Articolo pubblicato il 27 Marzo 2025 da Gabriele Maccauro
Il Florence Korea Film Fest è una delle manifestazioni cinematografiche più importanti ed interessanti che si tengono sul nostro territorio, un occhio sulla cinematografia sudcoreana che, grazie ad illustri ospiti ed un programma capace di spaziare da un genere all’altro, è sempre in grado di stupire e, soprattutto, proiettare sia grandi classici che lungometraggi altrimenti inediti in Italia. In occasione della sua 23esima edizione, Quarta Parete ha avuto il piacere e l’onore di partecipare alla conferenza stampa di Na Hong-jin regista che, nonostante sia meno noto dei suoi connazionali Bong Joon-ho o Park Chan-wook ed abbia diretto solamente tre lungometraggi, è divenuto da subito autore di culto. Oltre ad una masterclass a lui dedicata intitolata “un mondo (im)perfetto”, Il festival ha inoltre realizzato una retrospettiva delle sue opere, ovvero The Chaser, The Yellow Sea e The Wailing, in attesa del suo ritorno in sala con Hope. A seguire, l’intervista completa all’attore sudcoreano.
L’intervista completa a Na Hong-jin
A seguire, l’intervista completa al regista Na Hong-jin, tenutasi il 26 marzo 2025 in occasione del 23esimo Florence Korea Film Fest:
A breve, dopo quasi 10 anni dal suo ultimo progetto, tornerà con Hope, per cui c’è una grande attesa. Fanno parte del cast attori affermati come Michael Fassbender, Alicia Vikander e Hwang Jung-min, ma anche giovani promesse. Come ha fatto a farli convivere, com’è stato lavorare con loro? Considerando il fatto che si tratta di un progetto internazionale, qual è stato il suo approccio alla recitazione?
Ero molto teso prima di mettermi al lavoro, ma posso dire di non aver riscontrato nessun tipo di problema. Alla fin fine, gli attori sono tutti uguali, a cambiare sono le singole persone, com’è normale che sia, ma mi sono trovato benissimo. Si tratta di attori che già conoscevo e che apprezzavo moltissimo. Inoltre, con alcuni di loro come Hwang Jung-min, ho già collaborato e posso dire di esserci amico. Per me è stato un onore poter lavorare con un cast di questo livello. Non so che dire perché sono talmente bravi che hanno fatto la loro parte alla perfezione, senza che ci fosse davvero bisogno di spiegar loro nulla.
I suoi protagonisti sono spesso persone ordinarie, cosa la affascina di loro? E come mai nelle sue opere c’è sempre una rappresentazione quasi grottesca della polizia, per quale motivo?
Credo che sia il modo in cui scrivo le sceneggiature che determina l’essenza dei personaggi. È il personaggio stesso che prende vita all’interno della storia in cui si muove ed agisce. Per fare ciò, serve impostare e definire tutto nel dettaglio: in questo modo i personaggi si muovono da soli, quasi come fossero delle IA. Per quanto riguarda la polizia, cisono molte differenze rispetto ad un paese come l’Italia. Il passato della Corea del Sud è molto complicato, la polizia è sempre stata estremamente prudente con i civili, quasi spaventata e questo li ha portati a perdere autorità nei loro confronti. Da questo punto di vista, non faccio altro che raccontare la realtà che vedo e che vivo, cercando di rendere la storia comprensibile a tutti.
Lei lavora in modo molto visivo, con un’attenzione quasi chirurgica per i dettagli. Quanto spazio lascia all’improvvisazione sul set?
Direi quasi zero (ride n.d.r.). Magari è capitato qualche volta che un attore venisse a farmi delle proposte, ma ho sempre risposto “si, bella idea”, ma poi ho fatto di testa mia. Come diceva, è tutto studiato nel dettaglio.
Ha affermato di non vedere molti horror e che si spaventa facilmente. In che modo ha interiorizzato questa paura e come l’ha riportata su schermo nei suoi film? Nota delle differenze tra oriente e occidente nell’approccio alla paura?
