Florence Korea Film Fest 2025: intervista a Hwang Jung-min

Tra gli attori più importanti della sua generazione, Hwang Jung-min è uno degli ospiti più prestigiosi presenti al 23esimo Florence Korea Film Festival, dove la stampa ha avuto modo di intervistarlo toccando i più disparati punti.
L'attore Hwang Jung-min, intervistato in occasione del Florence Korea Film Festival

Articolo pubblicato il 22 Marzo 2025 da Gabriele Maccauro

Il Florence Korea Film Fest è una delle manifestazioni cinematografiche più importanti ed interessanti che si tengono sul nostro territorio, un occhio sulla cinematografia sudcoreana che, grazie ad illustri ospiti ed un programma capace di spaziare da un genere all’altro, è sempre in grado di stupire e, soprattutto, proiettare sia grandi classici che lungometraggi altrimenti inediti in Italia. In occasione della sua 23esima edizione, Quarta Parete ha avuto il piacere e l’onore di partecipare alla conferenza stampa di Hwang Jung-min, uno degli attori più importanti e premiati della sua generazione, cui è stata dedicata una retrospettiva con la proiezioni di molti dei suoi lavori più acclamati, da Veteran a 12:12 The Day, passando poi per I, The Executioner. A seguire, l’intervista completa all’attore sudcoreano.

L’intervista completa a Hwang Jung-min

A seguire, l’intervista completa all’attore Hwang Jung-min, tenutasi il 21 marzo 2025 in occasione del 23esimo Florence Korea Film Fest:

Hwang Jung-min, benvenuto a Firenze. Conosceva il festival? Quali sono le sue impressioni?

Si, lo conoscevo e mi piace molto, anche perché non posso dire altrimenti [ride n.d.r.]. Stare a Firenze mi fa sentire strano, C’è un’aria storica che pervade ogni angolo della città. Ho visitato Palazzo Pitti: l’immensità delle sue opere, dei quadri, dei dipinti. La città emana un’energia straordinaria.

All’interno della retrospettiva che le dedichiamo, ci sono due film come I, the Executioner e l’anteprima italiana di 12:12 The Day. Com’è stato tornare nei panni del personaggio da lei già interpretato in Veteran e può introdurci a queste due proiezioni?

I, the Executioner è ricco di azione e adrenalina. per un attore professionista come me, collaborare in un film del genere è un grande onore. Dopo il primo Veteran eravamo tutti convinti che ci sarebbe stato un seguito. Nei 9 anni di attesa tra un film e l’altro, ho continuato a vestire i panni del mio personaggio, letteralmente, non l’ho mai dimenticato. Nonostante siano passati tutti questi anni, c’era una grande attesa grazie anche al fatto che in Corea del Sud il primo titolo viene spesso passato in televisione, soprattutto durante le festività. Per questo motivo, il pubblico non ha risentito dei 9 anni di attesa. 12:12 The Day è un film che ritrae invece uno dei momenti più importanti e neri della storia coreana.

Con 12:12 The Day, si è aggiudicato un Blue Dragon Award per il miglior attore protagonista, uno dei riconoscimenti più importanti di tutta l’Asia. Cosa ha rappresentato per lei vincere questo premio?

Il Blue Dragon Award è un premio rinomato e di grande autorevolezza, tutti nel settore desiderano vincerne uno ed io, con 12:12 The Day sono riuscito a vincere il terzo premio della mia carriera. Sono molto felice e soddisfatto. Il film ha avuto successo soprattutto dopo la pandemia. Il COVID-19 aveva tolto le speranze a tutti e, all’interno dell’industria, molti giovani attori hanno messo in dubbio il loro ruolo. Ho accettato questo film anche per spingerli ed incoraggiarli a non mollare, a tenere duro.

Nonostante il cinema coreano sia sempre stato importante, crede che l’evoluzione politico-culturale del paese – soprattutto pensando allo stesso 12:12 The Day, che racconta gli avvenimenti del 12 dicembre 1979 – abbia in qualche modo portato ad un’esplosione della cinematografia sudcoreana? Ciò ha contribuito anche alla sua espansione al di fuori dei confini nazionali, arrivando in occidente ed in Italia, affermandosi come uno dei migliori al mondo?

Credo sia lo stesso un po’ ovunque, ogni paese ha una parte della propria storia che vorrebbe cancellare e che prova a nascondere. un tabù. Per la Corea del Sud gli anni ’70 ne sono un esempio e per molto tempo era impossibile parlarne, la gente si vergognava, ma adesso le cose sono cambiate e, nonostante resti l’imbarazzo, ora ne parliamo anche per rendere coscienti della propria storia i più giovani, per non ripetere certi errori. Credo che, passo dopo passo, si siano messi insieme dei tasselli fondamentali che hanno così portato ad una maggiore apertura nazionale e, di conseguenza, internazionale. Ma c’è ancora molto da fare, il cinema coreano non è così avanzato.

L’impressione è che il cinema coreano sia tra i più floridi al mondo però.

