Articolo pubblicato il 22 Marzo 2025 da Andrea Barone
La terza puntata di Daredevil: Rinascita ha colpito tanto per la componente legal thriller che ha prevalso su quello che solitamente ci si aspetta da una tipica serie supereroistica, approfondendo la figura del protagonista in un modo atipico. Adesso le cose si fanno più scottanti con il ritorno di un personaggio particolarmente amato e che non si vedeva nell’MCU da tanto tempo. A seguire la recensione del quarto episodio, intitolato Sic Semper Systema ed attualmente disponibile sulla piattaforma streaming Disney Plus.
La trama di Daredevil – Rinascita 1×04
Daredevil: Rinascita è una serie ambientata nel Marvel Cinematic Universe, nonché revival di Marvel’s Daredevil, la quale venne terminata anni fa dopo tre stagioni. Dopo che il finale della scorsa puntata si è dimostrato essere particolarmente spietato, i personaggi devono affrontare nuovi ostacoli per riuscire a raggiungere degli obiettivi ambiziosi. L’episodio infatti presenta la seguente trama:
Nonostante Hector Ayala sia stato dichiarato innocente, qualcuno non ha saputo accettare il verdetto della giuria ed il celebre eroe è stato ucciso da un colpo di pistola senza alcuna pietà. L’avvocato Matt Murdock, sconvolto per l’accaduto, elabora il lutto affrontando un nuovo caso mentre, allo stesso tempo, cerca di trovare chi ha ucciso il suo ex cliente. L’assassino sembra essere collegato a Frank Castle, il noto vigilante conosciuto come The Punisher. Nel frattempo Wilson Fisk ha sempre più difficoltà a svolgere i suoi doveri da sindaco senza che la burocrazia gli sia di impiccio e di certo il rapporto con Vanessa non aiuta, perché la coppia sembra essere sempre più in crisi.

La recensione di Daredevil – Rinascita 1×04
Nonostante l’episodio inizi ricollegandosi ad un avvenimento traumatizzante che è, per l’appunto, la morte di Hector Ayala, la prima parte decide di focalizzarsi con elementi di transizione, facendo prendere una pausa al protagonista rendendolo impegnato con altre faccende. Potrebbe sembrare un elemento che allunghi inutilmente il brodo, ma in realtà è una scelta molto importante per evidenziare altre parti della vita di Matt, tra cui il suo rapporto con la questura, il quale mostra come spesso avere una conoscenza permetta maggiore agevolazione in casi scomodi. Nel modo più inaspettato, vedere Matt occuparsi del caso di un banale ladro è un altro pretesto per denunciare quanto il sistema sia paradossale, spendendo cifre notevoli per punire determinati comportamenti quando basterebbe molto meno finanziare sostentamenti per chi ha gravi difficoltà. Estremamente intelligente è il mostrare allo spettatore quanto una persona che sembra apparentemente insopportabile nasconda invece una sofferenza molto forte, la quale induce a compiere delle azioni che appaiono stupide, quasi come se dessero l’idea di un vizio inutile, ma in realtà quel vizio successivamente si rivela soltanto essere la voglia di avere dignità. Prima dello splendido dialogo di sfogo con Matt, gli sceneggiatori seminano degli indizi che poi si rivelano fondamentali (i poliziotti che si cibano delle stesse scatole per le quali il ladro è stato accusato) per far notare tutte le contraddizioni. Da qui aumenta quindi l’assoluta impotenza del protagonista, il quale vorrebbe far ritrovare la voglia di vivere ai suoi clienti, ma anche una cosa apparentemente piccola come un furto diviene il simbolo di un malessere interno di una città che ormai fa apparire un avvocato giusto come una piccola formica.
