I 50 anni di Fantozzi: il ragioniere più famoso del cinema italiano

In occasione del cinquantesimo anniversario del ragioniere più amato del cinema, ripercorriamo le (dis)avventure del personaggio creato da Paolo Villaggio.
I 50 anni di Fantozzi

Articolo pubblicato il 31 Marzo 2025 da Matteo Pelli

Sveglia e caffè… barba e bidè… presto, che perdo il tram. Se il cartellino non timbrerò… Guardiamo in faccia la realtà, almeno una volta ci siamo sentiti come il Ragionier Ugo Fantozzi, matricola 1001/bis dell’Ufficio Sinistri. Inadeguati, pigri, indolenti, a volte un po’ servili con i potenti ma anche estremamente umili e coraggiosamente dignitosi. Era il 1975 quando, per la regia di Luciano Salce, il ragioniere più iconico della Settima Arte nostrana faceva capolino per la prima volta sul grande schermo. Ma Fantozzi, nato quattro anni prima nell’omonimo romanzo scritto del compianto Paolo Villaggio, non è solamente un personaggio umoristico di una fortunata saga cinematografica. E’ anche, e soprattutto, l’archetipo dell’italiano medio protagonista di un periodo storico apparentemente lontano ma, al tempo stesso, maledettamente contemporaneo.

“Che fa ragioniere, batti?”

In fin dei conti le tematiche affrontata nella saga, composta da ben dieci film, sono cicliche e anche piuttosto ridondanti. Il lavoro alienante, le umiliazioni in pubblica piazza, la mediocrità di una vita fatta di poche, pochissime soddisfazioni personali. Paradossalmente ad uscirne (quasi) sempre vincitore è proprio il perdente per eccellenza, colui che, nonostante abbia una vita grama, riesce a risolvere la situazione grazie alla sua incredibile voglia di riscatto. Fantozzi è lo specchio di una società italiana che, purtroppo, non è cambiata un granché rispetto a cinque decenni fa. Con un fare quasi profetico, Villaggio riuscì a trasporre su carta i pensieri e le emozioni di un ceto medio insoddisfatto e incarognito da un sistema capitalistico sempre più opprimente, il tutto infarcito da una comicità mai volgare e quasi malinconica. Una voglia di rivalsa al grido di: “non ci credo, ma ci spero”.

In tutto questo il signor Fantozzi si muove in uno scenario che è a dir poco surreale. Una moglie devota ma con i capelli grigio topo e l’alito di fogna (intepretata da Liù Bosisio prima e da Milena Vukotic poi), una figlia che spesso (e volentieri) viene scambiata per un babbuino, dei colleghi di lavoro che si fanno beffe di lui e un’azienda (più comunemente chiamata Megaditta) comandata da avidi ed improbabili megapresidenti visti dal nostro in maniera quasi eterea, al limite del divino. In mezzo a tutto ciò si susseguono situazioni che definire grottesche è dire poco, con personaggi sempre più assurdi che si avvicendano film dopo film. Eppure a portare a casa la pagnotta c’è sempre il ragioner Ugo: umiliato, deriso, insoddisfatto, ma sempre a testa alta, con un orgoglio che va al di la di ogni immaginazione. Questo è il segreto di un personaggio che è riuscito ad entrare nelle case e nei cuori di tutti gli italiani: riuscire ad empatizzare con gli spettatori portando in scena i problemi di tutti i giorni. Certo, a volte in maniera un po’ estrema, ma le problematiche che Fantozzi affronta film dopo film sono tangibili e questo lo rende, oggi come allora, verosimile agli occhi del grande pubblico. Villaggio, quindi, crea la maschera drammatica per eccellenza: un personaggio tragico che, nei suoi eccessi e nei suoi vizi, rappresenta lo stereotipo sociale e culturale di quel periodo. E, paradossalmente, forse anche dei nostri tempi.