Sicuramente, questo è ciò che si vede da fuori. Per chi però ha modo di vedere le cose dall’interno dell’industria, non è esattamente così. I produttori sono in difficoltà e c’è poca diversità di genere. Inoltre, le produzioni sono poche, circa 10 l’anno. Siamo sulla strada giusta e siamo felici che il nostro cinema venga sempre più apprezzato, ma c’è ancora tanto da fare.

Rimanendo sempre in una sfera sociale, che impatto ha avuto nella società coreana la vittoria del premio Nobel per la letteratura di Han Kang?

La vittoria di un premio Nobel è un evento strabiliante, in Corea del Sud come in tutto il mondo. È stato un grande onore per il paese, siamo tutti un po’ invidiosi, abbiamo la “sindrome di Han Kang” [ride n.d.r.].

A proposito di grandi classici cui ha preso parte, vorremmo citare New World di Park Hoon-jung, del 2013. Com’è stato lavorare su quel set e cosa ricorda della famosa ed ormai iconica scena dell’ascensore?

New World nacque con l’intenzione di lanciare una nuova casa di distribuzione, la Sanai ed a capo della stessa c’era un uomo con cui ho collaborato più volte, dunque è stato quasi come fare una riunione di famiglia, ho incontrato vecchi amici e ci siamo fatti tante risate. Per la scena dell’ascensore si costruì un set intero ed in scena c’era un gran casino. Quando ci siamo presentati sul set, esso era stato completamente ricoperto di sangue finto, ma non facevamo che scivolare. Abbiamo così reinventato la scena, aggiunto l’uso di armi bianche e ci siamo divertiti da pazzi, tanto da realizzare un primo take perfetto. Ne abbiamo girati un altro paio ma non venivamo come il primo ed è quello che alla fine è stato lasciato nel film. Questo grazie ad un errore, per il troppo sangue [ride n.d.r.].

Qualche anno fa la regista Yim Soon-rye è stata ospite del Florence Korea Film Festival e, a proposito del film che fu proiettato, ovvero Waikiki Brothers in cui lei recitò, spese belle parole nei suoi confronti. Che ricordi ha di quella collaborazione e della regista stessa?

Le sono debitore, Waikiki Brothers mi ha riportato a galla dopo anni di dubbi in cui non riuscivo più a trovare il mio posto nel mondo e nell’industria cinematografica. Prima o poi dovrò sdebitarmi con lei. La stimo come regista e persona, vorrei essere come lei.

Oltre ad una grande carriera nel cinema, lei è anche attore di teatro.

Credo che alla base della recitazione, ci sia la recitazione teatrale. Mi approccio ai copioni con il metodo che mi insegnarono da giovane. Sono vecchia scuola, scrivo ancora tutto su un quadernino a penna [ride n.d.r.]. In Corea del Sud si dice che il cinema sia opera dei registi, il teatro opera degli attori. A teatro sfogo le fatiche e lo stress del cinema.

Cosa pensa invece dei prodotti televisivi?

Non sono contro le serie tv o dei K-drama, ne guardo tanti e penso solamente a ricoprire ruoli che mi piacciono. Semplicemente, con la televisione non è quasi mai capitato. Trovo però che ci sia da fare una distinzione tra attori di cinema e attori di K-drama. O sono semplicemente troppo vecchio.

C’è un attore della nuova generazione che vede come suo possibile erede?

Ce ne sono tanti, ma vorrei non lavorassero così che possa prendermi tutti i loro ruoli [ride n.d.r.]. Ci sono tanti talenti, i giovani hanno tanto da dare e portano un’energia diversa. L’industria coreana è ancora debole ma se tutti continueranno a mostrare questo interesse nei confronti del nostro lavoro, allora ci saranno sempre più film e ruoli e sempre più attori potranno emergere.

Cosa desidera lasciare come eredità e trasmettere della cultura coreana?

Mi ritengo un clown, cerco sempre di fare quello che mi riesce meglio e che mi faccia sentire vivo. La recitazione mi rende felice. Desidero arrivare al punto in cui il pubblico di oggi, i loro figli e nipoti, possano dire che una volta c’era un attore che gli piaceva tanto come Hwang Jung-min. Però è ancora presto per parlare di eredità.

Hwang Jung-min al 23esimo Florence Korea Film Fest

Hwang Jung-min al 23esimo Florence Korea Film Fest

Quando e come partecipare al Florence Korea Film Fest

Giunto ormai alla sua 23esima edizione, il Florence Korea Film Fest si svolge ogni anno a Firenze ed ha l’obiettivo di dare risalto alla produzione cinematografica coreana con un programma che spazia dai grandi classici ad opere recenti che, spesso e volentieri, restano poi inedite in Italia. L’edizione 2025 si svolge dal 20 al 29 marzo presso il cinema teatro “La Compagnia” e vi si può partecipare sia acquistando biglietti singoli o abbonamenti direttamente in loco, ma anche richiedendo uno dei tanti tipi di accredito disponibili. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito koreafilmfest.com.