The Substance: l’analisi e il significato del film dell’anno di Coralie Fargeat

Nel parlare di The Substance non si può che definire il film come uno dei più potenti dell’anno, per una serie di motivi che interessano soprattutto il significato del lungometraggio. Ma qual è?
The Substance: l'analisi e il significato del film dell'anno di Coralie Fargeat

Articolo pubblicato il 28 Febbraio 2025 da Bruno Santini

Ci sono film che, indipendentemente dal loro successo al botteghino o dal gradimento del pubblico, sono destinati ad ottenere una grande tradizione soprattutto dal punto di vista della critica e degli addetti ai lavori, che lo ergono a modello ed esempio di un certo modo di fare cinema. Quando parliamo di body horror, come genere, facciamo riferimento sicuramente ad alcune tipologie di lungometraggio che presentano determinate cifre stilistiche e che si servono del corpo (e di quel senso di nuova carne cronenbergiana) per veicolare un messaggio. The Substance è sicuramente tra questi e, per questo motivo, è molto importante sottolineare – soprattutto a seguito del suo arrivo in streaming – quale sia il suo significato, tentando di approfondire il film di Coralie Fargeat attraverso un’accurata analisi.

Lo star system, l’ossessione per l’immagine e gli specchi nel significato di The Substance

Fin dalle primissime scene di The Substance, che mostrano degli elementi che ritorneranno anche nell’ambito della sua spiegazione del finale, è possibile rapportarsi con alcuni emblemi in grado di veicolare il messaggio fondamentale del film, di cui è certamente necessario effettuare un’accurata analisi per carpirne il significato. Possiamo osservare la stella sulla Hollywood Walk of a Fame per Elizabeth Sparkle, l’attrice interpretata da Demi Moore che dapprima vive momenti di estrema gloria, poi lentamente cade nel dimenticatoio, fino ad essere sostituita anche nelle reti televisive poiché non più in grado di attrarre pubblico nella rete.

Il significato di The Substance, sotto questo punto di vista, è allora perfettamente chiaro: lo star system e la concezione di Hollywood (e più in generale delle forme d’arte commercializzata) dei corpi e delle immagini non rende alcuna persona immortale. Demi Moore si cala perfettamente in un ruolo che le viene cucito addosso, anche per realtà che l’attrice ha vissuto da protagonista nel corso della sua vita, quando è stata ritenuta una popcorn actress incapace di poter mai davvero ambire a qualcosa se non allo spettatore medio attraverso la sua immagine; quella del volto, dell’ossessione per l’immagine e dello specchio è una tendenza che Coralie Fargeat aveva già trasmesso allo spettatore con Reality+, il cortometraggio che anticipava le tematiche di The Substance. Un elemento ridondante, all’interno del film vincitore a Cannes 2024, è quello del guardarsi allo specchio, un modo come un altro (non solo metaforicamente) per mettersi a nudo e non opacizzare alcuna forma del suo corpo. In un’industria che richiede bellezza, perfezione e forme sode, la fallibilità corporea non è ammessa, anzi rappresenta un segnale di costante dissoluzione che non può essere in alcun modo frenata.

La scena della nascita di Sue in The Substance: il significato del film di Coralie Fargeat
La scena della nascita di Sue in The Substance

Nuove versioni di sì e l’attrazione per la chirurgia nel significato di The Substance

Quel liquido che permette la trasmissione, in The Substance, e che garantisce la nascita di un’altra forma di sé, più giovane e bella, altro non è che una forma metaforica della chirurgia, che viene sapientemente demolita all’interno del film che si accanisce non contro l’intervento estetico, quanto più verso quell’esigenza da cui muove i suoi passi la necessità di ricorrere a qualsiasi intervento per il proprio cambiamento. Il mondo di Coralie Fargeat è marcio, e lo è non soltanto quando si osservano le tumefazioni sul corpo di Elizabeth o quando si può notare il colore del nutrimento per matrice e corpo ospite (molto simile a quel meccanismo di creazione delle saponette, a partire dal grasso umano, in Fight Club), ma anche in tanti altri sapienti primi piani che possiamo osservare all’interno del film. Il personaggio di Harvey, rappresentazione di un qualsiasi produttore televisivo o cinematografico che insegue il denaro attraverso la mercificazione dei corpi, è colto praticamente sempre in primo piano nella sottolineatura di quelle imperfezioni mascherate del volto. E non solo, poiché fa ribrezzo il suo addentare dei gamberetti intinti nella salsa rosa, così com’è certamente disgustoso il suo profilo inquadrato leggermente dal basso.

Nell’atto di analisi del significato di The Substance, allora, non si può non parlare dell‘importanza impareggiabile del trucco: un elemento mai banale, che sancisce di fatto tutte le trasformazioni presenti all’interno del film, e che si radicalizza in alcune forme come quella del Gremlin, del Goblin o del Mostro finale, a partire dall’estetica patinata (anche nel trucco, nelle luci e nei marchi) dei videoclip anni ’80, parte di quel meccanismo di appiattimento dell’immagine-tipo della star. Bellezza e avvenenza sono due concetti strettamente correlati tra loro, che ruotano intorno ad un solo e unico ideale di fascino chirurgico: la forma soda, che a qualsiasi età non può che essere tale; quando al personaggio di Sue cede leggermente un gluteo, in effetti, si fermano le riprese sul set e si analizza al centesimo di secondo sempre la stessa immagine, per tentare di comprendere che cos’è che non stia funzionando.

Tutto è perfettamente estremizzato nella sua forma e formula, con la rappresentazione di un mondo estremamente chiuso in poche stanze e altrettanto pochi interni e in cui tutto sembra appartenere ad una macchina volutamente posticcia, grottesca e caricaturale. Quella del set, del resto, che impone le sue forme e le sue rappresentazioni, il proprio modo di porsi in qualsiasi istante della propria vita; l’ossessione diventa così tanto radicata che, anche nel momento in cui si è perso tutto, il Mostro tenta di svelarsi al mondo e porsi come bello e affascinante, e anche nell’atto stesso della morte, nel film, si cede al fascino di quell’unico elemento tangibile (la stella) che possa ricordare a se stessi, e al mondo, chi si è potuti essere.