Articolo pubblicato il 28 Marzo 2025 da Giovanni Urgnani
Presentato in anteprima internazionale in concorso alla sedicesima edizione del Bif&st – Bari International Film&TV Festival, distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 3 aprile 2025. Prodotto e distribuito da Amaranta Frame, in collaborazione con PFA Films e con la partecipazione di MAC Film, mentre alla regia esordisce in un lungometraggio di finzione Antonio Silvestre, responsabile anche della sceneggiatura, dirigendo l’attore protagonista Gilles Rocca (Natale a Londra – Dio salvi la Regina), accompagnato da Michela Quattrociocche (Scusa ma ti chiamo amore) e Giorgio Colangeli (C’è ancora domani). Ma qual è il risultato de L’ultima sfida? Di seguito la recensione e la trama ufficiale del film.
La trama de L’ultima sfida, il film di Antonio Silvestre
Il filmmaker Antonio Silvestri ha cominciato la sua carriera da regista nel 2012 col cortometraggio La stagione dell’amore, proseguendo poi tra serie tv e documentari, l’ultimo in ordine cronologico risale a Libere di…VIVERE (2022). Ma di cosa parla L’ultima sfida? Di seguito la trama ufficiale del film prodotto da Francesco Mangiatordi, Mario Tani e Pier Francesco Aiello:
“Massimo De Core è amato da tutto il popolo del calcio che tifa per la squadra da lui capitanata. Si porta però addosso una definizione (perdente di successo) che gli pesa e che fa sentire ancor più la propria presenza nel momento in cui la sua squadra è in attesa di una finale che potrebbe finalmente decretarne la superiorità. Un errore di gioventù, a cui pose rimedio in modo illegale, torna a farsi presente grazie ad un gruppo di malavitosi che vogliono condizionare l’esito della partita.”

La recensione de L’ultima sfida, con Michela Quattrociocche
Uno dei peggiori vizi del panorama italiano audiovisivo generale è lo sviluppare le tematiche d’attualità, inserite nei loro prodotti, come se una maestra d’asilo stesse spiegando le regole della scuola ai bambini dai tre ai cinque anni. Troppo spesso si vive nella convinzione che la trattazione si limiti a spuntare la “v” in stile lista della spesa, mancando inevitabilmente d’incisività e di efficacia. Nella pellicola di Antonio Silvestre, il mondo del pallone prende vita tramite un fenomeno che ciclicamente viene portato a galla dall’attività giudiziaria sportiva: il calcioscommesse; di cui nel corso della storia ha coinvolto squadre e professionisti importanti, portando a retrocessioni e squalifiche.
Di contorno si è aggiunto il tentativo di sensibilizzare il pubblico sulla realtà del calcio femminile, in lenta ma costante crescita, sommato alla piaga della molestia sessuale, senza che nessuno dei due abbia lo spazio che merita, rendendo di fatto il tutto come una presentazione di facciata, priva di qualsiasi concretezza o riflessione necessaria sugli argomenti. Il primo difetto tra mille che salta subito all’occhio è l’assenza delle giuste proporzioni narrative: non è minimamente chiara la dimensione in cui il tutto si svolge, una finale di Coppa di Lega millantata come una partita capace di far girare milioni di euro di scommesse, una partita che sembra la più importante a livello nazionale; eppure, la vicenda si consuma in un contesto provinciale, in uno stadio inferiore per capienza a quelli dell’ex Serie C e un’attenzione mediatica assai ambigua.
La sceneggiatura fallisce nel costruire attorno al suo protagonista dei personaggi carismatici e dal carattere forte, ad esempio nell’ambito familiare, in cui la moglie di Massimo, scarsamente interpretata da Michela Quattrociocche, si lascia ricordare per la sua antipatia e superficialità, nonostante venga proposta come figura positiva, senza contare che poi né lei né la figlia facciano minimamente percepire il pericolo provato dall’aver a che fare con la criminalità organizzata. Sotto la sfera professionale, il “Capitano” pare non abbia il minimo rapporto coi suoi compagni, una vera e propria squadra fantasma, almeno fino all’atto finale, quest’ultimo tanto sospirato e agognato da essere reso poi miseramente dimenticabile da una messa in scena povera e piatta, come del resto lo sono tutti e centoquattordici infiniti minuti di durata.
L’errore più grave però sta nella mentalità con cui il calcio viene raccontato: in primis sembra scomparire del tutto la natura collettiva di questo sport, una narrazione fortemente individualista dove il destino di un club è nelle mani di un uomo solo; va bene che sia il capitano, che sia la bandiera e va bene che la finale sia l’ultima partita della sua carriera, ma davvero pare non esserci null’altro attorno a lui, come se i restanti dieci giocatori e più siano alla stregua di cartonati, come conferma del resto il modo in cui matura il risultato finale. In secundis, la figura stessa del calciatore viene coperta da salamelecchi continui, dal primo all’ultimo fotogramma, affibbiandogli l’aura dell’eroe popolare, a cui tutto si concede e tutto si perdona perché, a quanto pare, è l’unica fonte di gioia e felicità dell’italiano medio, unica fonte d’interesse di un popolo, privo di alternative vedute.
Non poteva mancare poi il parallelismo con la fede cristiano cattolica, espediente per enfatizzare appunto il culto dei tifosi verso i loro beniamini, inizialmente pure simpatico e divertente, reso però sfiancante dalla ridondanza e dalla ripetitività della stessa battuta, riproposta almeno per mezza dozzina di volte nel giro di pochi minuti. Infine, ad essere veramente stucchevole è lo sguardo nostalgico e passatista nei confronti di un’epoca ormai definitivamente superata.
Ogni occasione è un pretesto per evocare gratuitamente oggetti e caratteristiche di almeno quarant’anni fa, capaci sicuramente di compiacere per primo il regista e di seguito la sua generazione, evitando quindi di coinvolgere una più ampia gamma di spettatori. La summa di questo discorso si trova nel cameo di Evaristo Beccalossi, una pessima comparsata colma di referenzialità, a testimonianza del fatto che tutto il film esiste in realtà per crogiolarsi nella memoria di quanto si stava meglio quando si stava peggio, guadando esclusivamente al proprio orticello.