Distribuito nelle sale cinematografiche statunitensi il 28 marzo 2025 mentre in quelle italiane a partire dal 10 aprile dello stesso anno, grazie al contributo di I Wonder Pictures. Prodotto da A24, il lungometraggio è scritto e diretto da Alex Scharfman e vede protagonisti della vicenda: Jenna Ortega (Wednesday), Paul Rudd (Ghostbusters – Minaccia glaciale) e Richard E. Grant (Copia originale); con la colonna sonora composta da John Carpenter. Ma qual è il risultato di Death of a Unicorn? Di seguito la recensione e la trama del film horror.
La trama di Death of a Unicorn, il film di Alex Scharfman
La pellicola segna l’esordio dietro la macchina da presa dello sceneggiatore Alex Scharfman, inoltre vede il ritorno alle scene dell’attrice Tea Leoni dopo quattordici anni dalla sua ultima apparizione, precisamente nel film Tower Heist – Colpo ad alto livello (2001). Ma di cosa parla quindi Death of a Unicorn? Di seguito la trama ufficiale del film:
“Elliot e sua figlia Riley investono un unicorno e decidono di portarlo nel rifugio di un ricchissimo CEO di un’azienda farmaceutica. Inaspettatamente, grazie a un team di scienziati, scoprono che la carne della leggendaria creatura, ormai deceduta, e il suo magico corno hanno proprietà curative straordinarie, che l’azienda farmaceutica del magnate vorrebbe sfruttare per creare elisir miracolosi. Approfondendo la ricerca, però, scoprono anche che le loro azioni potrebbero avere conseguenze davvero tragiche, che inizialmente non aveva considerato.”

La recensione di Death of a Unicorn, con Paul Rudd
Quando una formula si rivela vincente, soprattutto in ambito commerciale, qualsiasi settore sia, il rischio maggiore e il più frequente è la standardizzazione su vasta scala, le cui conseguenze sono: un appiattimento generale della qualità e una rapida fase di stanca del prodotto o dello stile stesso. Questo sta iniziando a verificarsi nella deriva appunto commerciale della casa di produzione A24, realtà indipendente capace di farsi un nome importante in quel di Hollywood, cercando di allargare la sua offerta, non limitandosi soltanto alla realizzazione di pellicole destinate ai festival o a concorrere alle cerimonie più prestigiose.
Nella prima metà del 2025 in corso, nelle sale cinematografiche italiane sono usciti Heretic e Opus – Venera la tua stella, di genere horror/thriller psicologico, molto simili tra loro, non solo nel genere ma anche nella struttura e nelle caratteristiche narrative quali: la scelta di guest star protagoniste, un solo luogo d’ambientazione e un tema importante a fare da contesto alla vicenda. Death of a Unicorn presenta le suddette caratteristiche, avendo come coppia protagonista Jenna Ortega e Paul Rudd, all’interno di una villa isolata sulle montagne, in cui la feroce critica alla classe sociale altoborghese funge da discorso principale.
Purtroppo, il lungometraggio scritto e diretto da Alex Scharfman condivide coi due sopracitati anche praticamente gli stessi difetti, a cominciare da una vera e propria mancanza d’approfondimento del tema trattato, lasciato completamente in superfice, onde evitare un eccessivo sforzo cerebrale degli spettatori, concentrandosi esclusivamente sulla garanzia di fornire intrattenimento. Peccato però che nemmeno in quel frangente ci si possa ritenere pienamente soddisfatti, nonostante non si cada nella prolissità o la durata la si percepisca troppo pesantemente; durante la visione si resta indifferenti, poiché il problema grosso è la piattezza generale dell’opera, infatti, il racconto è pressoché prevedibile fin dalle prime battute, non ci sono sequenze distinguibili l’une dalle altre, dal punto di vista tecnico poi gli effetti digitali delle creature fantastiche non sono affatto impeccabili, malgrado la maggioranza delle scene in notturna provi in tutti i modi a nascondere il rendering visivo.
A proposito dei personaggi, in merito ai due principali protagonisti, sono stati scritti in base ai lavori precedenti dei singoli interpreti: ancora una volta Jenna Ortega si ritrova ad indossare la “maschera” di Mercoledì, seguendo il rischio di ingabbiarsi in questa tipologia di dark girl, mentre ormai Paul Rudd dà la sensazione di non staccarsi più dall’ombra di Scott Lang, tant’è che sul finale diventa protagonista di una specie di viaggio ancestrale, in un mondo facsimile al regno quantico visto nelle avventure di Ant-Man nel Marvel Cinematic Universe.
Regna quindi sovrana una consistente perplessità dinanzi ad un nuovo potenziale sprecato, nello specifico a proposito della mentalità col quale si approccia un’operazione del genere, all’apparenza figlia di un sistema preoccupato più di riempire il catalogo delle piattaforme streaming nell’immediato futuro, piuttosto che impegnarsi nel fornire al pubblico pagante un’esperienza immersiva e partecipata; un sistema “a stampino” difficilmente immaginabile duraturo da qui al lungo periodo e che riesca a condurre da qualche parte.