Next Stop, Somewhere: tanta estetica finalizzata al vuoto soporifero

James Lee, esponente della New Wave del cinema malesiano, torna dietro la macchina da presa per Next Stop, Somewhere con Anthony Wong protagonista: ma qual è il risultato?
Next Stop, Somewhere: tanta estetica finalizzata al vuoto soporifero | Recensione FEFF27

Articolo pubblicato il 27 Aprile 2025 da Bruno Santini

In Concorso al Far East Film Festival 2025 di Udine arriva l’ultima opera di James Lee, pioniere del movimento cinematografico digitale malese e prolifico regista che torna dietro la macchina da presa per un film che tenta di raccontare il presente. Il tema della pandemia da Coronavirus, che coinvolge il protagonista (interpretato da Anthony Wong costringendolo ad una quarantena in una camera d’albergo), si accompagna ad un’altra storia che viene raccontata con differente formato. I due episodi si mescolano e alternano tra loro, lasciando però davvero poco allo spettatore, nonostante l’intermediazione di una valida estetica, che però non è abbastanza: di seguito, si indica di più nella recensione di Next Stop, Somewhere.

Lockdown fisico ed emotivo nel racconto di James Lee

Ergendosi come pioniere della cosiddetta New Wave del cinema malesiano, James Lee ha fatto suoi numerosi elementi che sono tipici della contemporaneità in digitale, inevitabilmente rivolgendo il suo sguardo altrove non soltanto per elementi tecnici, ma anche per rappresentazioni puramente narrative. Il racconto che coinvolge Anthony Wong, Angel Lee, Kendra Sow e Mike Chuah, allora, con la struttura episodica e con le due realtà che tra loro si intrecciano e alternano – un solo elemento di unione, il dollaro che viene impugnato dai personaggi – fa venire immediatamente in mente Hong Kong Express di Wong Kar-wai, che del resto si cita esplicitamente (il protagonista viene proprio da Hong Kong) e indirettamente, con il timelapse finale e con le luci della città che vagano velocemente per rappresentare il trascorrere del tempo dalla condizione di lockdown del protagonista.

Proprio questo paragone, che purtroppo appare fin troppo esplicito per essere considerabile come volo pindarico, ci permette di comprendere maggiormente quale sia l’intera natura difettosa dell’opera: Next Stop, Somewhere, del resto, vuole raccontare una condizione che appartiene al presente fatto di distanze e di barriere tra persone. Una barriera fisica, come quella della porta da tenere chiusa o della mascherina da indossare per non contagiarsi, e una più radicata, che appartiene alla condizione di una donna costretta a sposarsi e venduta da una famiglia vietnamita; nel suo caso, la distanza è linguistica ma al contempo anche emotiva, dovendo convivere con un uomo che più volte tenta di avere con lei un rapporto sessuale ma che la donna non ama. Ma è, in fondo, una distanza anche quella emotiva delle due donne (una delle quali l’inserviente che porta al protagonista dei libri e delle sigarette) che vivono la fine della loro storia d’amore.

Sulla base di questi elementi, James Lee costruisce un racconto che vorrebbe annegare in estetica e silenzi, appagando lo spettatore pur proponendogli un insieme di storie difficili, in uno stato di post-umanità e spazi-limite (la camera d’albergo, la sponda di un lago, la casa di un marito la cui madre è onnipresente e ossessionata dal desiderio di un nipote) che appartengono al presente. L’intuizione, allora, non possiamo certo dire che non ci sia, ma termina proprio nel momento in cui sembra nascere: lo sviluppo lento dell’opera non lascia mai spazio ad uno sviluppo che possa dirsi veramente tale, con le storie che si alternano e accompagnano senza un’evidente ragione, se non estetizzante e appartenente allo sguardo (mai condiviso con lo spettatore) del regista.

Un’immagine di Next Stop, Somewhere

La recensione di Next Stop, Somewhere: la banalità è (talvolta) un fatto di formato

C’è una tendenza molto radicata nel cinema contemporaneo, soprattutto con la sperimentazione tra formati tipica del post-moderno, che talvolta porta con sé – e alcuni film ne sono il manifesto – un’alternanza tra tante dimensioni possibili e di differenti forme di incorniciatura dell’opera. Stiamo parlando della scelta del formato, molto spesso interessante nel tentare di comunicare un aspetto narrativo e ideologico, non necessariamente veicolato attraverso la parola: Next Stop, Somewhere sceglie il più rappresentativo di tutti per raccontare la claustrofobia, le barriere della pandemia e lo stato di lockdown tanto fisico quanto emotivo, il 4:3. Ne deriva un atteggiamento che riprende in pieno tutte le altre opere che scelgono un modo di procedere simile, e che si affidano ad una formula di linguaggio tanto interessante quanto (purtroppo) spicciola: ci ritroviamo in un momento storico in cui anche la scelta di un formato, una grande espressione di libertà artistica da parte di un regista, tende a diventare un elemento mainstream, e sorprende in negativo notare quanto questo binomio sia così tanto radicato da diventare intangibile.

Certo, il 4:3 è funzionale al racconto della clausura, ma per un’opera così spiccatamente volta al presente (non solo nella rappresentazione della pandemia e del lockdown, ma anche della difficile condizione della donna nella società malese), è così tanto necessario ricorrere ad un ulteriore elemento tecnico che ribadisca lo stesso messaggio? Posta com’è, Next Stop, Somewhere finisce per essere un’opera mediocre e tautologica, in cui l’unico tema di fondo – quello delle barriere che si pongono tra gli esseri umani, comunque le si voglia intendere – viene ribadito ossessivamente, finendo per stancare lo spettatore nonostante la durata esigua di 87 minuti dell’opera. Avere qualcosa da dire, al giorno d’oggi e in uno stato molto preoccupante per la crisi di idee tipiche della contemporaneità, non è mai banale: avere una sola idea e costruire un film che non sappia come far sì che questa sorregga un’intera struttura, però, è allo stesso modo un brutto risultato.

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Next Stop, Somewhere
Next Stop, Somewhere

In anteprima al Far East Film Festival 2025 di Udine, Next Stop, Somewhere è il nuovo film del regista e pioniere della New Wave del cinema malesiano James Lee.

Voto del redattore:

4.5 / 10

Data di rilascio:

27/04/2025

Regia:

James Lee

Cast:

Anthony Wong, Angel Lee, Kendra Sow e Mike Chuah

Genere:

Drammatico

PRO

L’idea alla base del racconto sulle barriere e sulle distanze
La scelta del formato in 4:3
Lo sviluppo stentato e soporifero del film
Il progetto risulta totalmente anonimo (o legato ad un pensiero del regista non comunicato allo spettatore)