Teki Cometh: che cos’è più importante, la realtà o la letteratura?

Dopo aver vinto tre premi al Tokyo International Film Festival, Teki Cometh arriva anche in Italia con il suo racconto su sogno, morte e vecchiaia: ma qual è il suo risultato?
Teki Cometh: che cos'è più importante, la realtà o la letteratura? | Recensione FEFF27

Articolo pubblicato il 26 Aprile 2025 da Bruno Santini

Assoluto mattatore del Tokyo International Film Festival, dove ha vinto tre premi per miglior film, migliore regia e miglior attore protagonista, Teki Cometh arriva anche in Italia. In anteprima nel contesto del Far East Film Festival 2025 di Udine, il film di Daihachi Yoshida presenta uno spaccato importantissimo sul tema della vecchiaia e della morte, che trovano spazio sullo schermo non con indulgenza e didascalismi, bensì con un trattamento riuscito e interessante, che si avvale dell’interpretazione incredibile di Nagatsuka Kyozo. Di seguito, tentiamo di dire di più sul film e sul suo racconto attraverso la recensione di Teki Cometh.

L’impero della mente di Nagatsuka Kyozo, da Wim Wenders a David Lynch

Qual è il nemico che sta arrivando da Nord, e che domina così tanto la rappresentazione della seconda parte di Teki Cometh, a partire da una serie di elementi di goffa ironia e fino a diventare una cupa e disturbante realtà? Il regista è chiaro ed esplicito nel dirlo: ognuno di noi, nella sua mente e nel suo cuore, ha un nemico e non bisogna far altro che pensare ad esso. Forse il rimando più immediato, seppur complesso, che ci viene in mente parlando del “nemico” è proprio quello di noi stessi, in preda ad un percorso esistenziale che – nell’apparente e iniziale favola di Teki Cometh – si trasforma ben presto in disturbante Odissea.

L’impero della mente, parafrasando il titolo dell’ultimo film di David Lynch, è oggetto sempre più costante di rappresentazione cinematografica, da un lato perché può contare su un percorso ormai perfettamente tracciato da alcuni dei più grandi della storia della settima arte; dall’altro perché la contemporaneità porta con sé tutti i connotati della frenesia e di un mondo in cui ripiegare nel proprio intimo diventa, in parte, un atto quasi sacrilego. Ed è proprio a partire dal regista statunitense che bisogna partire, per parlare di Teki Cometh: in un film come Lust In The Rain abbiamo visto quanto importante sia il riferimento a Mulholland Drive in un’opera intrisa di citazionismo; il film di Daihachi Yoshida, che omaggia certamente parte della tradizione cinematografica Occidentale, si pone però in quanto ponte tra culture diametralmente opposte per molti aspetti legati al quotidiano, in cui l’ossessione per la parola giusta e per il gesto ben posato nascondono i germi di una repressione (umana, culturale, sociale ma anche sessuale) che invece trova libero sfogo nel subconscio, proprio come il cinema lynchiano ha tentato di comunicare nel corso degli anni.

La vita del professore protagonista, Watanabe Gisuke, è però evidentemente un rimando anche al cinema di Wim Wenders, impegnato nel corso della sua intera carriera a ricreare il modello del cinema di Ozu nel mercato europeo e internazionale, culminando con l’opera di Perfect Days il suo ideale processo. L’uomo di cui si racconta è raccontato sì nella scansione delle sue giornate metodiche e tutte molto simili (tanto da dimenticare di quale giorno si tratti, dice), ma anche nella cornice delle quattro stagioni e delle loro peculiarità. La fotografia di Shinomiya Hidetoshi, un evidente pregio di questo lungometraggio, appiattisce l’intera rappresentazione entro una cornice da cartolina, che spicca per i bei pasti che il professore prepara e per quel piccolo nucleo di azioni di un uomo anziano, che vive la fase finale della sua vita con un ultimo slancio. La passione per la letteratura francese, gli articoli che lo tengono ancora in attività, la frequentazione con ex studenti particolarmente devoti e l’ossessione per il denaro e per i risparmi sono il leitmotiv delle sue giornate: ma siamo lontani, nonostante la prima parte del film lo faccia pensare, dai canoni di Wim Wenders e di Ozu, poiché c’è tanto altro che Teki Cometh riesce a donare al suo spettatore.

