Articolo pubblicato il 18 Aprile 2025 da Alessio Minorenti
Distribuito nelle sale italiane a partire dal 17 aprile 2025, I Peccatori è la nuova pellicola diretta da Ryan Coogler, il regista che si è reso noto al grande pubblico grazie alla sua collaborazione con la Marvel (Black Panther, Black Panther: Wakanda Forever) e per aver avviato la saga di Creed, dirigendo il primo capitolo. Questa dunque non è la prima collaborazione tra Coogler e Michael B. Jordan, tuttavia I Peccatori è il primo horror della carriera del regista. La pellicola è costata una cifra tra i 90 e 100 milioni di dollari e si appresta, secondo gli analisti, a incassare circa 50 milioni di dollari nel suo primo weekend. A tal proposito: com’è I Peccatori? Di seguito la recensione del film.
La recensione di I Peccatori, un film che non sa che strada prendere
A volte capita che un film abbia un sola idea buona, la sviluppi come si deve e trascuri tutti gli altri suoi spunti. I Peccatori è un caso da manuale in tal senso, infatti, nonostante il film sia lontano dall’essere terribile, vanifica tutti i valori produttivi e artistici che lo compongono condannandosi all’anonimia più totale. L’unica idea riuscita è quella dell’utilizzo della colonna sonora e delle musiche diegetiche. L’opera riesce in modo assolutamente convincente a portare avanti un meraviglioso discorso circa l’importanza culturale che la musica blues ha rivestito nella cultura afroamericana, un anello di congiunzione tra la vita da schiavi nelle Americhe e quella vissuta dai loro antenati in Africa. Questa tradizione viene trasmessa spontaneamente di generazione in generazione, rendendo la musica un tassello cruciale dell’identità di coloro che vivevano ancora in condizioni di semi-schiavitù negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso. Molto spesso nel corso della pellicola i personaggi si confrontano tra di loro parlando di cosa il Blues significhi o abbia significato nelle loro vite e, anche solo danzando al suo ritmo, generano un senso di fratellanza e unione che riesce a sublimare il dolore della lontananza dai propri avi, la frustrazione della propria condizione attuale e l’irrefrenabile gioia di essere ancora vivi e di poter godere appieno di quel momento di unione fraterna. Questa costruzione tematica culmina in uno splendido piano sequenza in cui passato, presente e futuro si uniscono dando vita a un momento liberatorio (l’unico della pellicola) di deflagrante potenza, capace di sintetizzare in una scena la sete di libertà di un intero popolo.
Sfortunatamente non tutto il film regge il confronto con la scena appena descritta ma anzi incorre in numerosi errori che ne guastano la visione. In primo luogo Ryan Coogler non fornisce la sua versione della creatura vampiro ma si limita a fare un taglia e cuci un pò casuale (traendo molta ispirazione da Dal tramonto all’alba), senza chiarire minimamente da dove queste creature provengano e mettendole in scena senza farle risultare accattivanti visivamente (la scelta di far sbavare copiosamente i vampiri attiene più al registro della commedia che dell’horror), avendo l’unica intuizione di farle portatrici di una tradizione (anche qui in primo luogo musicale) totalmente opposta rispetto a quella dei protagonisti con cui si interfacciano e che rende chiarisce come lo scontro a cui si assiste nella pellicola sia in primo luogo di stampo culturale. Il marginale spazio riservato ai vampiri dovrebbe permettere alla pellicola, nella sua lunga durata di due ore e venti minuti, di caratterizzare a dovere il nutrito cast di personaggi comprimari che popolano la pellicola, cosa che tuttavia non avviene. A eccezione dei protagonisti infatti quasi nessun personaggio secondario riesce davvero a emergere, appesantendo inutilmente il minutaggio dell’opera. L’intento di Coogler era sicuramente quello di plasmare un microcosmo di caratteristi in grado di affascinare lo spettatore, tuttavia quasi tutti i componenti di questa comunità appaiono fin troppo monodimensionali non aggiungendo nulla alla narrazione.
Il finale è però il vero tallone d’Achille di quest’opera. Per sbrogliare facilmente un’impasse narrativa si decide di far compiere un gesto scellerato a un personaggio, cosa che fa crollare irrimediabilmente la tensione che si era accumulata fino a quel momento, rendendo le scene finali un grand Guignol privo di significato. Ad affossare ulteriormente la pellicola vi è poi un didascalismo davvero fastidioso che accompagna tutto lo svolgimento della storia, puntellando continuamente le scene con rimandi al passato o effettuando sottolineature inutili, finendo per non lasciare alcun margine di interpretazione delle immagini a schermo, un difetto comune a tanti film della contemporaneità.