Articolo pubblicato il 15 Maggio 2023 da Bruno Santini
Tratto da un soggetto di poco conto, nelle mani di Orson Welles, l’Infernale Quinlan (1958), che nelle intenzioni della Universal doveva essere solo una proposta thriller-poliziesco, buttata fuori a getto continuo tanto per fare numero, diviene un monumento assoluto della storia del cinema e perfetto esempio di come in fondo, anche se non si ha una grande storia base, se sei un grande regista puoi riuscire a tirare fuori un grande film lo stesso e se sei un grande maestro del del cinema e forse per alcuni il più grande di tutti, tiri fuori l’ennesimo capolavoro.
La Trama dell’Infernale Quinlan di Orson Welles
Mike Vargas (Charlton Henston) e Susie (Janeth Leigh), un poliziotto messicano e un’americana appena sposati, pregustano una lunga luna di miele, quando al loro bacio uno scoppio improvviso mostra il veicolo menzionato in precedenza deflagrato dall’esplosione, con i corpi devastati di una ballerina e del noto imprenditore Rudy Lennekar.
Brutta faccenda si prospetta all’orizzonte, anche perché il reato è avvenuto in territorio americano a pochi metri dalla frontiera con il Messico da cui proveniva la macchina. Ad indagare sul caso ci sono per la parte americana il sergente di polizia Pete Menzies (Joseph Calleia) ed infine lui! Si, avete capito bene; l’immenso e titanico (in tutti i sensi) ispettore Henry Quinlan (Orson Welles).

Recensione dell’Infernale Quinlan: l’ispettore titanico nel film di Orson Welles
Orson Welles ritorna ad Hollywood dopo 10 anni esatti dal Macbeth, che di fatto ne sancì il suo esilio.
Complice una lavorazione più ordinaria (almeno durante le riprese), la mano di Welles si percepisce per tutta la durata della pellicola, cominciando dal piano sequenza iniziale di oltre tre minuti, che inquadra una bomba infilata nel bagagliaio di una macchina. Poi tra gru, virtuosismi acrobatici e carrelli, la macchina da presa segue il veicolo soffermandosi sulle persone che camminano, nell’attesa dell’inevitabile esplosione.
In pochi minuti Welles già ci ha presentato il caso in cui ruota tutto il film, alcuni personaggi principali e l’ambientazione dell’opera.
Un’unica ripresa gestita in uno spazio enorme, che mette in pratica per la prima volta il piano sequenza, come tecnica dal virtuosismo tecnico complesso, ma perfettamente amalgamata con la narrazione, più che come longtake “statico”, visto in precedenti film come Quarto Potere (1941).
Bisogna però dire, che la tecnica fu sfruttata per la prima volta nella sua concezione “dinamica”, da registi come Alfred Hitchcock in Nodo alla Gola (1948), ma solo con l’Infernale Quinlan, la tecnica assume le caratteristiche con cui oggi è contraddistinta.
La trama investigativa s’intreccia con uno sviluppo complesso, dove si mettono in scena varie vicende che proseguono per percorsi paralleli.
Oltre all’indagine condotta da Quinlan e Menzies, con la collaborazione di Vargas, su chi sia stato a mettere la bomba nell’auto, assistiamo in contemporanea agli intrighi della famiglia malavitosa dei “Grandi”, gestita da Joe Grandi (Akim Tamiroff), che tramite Susie, vogliono arrivare a minacciare Vargas, poiché il boss vuole impedire all’agente di testimoniare al processo, mandando così definitivamente il fratello del malavitoso in galera, che attualmente è in carcere.
La struttura narrativa quindi parallelamente di volta in volta si focalizza sui vari personaggi ed i loro percorsi narrativi.
Queste trame distanti, arriveranno poi ad oltre metà film a collimare tra loro, dando pieno significato al titolo del film (in lingua inglese, “Touch of Evil”, in italiano “Tocco del male”).
Indubbiamente il film poggia sulle spalle del Welles sia attore che regista, il quale facilmente finisce con il rubare la scena ad un Charlton Henston, non proprio credibilissimo nei panni di un agente messicano, scelta imposta dallo studios per ragioni evidentemente di botteghino.
