Recensione: Daredevil – Rinascita 1×09: Dritto All’Inferno

La recensione del finale di stagione di Daredevil – Rinascita: il nono episodio della serie Marvel è intitolato Dritto All’Inferno ed attualmente disponibile su Disney Plus.
Daredevil Rinascita: la recensione del nono episodio

Articolo pubblicato il 19 Aprile 2025 da Andrea Barone

Il penultimo episodio di Daredevil: Rinascita è terminato con un cliffhanger che ha tenuto con il fiato sospeso numerosi appassionati, desiderosi di scoprire cosa sarebbe successo dopo l’azione di Bullseye. L’hype tuttavia non è generato soltanto dal colpo di scena, ma anche dal fatto che questa puntata rappresenti il finale della prima stagione, ma quest’ultimo si sarà rivelato all’altezza? A seguire la recensione del nono episodio della serie Marvel, intitolato Dritto All’Inferno ed attualmente disponibile sulla piattaforma streaming Disney Plus.

La trama di Daredevil – Rinascita 1×09

Daredevil: Rinascita è una serie ambientata nel Marvel Cinematic Universe, nonché sequel di Marvel’s Daredevil, prima opera televisiva che vede come protagonista il celebre diavolo di Hell’s Kitchen e che è terminata con la terza stagione. Il finale di questo seguito arriva ad un punto completamente sconvolgente che porta i protagonisti ad uno status quo apparentemente definitivo e che segna una nuova svolta. Il nono episodio infatti presenta la seguente trama:

“Dopo l’attentato alla vita di Wilson Fisk da parte di Bullseye durante la festa per i finanziamenti, Matt Murdock, che si è beccato il proiettile per salvare il suo vecchio avversario, viene ricoverato in ospedale. Wilson approfitta della situazione per mandare qualcuno ad ucciderlo, per poi togliere la corrente di New York in modo da avere campo libero per attuare la sua Task Force. Nel frattempo Matt, che scappa per riprendere i panni di Daredevil, è costretto a ricevere l’aiuto di Frank Castle, il controverso vigilante noto come The Punisher.”

La recensione del nono episodio di Daredevil – Rinascita

Il ritmo della puntata, che mostra un’evoluzione degli eventi in modo decisamente spedito, potrebbe essere definito eccessivamente caotico. Tuttavia il senso di confusione è decisamente coerente con la sensazione di smarrimento che Wilson Fisk riserva ai suoi stessi cittadini, i quali rimangono vittima del ragionamento che il sindaco ha fatto durante gli episodi precedenti: per poter ristabilire l’ordine, bisogna prima fare in modo che il caos dilaghi. Il personaggio colpisce la città attraverso uno dei suoi lati più deboli, provocando volutamente un temporaneo disastro che diviene la ciliegina sulla torta di un paese travolto dalla disperazione e dalla paura di sprofondare (motivo per cui Wilson Fisk è diventato sindaco, rispecchiando il malcontento di molti cittadini reazionari durante le interviste presentate nei primi episodi). Wilson Fisk, approfittando del panico generato dal suo attentato, il quale finisce solamente per portargli vantaggio (cosa che crea un maggiore peso nell’azione feroce di Bullseye, la quale, ricordiamolo, è scappato grazie ad un atto di violenza impulsiva generato da un incontrollabile Matt Murdock) si avvale della paura per poter avere totale carta bianca. Come si libera la violenza nelle strade, così il vero io interiore del personaggio finalmente dilaga, rivelando il suo reale volto. Negare che il personaggio abbia cercato, nelle puntate iniziali, di mantenere la calma comportandosi come un cittadino onesto sarebbe sbagliato, ma era chiaro che la natura del personaggio sarebbe visibilmente peggiorata nel momento in cui la sua bestia ha urlato mentre picchiava a sangue Adam, un istinto di violenza talmente forte da aver influenzato Vanessa spingendola ad uccidere, fondendo la loro anima in una mano macchiata di carneficina. Non è un caso che subito dopo l’accettazione di Vanessa (ormai definitivamente connessa a lui, con il primo seme impiantato da quando lo ha esortato ad uccidere l’agente Nadeem nella terza stagione), Wilson abbia lasciato campo libero alla Task Force (che ricordiamocelo, hanno torturato un giornalista davanti al capo della polizia) e abbia ricattato importanti politici esattamente come quando spingeva i boss criminali nella prima stagione e corrompeva gli agenti dell’FBI nella terza.

