Presentato in anteprima mondiale alla settantasettesima edizione del Festival di Cannes, sezione Semaine de la Critique, distribuito nelle sale cinematografiche belghe il 16 ottobre 2024, col titolo originale Julie zwijgt, mentre in quelle italiane a partire dal 24 aprile 2025, grazie al contributo di I Wonder Pictures. Il regista Leonardo Van Dijl esordisce dietro la macchina da presa per un lungometraggio di finzione così come esordisce da attrice la protagonista Tessa Van den Broeck. Ma qual è il risultato di Julie ha un segreto? Di seguito la recensione e la trama del film.
La trama di Julie ha un segreto, il film di Leonardo Van Dijl
La pellicola è stata presentata alla ventunesima edizione del festival Alice nella città, ed è stata scritta dallo stesso regista, in collaborazione con Ruth Becquart. Ma di cosa parla quindi Julie ha un segreto? Di seguito la trama ufficiale del film diretto da Leonardo Van Dijl:
“Julie è una giocatrice di tennis di talento, la più forte del suo club. Un giorno apprende della morte di una giocatrice e il suo allenatore finisce sotto indagine. Tutti le fanno domande e la incoraggiano a parlare, ma Julie decide di mantenere fino all’ultimo un silenzio assoluto sulla vicenda.”

La recensione di Julie ha un segreto, presentato a Cannes 2024
Ogni annata cinematografica presenta dei nuovi esordi dietro la macchina da presa per un lungometraggio, ognuno inserito in casistiche diverse: da chi ha diretto episodi di serie, da chi ha fatto solo lo sceneggiatore o ancora chi si è occupato solo dei documentari. Per quanto riguarda invece Leonardo Van Dijl, il passaggio avviene direttamente dai cortometraggi, tre per l’esattezza, alzando l’asticella per scrivere un nuovo inizio di carriera, che viste le premesse davvero potrebbe regalare immense soddisfazioni. Seguendo il gergo motoristico, il cineasta belga mette subito il turbo partendo da un argomento ancora rumoroso e mai del tutto esaurito come quello della molestia sessuale, nello specifico all’interno del mondo sportivo giovanile (s’intende la fascia d’età liceale), scegliendo però di concentrarsi sul dopo, sugli effetti e sul processo di elaborazione.
Eppure, la velocità dello svolgimento è tutt’altro che rapida, una delle carte più vincenti in fase di scrittura, poiché il ritmo lento scandisce perfettamente il senso di difficoltà del percorso che conduce alla testimonianza; fatto di enormi difficoltà, di un’ardua ricerca della fiducia, in se stessi e negli altri, solidificando così la base solida dell’intero racconto, retto dalla coerenza, in modo tale da trasmettere il significato del “passo alla volta”, dando valore ad ogni singolo mattoncino, di fondamentale importanza per raggiungere l’obiettivo finale. In pieno stile nordeuropeo, non c’è traccia di enfasi, di platealità o di esternazione netta dei sentimenti; servendosi del montaggio frammentato e della staticità delle inquadrature, sottolineando e rispecchiando lo stato d’animo della protagonista, chiusa e taciturna, com’è tipico di quell’età, soprattutto dopo aver subito un trauma.
Eccellente la capacità di costruzione elaborata all’interno della sceneggiatura, Julie arriva alla scelta conclusiva grazie ad un tragitto evolutivo fatto di rapporti allacciati, di sudditanze spezzate e di autocolpevolizzazioni superate, dove tutti i componenti della sua vita svolgono egregiamente la loro parte, dove ad esempio a lasciare il segno è il rapporto che si viene a formare tra la ragazza e il suo nuovo coach Backie, autenticato giorno dopo giorno, partendo da un’ iniziale e forse fisiologica diffidenza, scemata sempre di più grazie al modo di porsi di lui, nel pieno rispetto del ruolo d’insegnante, verso sé stesso e verso di lei. Il termine «molestia» non viene mai pronunciato, non si mostra l’atto vero e proprio e non si ascolta nemmeno indirettamente il racconto dei fatti; allora come si fa a coinvolgere il pubblico e farglielo capire?
Tramite un’altra puntuale soluzione, ossia mettendo in scena in un determinato modo l’aguzzino: Jeremy non è quasi mai inquadrato, malgrado ciò, la sua presenza è perenne, la sua evocazione tramite i dialoghi lo rende ingombrante e soffocante, l’ombra minacciosa di un traditore, tale per aver prevaricato oltre i limiti del suo incarico, giocando meschinamente sulla situazione di sudditanza, dovuta in primis all’età e in secundis appunto alla sua funzione. Inoltre, tale scelta di omissione è funzionale anche a dimostrare la difficoltà di tutte le parti in causa, principalmente la società attorno, di affrontare a viso aperto il problema, è tangibile la paura di constatare l’esistenza di accadimenti come questi, da cui inevitabilmente debbano scaturire prese di responsabilità, cambiamenti radicali, a cui magari non tutti sono disposti o a tutti non giovano.
Da questa pellicola ne giovano sicuramente tutti, grazie alla splendida e delicata ricerca dell’introspezione, dello sguardo intimo all’interno della psicologia, attingendo al linguaggio del cinema verità, lavorando per sottrazione allo scopo di ridurre al minimo la finzione cinematografica, a cominciare dalla recitazione, facendo dimenticare al pubblico di avere davanti agli occhi dei personaggi interpretati, in favore dell’autenticità e del realismo.