Da qui c’è nuovamente il parallelismo con Wilson Fisk, che tenta, anche in maniera sincera, di dare uno scossone alla città di New York, applicando riforme che possano garantire una maggiore prosperità economica. Tuttavia tutti gli ostacoli della burocrazia non gli permettono di applicare immediatamente il cambiamento, con pratiche da sbrigare che allungano i tempi e che quindi gli impediscono, apparentemente, di poter mantenere subito le promesse ai cittadini. Le espressioni, create in maniera sopraffina da un intenso Vincent D’Onofrio, fanno penetrare nella cinepresa la pazienza di Kingpin che, lentamente, si sta esaurendo. Indubbiamente anche l’organizzazione governativa della città ha dei difetti da sistemare, ma per poter coprire cariche importanti bisogna saper convivere con tutte le difficoltà del caso. Wilson, abituato ad ottenere quello che vuole presto e subito, sente lentamente la bestia crescere dentro di lui per non essere a suo agio nel sentirsi un uomo normale come gli altri (paradossalmente la prestigiosa carica di sindaco glielo ricorda), così come Matt sente la bestia crescere in lui perché il sistema non lo premia nonostante tutto il suo impegno, dalla scontentezza del ladro alla, ovviamente, morte di Hector Ayala nonostante abbia lavorato in maniera egregia. La scena con i bambini che cantano per Wilson Fisk è un bellissimo misto di sensazioni diverse: è divertente perché si nota che “l’ex boss malavitoso” non vorrebbe stare lì a sentire pargoletti che sono anche stonati, è tenera perché, nonostante il fastidio, Wilson Fisk ha sempre cercato ammirazione ed allo stesso tempo, in totale contraddizione, è raccapricciante perché vedi dei piccoli angeli che concedono le loro voci ad un essere che è disgustoso. Molto bello anche il rapporto con Vanessa che approfondisce la paura di quest’ultima nell’essere esclusa, tirando fuori elementi del suo passato che non erano stati inseriti nella serie Netflix. Non mancano altri interessanti parallelismi, come Wilson che poggia la mano sulla spalla di Daniel come lui già faceva con Maya (mostrando quindi il debole che lui ha per i giovani leali), oppure la comparsa del dipinto “Il Coniglio Della Tempesta Di Neve” che si rivela imbrattato del sangue di Fisk (generato dagli ultimi pugni di Daredevil nel finale della terza stagione) e che diviene quindi parte dell’opera, come ad indicare che l’essenza del personaggio deve sempre essere accompagnata dalla sofferenza sua o altrui (infatti la scena successiva della tortura non è un caso).

La recensione del quarto episodio di Daredevil – Rinascita
Ovviamente non si può parlare della puntata senza menzionare il ritorno di Frank Castle, il quale è stato un personaggio determinante nella seconda stagione di Marvel’s Daredevil per poi essere il protagonista della celebre serie The Punisher (tralaltro sceneggiata da Dario Scardapane, lo stesso showrunner di Daredevil: Rinascita). Il dialogo tra il Punitore e Matt sembra essere un confronto tra due reduci di guerra, i quali vivono ogni giorno una battaglia infinita sempre più difficile da affrontare, ma è soprattutto un confronto tra due individui che hanno perso persone che amavano e che quindi si sfogano nelle loro più grandi sofferenze. In questo dialogo non manca l’eterno scontro di ideali: Matt che crede ancora nella giustizia e Frank che, inseguendo i fantasmi della sua famiglia morta, continua a pianificare gli omicidi di criminali affinché nessuno di loro possa più alzarsi da terra per fare del male. Ovviamente Frank è estremamente reazionario, ma è impossibile non comprendere le sue sofferenze, tanto che il duro vigilante diviene quasi lo psicanalista di Matt, tirando da dentro di lui tutta la rabbia che vorrebbe sfogare a seguito della suo fallimento nel proteggere Foggy, così come Frank non è riuscito a proteggere la sua famiglia e sprona Matt a reagire in quello che diviene un intreccio di urla e di tristezza. Il momento in cui Matt chiede scusa subito dopo aver perso la calma è profondamente sentito, nonché struggente e delicato. Un ritorno straordinario di un personaggio profondamente umano, il più cupo di tutta la Terra 616, del quale se ne sentiva la mancanza e che contribuisce ad accrescere lo splendido tormento di Matt Murdock, creando uno dei dialoghi più potenti che siano mai stati ascoltati nel Marvel Cinematic Universe. Il fatto che Frank conosca l’identità di Daredevil potrebbe essere visto come un buco di trama, dal momento che nella seconda stagione lui non lo scopriva, ma in realtà non lo è, poiché tra Marvel’s Daredevil e Daredevil: Rinascita sono passati più di 5 anni.
A proposito della mitologia Marvel, è da lodare il momento in cui Matt indaga sull’omicidio di Hector, utilizzando i suoi supersensi per cercare le tracce del proiettile. Si tratta di una caratteristica molto particolare di Matt che, sorprendentemente, era stata utilizzata soltanto nella versione integrale del film Daredevil con Bel Affleck per poi essere quasi del tutto ignorata nelle stagioni precedenti. La cosa non solo fornisce un aurea da detective al personaggio, ma contribuisce a creare un’atmosfera noir che diviene sempre più affascinante. A questa atmosfera si aggiungono le poche inquadrature di Muse, spietato killer estremamente inquietante che è pronto ad entrare in azione per sconvolgere le fondamenta della città di New York. Inoltre si può notare come siamo arrivati al quarto episodio di Daredevil: Rinascita e, ciò nonostante, Matt non abbia ancora indossato il costume affinché la narrazione, fatta eccezione dei primi splendidi 15 minuti della prima puntata, dia soprattutto spazio al suo tormento. Si tratta di un atto di coraggio sorprendente e decisamente atipico rispetto agli altri capitoli MCU, dimostrando che, in questa revisione interna degli studios di Kevin Feige, ci sia ancora spazio per la sperimentazione e per le grandi idee, con la qualità che continua, al momento, a non avere nulla da invidiare a quella dell’acclamata e già menzionata Marvel’s Daredevil.