Inoltre ad un certo punto si manifesta una scena enormemente violenta, probabilmente la più cruenta dell’intero MCU, la quale è soltanto l’ultimo botto di una miccia che si era accesa già da tanto tempo. La sequenza in sé, potrebbe apparire di troppo, dal momento che un getto di sangue e di carne così tanto esplicito non si era mai visto nell’universo condiviso di Kevin Feige, nemmeno in scene forti della serie Netflix come quella della portiera, nonostante gli intenti identici. Tuttavia la scena, oltre ad essere realizzata con effetti pratici notevoli, è d’impatto per due motivi: il primo riguarda l’unicità del momento rispetto a tutto quello che è stato presentato in precedenza. Se tutta la serie fosse stata violenta in modo esplicito, un momento esplosivo come questo sarebbe potuto essere avvertito come un modo di pompare il sangue spettacolarizzandolo, ma l’unicità della scena in tutta la stagione permette di creare un senso di stordimento e di totale disgusto, che è quello che dovrebbe rappresentare il personaggio, incutendo paura nello spettatore. Dall’altra parte è anche molto intelligente mostrare la paura dei personaggi che stanno assistendo all’azione, evidenziando come il male puro in quel momento è permesso dalla società che ha portato ad autorizzare quella cattiveria, ma non per questo appare meno inaspettata e crudele, spaventando persino i fieri sostenitori di Wilson Fisk. Kingpin si rivela per quello che è: un uomo egoriferito che spaventa la città per poter mantenere il controllo ed autoilludersi di essere l’unica guida che può essere il punto di riferimento massimo di New York. Con la città che si trasforma in un cumulo di cattiveria, i creatori della serie trasformano l’MCU, seppur in modo minore, in uno scenario che ricorda Civil War di Alex Garland, creando parallelismi tra Kingpin ed i dittatori più crudeli e continuando, quindi, a rispecchiare un’America reazionaria (già dipinta magnificamente da Frank Miller nel Daredevil: Rinascita fumettistico con un soldato malato sfruttato dal già citato boss criminale). Poco importa se Wilson Fisk è un sindaco e non un presidente, perché i punti in comune con Donald Trump sono chiari e risultano spaventosi, dando alla Marvel un coraggio encomiabile non per forza nella violenza (inedita per il contesto ma che comunque raccoglie l’eredità di The Boys), bensì per il significato crudele e contemporaneo nascosto dietro di essa.

Daredevil Rinascita: recensione puntata finale

La recensione dell’episodio finale di Daredevil: Rinascita

Le scene d’azione, dirette in una fotografia deliziosamente oscura e creando un forte disagio nel far avvertire i colpi fisici sui poliziotti rabbiosi, sono molto interessanti nel mostrare l’enorme differenza tra i coltelli di Frank Castle che grondano di sangue ed i pugni di Matt che sono sì dolorosi per i nemici ma che non hanno, per forza di cose, lo stesso impatto mortale. Perché infatti Matt, che continua a provare disgusto per tutta la cattiveria del mondo, si è preso un proiettile per un uomo come Wilson Fisk, il quale è il vero diavolo di Hell’s Kitchen? Matt non sa rispondere a questa domanda, forse perché nessuna risposta magari ha realmente senso in un mondo in cui chiunque desidererebbe la sua morte, eppure l’eroe decide di entrare all’inferno esortando Frank Castle ad essere migliore. Non importa quanto dolore abbia provato: Matt non uccide e rifiuta di scendere nuovamente nella ferocia e nell’oscurità. In questo senso dell’orrore, il dolore di Daredevil è la luce che, lentamente, emana per ispirare le persone a fare del bene, dando un senso di speranza anche quando fuori c’è una guerra fisica e morale, creano il potente significato per eccellenza della figura del supereroe. Anche quando la dittatura e l’assenza di moralità sembrano predominare ogni cosa, lottare è ciò che davvero dà all’uomo il senso di vivere, esattamente come diceva Hector Ayala, dimostrando che la sua ispirazione non è andata perduta nonostante la sua tragica morte rivendicata fino alla fine. Eppure, in una figura come Daredevil che risplende persino attraverso il vetro macchiato di sporcizia, è impossibile non provare fascino anche per Frank Castle, un uomo che passa la sua vita ad inseguire fantasmi massacrando coloro che ritiene punibili. “Che cosa sapete del mio dolore?” Questa è la frase che Frank rivolge ai poliziotti reazionari che utilizzano il simbolo del vigilante per fare del male a persone innocenti: molto spesso, infatti, gli uomini malvagi distorcono cause nate da intenti umani soltanto per poter liberare la crudeltà che hanno dentro. Nessuno si ricorda che Frank ha perso la famiglia, ma tutti ricordano che spara ai criminali e diffondere l’odio, per queste persone, è la sola cosa che conta. Un altro ritratto dell’estrema destra americana riemersa nuovamente nell’MCU con una denuncia profonda.