I 50 anni di Fantozzi

Fantozzi e i suoi dieci film: una saga invecchiata male

Si dice che “squadra che vince non si cambia”. Dopo il successo stellare del primo film, Fantozzi divenne subito un’icona della comicità. Ad un anno dal debutto in sala, Paolo Villaggio tornò nei panni del ragioniere ne Il secondo tragico Fantozzi, nuovamente diretto da Luciano Salce. L’asticella si alza e la vita di Ugo diventa ancora più tragicomica: Villaggio aveva fatto nuovamente centro, Fantozzi ormai era entrato nell’immaginario collettivo non solo come personaggio, ma quasi come uno stile di vita. Celebri son diventate le sue frasi come ad esempio l’arcinoto “com’è umano, Lei”, facendo diventare il gergo “fantozziano” un termine registrato su tutti i dizionari italiani. Grazie al successo dei primi due capitoli, dal 1980 in avanti, anno di uscita del terzo film Fantozzi contro tutti, il ragioniere tornò sul grande schermo ciclicamente ogni due/tre anni. Eppure qualcosa stava cambiando: l’Italia non era più nel boom economico degli anni ’60/70, gli anni passavano e Fantozzi dovette stare al passo con i tempi. Dal terzo episodio in avanti (compreso lo spin-off ad episodi Superfantozzi del 1986), la regia venne affidata a Neri Parenti.

Se i primi due film diretti da Salce si possono tranquillamente definire dei veri e propri capolavori della commedia all’italiana, le cose cambiarono lentamente ed inesorabilmente con Parenti alla regia. Quest’ultimo, famoso per la sua carriera infarcita di cinepanettoni, portò la saga in un limbo più televisivo che cinematografico, tramutando la freschezza autoriale dei primi due capitoli in momenti ripetitivi figli di una scrittura piuttosto pigra che prediligeva il singolo sketch ad una narrazione fluida e compatta. Inoltre la stanchezza di Paolo Villaggio, con un’anzianità sempre più preponderante, contribuì a tramutare Fantozzi in una becera macchietta, con il protagonista vittima delle stesse identiche situazioni senza particolari guizzi narrativi, fatta eccezione per alcuni ispirati colpi di coda presenti in Fantozzi va in pensione (1988). Il colpo di grazia definitivo arrivò con l’ultimo film della saga. Fantozzi 2000 – La clonazione, diretto da Domenico Saverni nel 1999, fu la pietra tombale sul percorso di un personaggio che ormai aveva detto tutto ciò che c’era da dire e che, inevitabilmente, aveva sparato le sue cartucce migliori. Villaggio, a quel punto della carriera, aveva fatto fare qualsiasi cosa alla sua creatura: dal tennis al calcio, passando per le gare ciclistiche e per i giochi olimpici aziendali. Lo aveva messo davanti a delle vacanze improbabili e a cene di gala eccezionali all’insegna del bon ton con il miglior amico di sempre, ovvero il ragionier Filini (Gigi Reder). Fino a fargli fare il “critico cinematografico” (nella famosa sequenza de La corazzata Potemkin) con una deriva metacinematografica da attore. Gli aveva anche fatto avere la tanto ambita relazione extraconiugale con la desideratissima signorina Silvani (Anna Mazzamauro), facendolo addirittura morire (in Fantozzi va in Paradiso, 1993) per poi farlo risorgere (Fantozzi – Il Ritorno, 1996) e persino clonare nell’ultimo capitolo della saga. Nell’ultima parte della sua vita cinematografica, dove il camp e il kitsch la facevano da padrone, Fantozzi fu miseramente ridotto alla figura di un clown triste, costretto a ripetere lo stesso numero all’interno di un loop infinito. Un epilogo decisamente troppo svilente, anche per un personaggio che ha fatto degli eccessi il suo marchio di fabbrica.

I 50 anni di Fantozzi

Paolo Villaggio, genovese di nascita, morì a Roma nel 2017 a 84 anni. Come attore riuscì, nella sua variegata carriera, a recitare per alcuni grandi registi del calibro di Mario Monicelli, Nanni Loy, Pupi Avati, Lina Wertmuller e Federico Fellini. Nonostante la cultura di massa riconosca in Villaggio una delle più grandi icone comiche del cinema nostrano, Villaggio era anche un grande intellettuale oltre che uno scrittore sopraffino. Solo da una grande penna poteva nascere un personaggio apparentemente semplice ma assolutamente sfaccettato come Fantozzi. Sebbene possa sembrare uno sciocco ingenuo che fa della sfiga il suo inno nazionale, il ragionier Ugo rimane tutt’oggi uno dei simboli del cinema italiano. Il portatore di un’eredità che, dopo cinquant’anni, riesce ancora a farci sorridere e, perché no, anche un po’ commuovere.