Da che era un fuscello in Quarto Potere (1941) ed era riuscito a conquistare la bellissima Rita Hayworth, Orson Welles negli anni s’è sempre dato più alla pazza gioia aumentando il peso ed ingrandendo sempre più il girovita, assumendo proporzioni sempre più immense, “titaniche” a voler essere corretti, senza però mai, che venisse meno la sua presenza scenica carismatica e con l’ispettore Quinlan, la sua potenza in scena raggiunge vette mai toccate in precedenza.
La sua andatura claudicante, per via della mole, ma anche per una gamba semi-paralizzata da un proiettile, scarica gran parte del proprio peso su un bastone che lo aiuta ad appoggiarsi, i tratti del suo viso sono pieni delle sue guance “pacioccose” e deformate dagli obiettivi grandangolari, combinati con le inquadrature dal basso, ne fanno una figura che satura ogni spazio libero, riempiendolo della propria persona.
I modi dell’ispettore sono burberi e spicci, il suo carattere è autoritario, sgradevole e violento, non nascondendo di certo il suo razzismo verso i messicani, di cui disprezza tutto, dalla lingua all’aspetto fisico, sino alla loro civiltà in toto, sopportando con estrema fatica la figura di Vargas.

Recensione dell’Infernale Quinlan: il barocchismo magniloquente nel film di Orson Welles
Quinlan è un personaggio ambiguo, difficile da analizzare, figurarsi entrare in empatia, eppure il grande Welles dona dei tocchi umani, che cercano di far comprendere la psiche dell’uomo ed i suoi metodi d’indagine brutali, nonostante incarni nella sua gigantesca figura, gli abusi degenerati di una polizia corrotta e detesti i messicani considerandoli spazzatura.
L’ispettore è una figura tragica, immerso da anni in un titanico dolore, da cui sembra poter trovare un temporaneo ristoro solo dalla sua amica Tanya (Marlene Dietrich), tenutaria di un bordello. Quinlan affoga la sua solitudine nel chili, ascoltando al contempo le commoventi note della pianola del locale, lasciandosi trasportare dalle stupende note scritte dal compositore Henry Mancini.
Dietro la figura del gigante, emerge il ritratto di un uomo dall’animo devastato.
Il suo corpo, sfatto dall’obesità ed immerso in una società, che alla fine dai vecchi sino ai giovani simil “yo yo” James Dean (il regista non li ama molto), risulta sempre in preda ad una sete sfrenata di male puro.
Quinlan è una reliquia del passato, un uomo che non ha alcun futuro, perché ha da anni gettato via la parte migliore di sé, risultando incapace di accettare la scomparsa della sua “Rosebud”, trovando rifugio nell’oscurità più nera, accumulandola sempre più al suo interno, a corroderne lo spirito, per poi strabordare violentemente all’infuori del suo corpo, inghiottendo tutto e tutti.
Avanti anni nelle soluzioni tecnico-registiche, Orson Welles, qui scegliere scientemente di esasperare all’infinito, i propri barocchismi visivi.
Il nero ed il bianco della luce che si alternando ad intermittenza nell’illuminazione, sanciscono l’impossibilità di stabilire confini netti e certi.
Gli estremismi estetici, trovano pieno riscontro fisico nei luoghi del film, come l’inquietante motel in cui pernotta Susie, che sembra prefigurare quello di Psyco, ma anche nel labile confine tra Stati Uniti e Messico, lungo il quale all’epoca il transito era ancora libero.
Senza barriere architettoniche poste dal “liberal” Clinton e poi sempre più rafforzate dai suoi successori, come a voler impedire l’ingresso del “male” nel loro paese, che in realtà ne è già pregno da anni, come mostra un regista sagace e anti-sistema come Orson Welles.
Incassi non molto soddisfacenti negli USA, ma buoni in Europa, specie in Francia, che tra l’altro tributò un’eccellente accoglienza al film, nonostante fosse considerato dallo studio Universal ad un B-movie .
Soggetto ad interventi di manomissione in fase di post-produzione, con riprese aggiuntive girate da altri, oggi comunque il film è disponibile in DVD, nella versione da 112 minuti, che si presume vicina alla volontà del regista, basata su annotazioni e considerazioni di 58 pagine sul film scritte all’epoca da Orson Welles.