Il contrasto tra Frank e Matt fornisce a quest’ultimo la prova della sua assoluta resistenza, ma ciò non potrebbe essere completato senza l’arrivo di Karen Page, il quale diventa fondamentale. Come Daredevil diviene il piccolo secchio d’acqua su una città in fiamme, Karen, tornata nel momento del bisogno, era il punto di riferimento per Matt. La morte di Foggy, che ha creato scombussolamenti nella figura del protagonista, aveva infatti fatto perdere la fede al supereroe di New York. Per questo tra Karen e Heather, messa a paragone con la prima in modo anche cattivo, c’è un contrasto che fa perdere forza alla nuova fiamma di Matt che sembra essere stata spenta. Il rapporto sempre più incrinato tra Heather ed il vigilante stava diventando il simbolo della rabbia e della mancanza di fiducia che Matt ha negli altri e nel sistema (anche a causa dello stesso Matt che si è allontanato da lei e si spera che questa cosa venga approfondita nella seconda stagione). Il ritorno con Karen, ancora incerto perché tra i personaggi appare soltanto una piccola tensione sessuale, non è quindi solo il ritrovamento di identità di Matt, ma anche della serie stessa, che si riallaccia ai personaggi delle serie Netflix (Karen e Frank, comparsi entrambi in un solo episodio precedente per poi riapparire adesso in modo molto più espanso) affinché questo revival riabbracci definitivamente la forma urbana delle stagioni passate. L’unica nota realmente stonata della puntata è il fatto poco credibile che Matt non abbia indagato approfonditamente su Foggy durante la sua morte, ma questo buco di trama è colmato dall’eccezionale caratterizzazione del personaggio e non pesa quanto dovrebbe. Con le sue scelte estremamente coraggiose, sia sul piano di denuncia sociale che sulla scelta estetica che appare diversa da qualsiasi serie prodotta per la piattaforma Disney Plus, lo showrunner Dario Scardapane è riuscito, in larga parte, a riallacciare tanti temi importanti racchiusi in personaggi scritti con grande cura. Tutto ciò rende Daredevil: Rinascita non solo un sequel degno delle stagioni della precedente serie (che comunque rimane superiore), ma un vero e proprio miracolo che si trasforma in uno dei capitoli più belli che il Marvel Cinematic Universe abbia mai partorito, nonché la vera rinascita dell’apparato televisivo Marvel che crea varietà in un universo che ha ancora tanto da offrire.

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Daredevil Rinascita: la recensione del finale di stagione
Daredevil: Rinascita
Daredevil: Rinascita

Daredevil: Rinascita è il sequel di Marvel's Daredevil nel quale Matt Murdock deve lottare con sé stesso per non tornare ad essere un vigilante mentre Wilson Fisk diventa il sindaco di New York.

Voto del redattore:

9 / 10

Data di rilascio:

05/03/2025

Regia:

Justin Benson, Aaron Moorhead, Michael Cuesta, Jeffrey Nachmanoff e David Boyd

Cast:

Charlie Cox, Wilson Fisk, Margarita Levieva, Deborah Ann Woll, Kamar De Los Reyes, Ayelet Zurer, Genneya Walton, Jon Bernthal e Wilson Bethel.

Genere:

Supereroistico, action, thriller, noir

PRO

L’estetica noir con sequenze d’azione interessanti e tocchi registici potenti nei momenti più intimi.
Il coraggio di non mostare subito Daredevil per dare spazio ad una caratterizzazione umana lenta e profonda.
Il grande villain che diviene lo specchio dell’America trumpiana.
Lo straordinario cast.
Alcuni personaggi secondari che vengono tralasciati a causa della velocità di determinati eventi.
La deludente caratterizzazione di Muse.
Un brutto uso della CGI in alcuni momenti.