Un’immagine di Watanabe e di sua moglie (defunta) in Teki Cometh

La recensione di Teki Cometh: è più importante la realtà o la letteratura?

È proprio quando una delle tante mail spam raggiunge la posta elettronica di Watanabe (un espediente strutturalmente semplice, eppure particolarmente efficace) che nel film si genera una crepa, capace di avvicinarlo ad una sensibilità artistica ben più lontana e radicata, nonostante parte di questi ragionamenti sia esclusivamente recente. Il professore di francese inizia a vivere una realtà che soltanto apparentemente potremmo definire in bilico tra verità e sogno, proprio alla maniera del già citato Lynch: a dirla tutta, il discorso più importante che viene messo in piedi da Teki Cometh è la commistione, così tanto concreta da diventare addirittura viscerale, tra piani rappresentativi che non tentano in alcun modo di essere separati. Dalla fotografia all’interpretazione dell’uomo, passando per elementi che si sovrappongono fino a diventare verosimili in qualsiasi caso, tutto ci distoglie dalla verità (quale?), ci allontana dal centro della rappresentazione avvicinandosi ad un racconto estremamente eccentrico, in cui il procedere dell’azione del protagonista sembra quasi un percorso odissaico.

Qual è il nemico di cui si parla all’interno della mail e perché tutti ne parlano con grande preoccupazione? Ma, soprattutto, il nemico esiste davvero? Saturando di interrogativi lo spettatore, Teki Cometh trova una grande chiave di volta nella sua rappresentazione della vecchiaia e della morte, disponendo le sue figure all’interno di un ideale mosaico in movimento, in cui gli spazi (e i tempi) restano perfettamente claustrofobici e definiti nel disordine generale della realtà. Nell’osservare la moglie defunta di Watanabe, che si siede al suo stesso tavolo per rimproverarlo dell’amore platonico che ha per la sua studentessa, sembra di ritrovare quella bellissima intuizione che Apichatpong Weerasethakul aveva in Lo zio Boonme che si ricorda le vite precedenti, con il dialogo tra vivi e morti in cui nessuna delle parti in causa poteva dirsi con estrema certezza reale.

Annullando sempre più il confine tra dimensione onirica e del risveglio, Daihachi Yoshida costruisce un mondo incredibilmente funzionale, in cui gli elementi disturbanti si mescolano a quelli di placida estetica, inframezzati da dettagli goffi e ironici, ma al contempo rappresentativi di quella realtà deforme di cui sono fatti i sogni. Eppure, quando tutto finisce per coincidere fino all’istante della morte dell’uomo, ci sembra di ritornare sui nostri passi: è qui che, con estrema sapienza, Yoshida ci stupisce ancora mostrandoci Watanabe ancora una volta, in una dimensione che non possiamo cogliere. Tutto ciò che abbiamo visto, e che abbiamo frettolosamente bollato come falso o sognante (la moglie morta, i nemici ricoperti di fango, gli ex studenti di Watanabe, le sue colpe e l’impudicizia), ritorna in una sola ed estemporanea figura, che sopravvive alla verità. Ancora una volta, dunque, chi è il nemico?

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Teki Cometh
Teki Cometh

Vincitore di tre premi al Tokyo International Film Festival, Teki Cometh è il nuovo film di Yoshida Daihachi, che torna dietro la macchina da presa per parlare di vecchiaia e morte.

Voto del redattore:

10 / 10

Data di rilascio:

26/04/2025

Regia:

Yoshida Deihachi

Cast:

Nagatsuka Kyozo, Kurosawa Asuka, Takeuchi Kumi

Genere:

Drammatico

PRO

La splendida fotografia del film
L’interpretazione di Nagatsuka Kyozo
La disposizione delle diverse realtà del film e la rappresentazione della vecchiaia e della morte
Lo sguardo mai indulgente e didascalico del regista