Il fatto che io mi spaventi facilmente in realtà ha aiutato, più un contenuto mi arriva in modo violento e più mi stimola perché posso capirne il motivo, mi aiuta ad interiorizzare. Ho notato molte differenze tra oriente e occidente soprattutto durante la lavorazione di The Wailing: ho fatto interviste, sono stato anche in Nepal e Giappone e ho studiato l’occulto. In occidente c’è la religione cattolica, il vangelo, c’è quasi un limite all’immaginazione. Interfacciarmi con più religioni e credi mi ha aiutato, mi ha permesso di avere più punti di vista. C’è una chiara differenza tra l’horror asiatico e quello occidentale ed io studio e cerco di comprendere proprio questo spazio tra i due. Una cosa che voglio dire è che, sempre durante le riprese di The Wailing, mi chiedevo cosa significasse la religione per gli esseri umani. Tanti concetti si sono persi con le traduzioni in inglese e nelle altre lingue del film: il concetto stesso di spirito è diverso da cultura a cultura e ciò andava considerato. Lo stesso film porta a diverse interpretazioni da spettatore a spettatore.
Pochi giorni fa, qui al Florence Korea Film Fest, è stato proiettato 12.12: The Day, film diretto da Kim Sung-su sui fatti del 12 dicembre 1979. In che modo l’evoluzione politico-culturale del paese ha contribuito alla crescita del cinema sudcoreano? Pensa che ciò abbia contribuito alla sua espansione al di fuori dei confini nazionali, arrivando in occidente ed in Italia, affermandosi come uno dei migliori al mondo?
Le tragedie hanno sempre un’influenza strana sull’arte, paradossalmente diventano una risorsa. In Corea del Sud ce ne sono state molte e le persone che le hanno vissute ne danno un’interpretazione diversa da chi ancora non era nato. La società stessa è in un certo senso una tragedia e basta attingere da essa per raccontare una storia. Nel dicembre 1979 io ero solamente un bambino, ma ricordo ancora molto bene come alle 17 guardassi sempre un cartone animato, Mazinga Z. Non sapevo neanche fosse giapponese (ride n.d.r.). Con il cambio di presidente, da un giorno all’altro non andò più in onda. Quel periodo ha lasciato una ferita in me e mi ha influenzato molto.
Quali sono gli autori coreani che l’hanno influenzata e fatto venir voglia di fare questo mestiere?
Ce ne sono tantissimi e sono tutte influenze che, anche inconsciamente, finisco per riportare nei miei film perché fanno parte di me e della mia visione del cinema e dell’arte. Quando stavo per debuttare, il maestro del thriller era senza ombra di dubbio Park Chan-wook e mi chiedevo “riuscirò mai a farcela?”. Lui è sicuramente uno degli autori che più mi ha influenzato, è stato decisivo.

Na Hong-jin al 23esimo Florence Korea Film Fest
Chi è Na Hong-jin: biografia e carriera del regista sudcoreano
Nato a Seul nel 1974, Na Hong-jin si laurea alla Hanyang University ed inizia a lavorare nel mondo della pubblicità. Presto però si renderà conto di voler fare cinema e, per fare ciò, inizia a dirigere alcuni cortometraggi: il primo, 5 Minutes, è datato 2003, cui seguiranno poi A Perfect Red Snapper Dish (2005) e Sweat (2007), con cui vinse il premio per il miglior regista di un cortometraggio ai Grand Bell Awards, oltre al premio della giuria del Bucheon International Film Festival. Il primo lungometraggio arriva un anno dopo. Nel 2008 infatti, Na Hong-jin debutta con The Chaser, film indipendente a basso budget che ottiene però un successo stratosferico e diventando il terzo maggior incasso dell’anno in Corea del Sud, oltre ad essere presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes, dove fu consacrato come un instant-classic. Nel 2010 esce nelle sale The Yellow Sea, il suo secondo film che prova ad alzare l’asticella ed evidentemente più ambizioso, soprattutto se si considera la collaborazione con il 20th Century Fox Studio. Presentato nuovamente al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, riceve molti elogi, senza però raggiungere il successo dell’opera precedente.
Per un suo terzo lungometraggio bisognerà aspettare diversi anni fino a quando, nel 2016, The Wailing non vide la luce. Presentato anch’esso al Festival di Cannes fuori concorso, l’opera nota anche come Goksung – La Presenza del Diavolo ottiene l’enorme plauso di pubblico e critica e porta Na Hong-jin a vincere il premio per il miglior regista ai 37esimi Blue Dragon Film Awards, oltre a svariati riconoscimenti come quelli assegnati dal Bucheon International Fantastic Film Festival o dalla Korean Association of Film Critics. Nonostante abbia diretto solamente tre film, Na Hong-jin è regista di culto e finalmente, dopo quasi 10 anni di attesa, è pronto a tornare con Hope, suo primo progetto internazionale che vede la collaborazione di Michael Fassbender e Alicia Vikander.