un formidabile strumento di controllo in mano a potenti istituzioni non lo scopre sicuramente i registi e sceneggiatori del film, i quali sottolineano appunto un altro aspetto più oscuro ed opprimente. Una delle parole d’ordine nel finale di Heretic, infatti, è la preghiera ed il concetto stesso di questa delicata e quasi inspiegabile necessità. Quando un vero credente si riunisce in una preghiera rivolta verso un determinato evento (una persona cara possa guarire dalla malattia, che si possa risolvere una situazione drammatica o instabile), non si dovrebbe aspettare che quell’evento realmente si avveri per magia.
La forza della preghiera sta nell’atto in sé, di avere la propria fede talmente in salute da concedersi quel momento introspettivo tra quella persona ed il proprio Dio. Poco importa se i potenti utilizzino lo strumento della religione per diffondere il credo di turno, se una persona crede e si riunisce per pregare in ciò in cui crede è sufficiente. Ecco che l’interrogativo di Heretic torna a dover scegliere fra quelle due porte: credere o non credere? Qui gli sceneggiatori lasciano davvero poca speranza allo spettatore. Nel parco giochi della sua casa degli orrori il Signor Reed si rende infatti protagonista e portavoce di una verità desolante.
Credere in Dio, o in qualunque altra figura divina che si sceglie di adorare, porta inevitabilmente a considerare l’uomo come una formica infinitamente piccola nel cosmo, una marionetta in mano a forze incomprensibili che si divertono ad intervenire a loro piacimento in virtù di un piano misterioso. Credere invece che non esista alcuna divinità, alla vita dopo la morte, conduce inevitabilmente l’essere umano ad essere solo e soltanto un ammasso di cellule, nato per via di fattori fisici, chimici e biologici e che traccia la sua rotta inscalfibile: nascere, crescere, morire nell’inutilità della vita. Entrambe le porte (non esiste una terza) conducono ad un’oscura voragine senza fondo.

Una gotica escape room dove Hugh Grant è padrone (di casa)
I temi (e i giochi) messi sul tavolo delle trattative da Heretic sono assolutamente affascinanti e che non possono non portare a qualche significativa riflessione. Nella prima intrigante parte del film si pende decisamente incuriositi dalle labbra dei protagonisti, dai loro botta e risposta in un dibattito di teologia che fa immergere completamente all’interno della narrazione. Poi, una volta aperte le porte della mente, si assiste praticamente ad un altro film, con Heretic che cambia stanze, tono, carte in gioco e continui ribaltamenti sul reale ed irreale.
La sceneggiatura della coppia di registi assesta così un intreccio ricco di fascino, di colpi di scena e con un ottimo tempo narrativo in sede di montaggio che tiene perennemente alta l’attenzione. Poi certo, le forzature in termini di narrazione e di sospensione dell’incredulità non mancano, anzi. Difficile comprendere come il Signor Reed sia passato completamente indisturbato per un tempo imprecisato all’interno di questa piccola comunità, specialmente per una casa decisamente poco ordinaria. L’idea dei fiammiferi non ha un vero senso compiuto, i movimenti e tempistiche per il cambio del corpo della profetessa lasciano a desiderare, così come la loro presenza in quella casa e tutte le azioni off-screen del protagonista.
Oltre a qualche jump-scare evitabile, la visita tragicomica dell’Anziano a casa Reed, fastidioso è anche e soprattutto il plot-twist della rediviva Sorella Barnes, dissanguata ed agonizzante da troppo tempo per mettere in atto quell’ancora di salvezza improvvisata per risolvere la situazione. Insomma, la sceneggiatura intreccia sì formidabili spunti in termini di analisi ma, quasi di pari passo, mette a segno più di qualche sbavatura tecnica e concettuale da segnare rigorosamente in rosso. Vero è che Heretic riprende quota anche con la semplice e determinante intuizione proprio nella sua scena conclusiva.
Registicamente sottolineata la convinzione di Sorella Paxton di reincarnarsi, una volta morta, in una farfalla e posarsi sulle dita di una persona per far sapere di essere lei. Una volta in fuga dalla casa degli orrori, infatti, sul dito di Sorella Paxton ecco che si posa una farfalla, poco prima di sparire nel nulla. Non è vero niente? A cosa credere? Cosa abbiamo effettivamente visto nella visione a suo modo grottesca e surreale di Heretic?
Sicuramente lo spettatore ha potuto ammirare su schermo una escape room in salsa gotica decisamente intrigante anche e soprattutto per la sua messa in scena. Dal punto di vista narrativo, sono veramente pochi i sussulti in termini di orrore, con la costruzione dell’esperienza visiva e sensoriale che corre subito ai ripari. Il sonoro diventa così determinante, ogni porta che si chiude, ogni scricchiolio, ogni passo pesante sul legno porta ad imprimere un’atmosfera decisamente insalubre ed angosciante. Dal punto di vista estetico Chung Chung-hoon ci mette sicuramente il suo, con il formidabile direttore della fotografia di Ultima notte a Soho e storico collaboratore di Park Chan-wook che restituisce su schermo un gotico tetro ed oscuro.
Quarta protagonista del racconto diventa poi anche la casa stessa del Signor Reed, con la scenografia che continua a comporsi e ricomporsi nell’incastrare il puzzle di una prigione casalinga. Una gabbia sadicamente ludica dove il padrone di casa gioca al gatto col topo con le sue giovani ospiti. La prima di queste è Sophie Thatcher, già ammirata qualche settimana fa sul grande schermo per la sua prova da grande protagonista nel sorprendente Companion, e che qui dimostra definitivamente di non essere più una sorpresa. Bella e affascinante come la sua amica, la Sorella Barnes di Sophie Thatcher mostra grinta e determinazione, rappresentando l’elemento forte della coppia.
Questo almeno fino a quando non sale in cattedra il personaggio di Chloe East (The Fabelmans), partito da timoroso e timido per poi trasformarsi minuto dopo minuto fino a diventare protagonista. Ma se le giovani interpreti riescono bene a convincere per la veridicità dei loro personaggi, a sorprendere è forse lo stesso Hugh Grant. Da buon 65enne, l’attore britannico particolarmente celebre nel campo romance ed in qualche titolo action si mette nuovamente alla prova con un personaggio sicuramente inedito. Quando il “reverendo” Reed prende la parola il film aumenta di livello, con l’attore che riesce a dare vita ad un personaggio sinistro, luciferino ed inquietante grazie ad una pacata sicurezza, dando sfogo ad espressioni marcate che vengono calibrate in entità e credibilità.