Articolo pubblicato il 26 Aprile 2025 da Bruno Santini
Ritorna, nel contesto del Far East Film Festival 2025, il franchise di GATAO dopo i successi che i precedenti film avevano ottenuto al botteghino. Con la buona notizia (per i fan) del ritorno di Sunny Wang nei panni di Michael, il film affronta tutte le tematiche archetipiche dei mafia movies, pur portando avanti una tipologia di rappresentazione piuttosto stantia e caricaturale, che anche per lungometraggi di questo genere – in cui l’azione dovrebbe farla da padrona – appare di troppo. Ma cerchiamo di capire meglio a che cosa ci riferiamo con la recensione di GATAO: Like Father Like Son.
La recensione di GATAO: Like Father Like Son, una coreografia posticcia e piuttosto stucchevole
Che piaccia o meno, il genere dei mafia movies, così come degli Yakuza o delle serie italiane dedicate alla criminalità organizzata, è un genere che esiste ed è particolarmente florido per il pubblico di riferimento. Tecnicamente parlando, è anche un qualcosa di molto semplice da generare per lo schermo, disponendo figure entro uno o più spazi e lasciando che interagiscono tra loro nel modo più violento possibile: c’è chi, sulla base di questi elementi, ha generato una carriera (leggasi Takeshi Kitano) e chi invece annega non nel fango mostrato nel lungometraggio, bensì in quella fanghiglia ideologica che diventa GATAO: Like Father Like Son.
Fin dalla prima scena (un trailer-riassunto-spiegone dei film precedenti) ci rendiamo conto che GATAO: Like Father Like Son vuole adempiere perfettamente ai canoni del genere, e potrebbe anche andare bene se lo facesse senza pretese e coordinando un’azione che sia coerente, o comunque credibile, sullo schermo. Coreografando male ogni scena clou del film, però, il lungometraggio cede ben presto al trash, e non è positivo così come gli amanti del cinema-spazzatura potrebbero pensare: non genera ironia, poiché non vuole far ridere, ma lo si può soltanto compatire nel suo modo di mostrare mazze e coltelli, teste rasate e occhiali da sole indossati di notte. Tanta azione e tutta stucchevole, con interpretazioni più che rivedibili e tanta abbondanza di figure che sembrano generare soltanto disordine.

Tale padre tale figlio, ma solo per pochi secondi
C’è qualcosa di sicuramente molto interessante, nel contesto generale di sparatorie (poche) e mazzate (decisamente di più), in GATAO: Like Father Like Son, e il titolo del film sembra anticiparlo. Il rapporto padre-figlio, pur se affrontato in una cornice che è quella della Triade taiwanese, ha sempre senso di esistere in una disamina narrativa che può, sì, essere sviluppata anche attraverso l’azione reiterata e le scazzottate che giustamente devono farla da padrona in generi come questo.
Ora, e arriviamo al punto della recensione di GATAO: Like Father Like Son, il tema in questione emerge narrativamente parlando soltanto negli ultimi due minuti dei 131 totali del film in questione. Comprendiamo benissimo, poiché i franchise e i successi al botteghino non sono soltanto materia Occidentale e il bisogno di far cassa accomuna qualsiasi esercente di tutto il mondo, che la saga cinematografica vada portata avanti se ce n’è necessità, ma film come GATAO: Like Father Like Son riescono ad ottenere un senso solo se permettono che (accanto al fabbisogno economico) si definisca una natura in termini di linguaggio o significato. Ebbene, nel film ci sarebbe anche, lo dicevamo, ma affoga totalmente in un non-detto e, per larga parte dei 131 minuti di cui sopra, non-visto, non avvicinandosi né ad un’opera più ideologicamente matura, né ad azione nuda e cruda che annulli qualsiasi forma di ragionamento altro. E non bastano di certo pochi secondi, o frasi spiattellate in maniera esplicita, a permettere che un tema si trasmetta allo spettatore.