Ciclo Orson Welles: Recensione – Storia immortale: l’ultimo film di finzione del regista

Recensione del film Storia immortale di Orson Welles, migliori film del regista statunitense

Articolo pubblicato il 15 Maggio 2023 da Bruno Santini

Primo film a colori di Orson Welles e ultimo film di finzione completato, “The Immortal Story” (1968) è un adattamento commovente e malinconico di un racconto di Isak Dinesen.

La trama di La storia Immortale

 

Welles interpreta un ricco mercante nella Macao del diciannovesimo secolo, che diventa ossessionato dall’idea di dare vita a un aneddoto, tramandato da decenni tra i marianai delle navi di tutti i mari e oceani, su un uomo ricco che dà a un povero marinaio una piccola somma di denaro per mettere incinta sua moglie.

La figura di Orson Welles all’interno del film Storia Immortale 

 

Si potrebbe quasi tracciare un sentiero attraverso la filmografia di Orson Welles soltanto facendo riferimento al rapporto tra i suoi primi piani e le sue figure intere. Il corpo e il viso di questo straordinario artista sono stati segnati nel corso dei decenni dal più ampio campionario di emozione ed esperienze che un essere umano possa sperimentare, passare dall’abbandono della casa familiare in giovane trovandosi senza genitori per poi diventare il più grande talento dello show business della nazione più ricca del mondo ovvero gli Stati Uniti e vedere tutto questo scomparire così in fretta senza più ritornare, trascorrendo la maggior parte della propria esistenza da ostracizzato, rinnegato e quasi apolide. Fin da “Quarto Potere” l’opera di questo genio della settima arte è stata caratterizzata da un tema strisciante, spesso acquattato nei dettagli delle scenografie esaltate dalla sua profondità di campo, negli sguardi vacui dei suoi protagonisti e fatto riecheggiare talvolta (come in questo caso) da un sempre centrato voice over: la solitudine.

 

 

Verrebbe quasi da sostenere che questo sentimento o disposizione d’animo abbia accompagnato Welles dal momento della sua nascita. Chiunque abbia letto i libri che raccolgono le interviste a questa grande figura del secolo scorso sa (specialmente se si ha avuto la fortuna di avere tra le mani “A pranzo con Orson”, dove il suo forse ultimo amico Henry Jaglom riesce a penetrare nell’animo di Welles negli ultimi mesi della sua vita) che al di sotto di una scorza molto spessa, eppure così facilmente penetrabile, di sicurezza di se si è sempre nascosto un uomo le cui inquietudini e i cui demoni sono troppo spesso finiti per essere confusi con vizi dovuti dalla lussuria. I suoi abusi, i suoi continui eccessi, le sue esagerazioni dialettiche sono sempre stati metodi difensivi adottati da un uomo il nel cui animo ha sempre dimorato il fantasma della solitudine. In tal senso “La storia Immortale” sembra essere il suo testamento ideale.

Recensione di “La storia Immortale” di Orson Welles 


Come spesso accade nei film di Orson Welles, l’obiettivo che si prefissa il protagonista di “La storia Immortale” è smisurato: vuole invertire il processo di mitopoiesi, che fin dall’alba dell’umanità è avvenuto in senso inverso, vuole trasformare la finzione in fatto, il mito in realtà. Facendo questo però Welles intrappola, attraverso gli strumenti cinematografici, il proprio protagonista in una trappola dalla quale non può fuggire; la storia che narra questo tentativo sovversivo è infatti messa in scena con il registro della fiaba (cosa a cui ben si adatta anche la durata da “racconto breve cinematografico” di appena 60 minuti). In tal modo è come se in modo definitivo il regista statunitense dichiarasse, nella sua ultima opera di finzione, che la creazione della realtà per mezzo del cinema è impossibile, ma che anzi, come viene sottolineato nel finale del film, il solo tentativo è ridicolo e irrilevante poiché il dispositivo cinematografico si avvale di icone e metafore per la rielaborazione del reale, aderendo in tal senso perfettamente all’immaginazione umana.


La messa in scena del protagonista infatti finisce per essere rapidamente riassorbita nel dominio della finzione, senza che vi sia alcun modo di distinguere il vero dal falso (in tal senso esemplare il suo ultimo meraviglioso film-saggio “F is for Fake”).


Al di là di questo apparato teorico e di profonda riflessione sull’immagine cinematografica, da sempre presente nell’opera di Welles, è lampante come questa sia l’opera di uomo alla fine della sua vita e profondamente amareggiato. Non vi è serenità nell’accettare la morte, il protagonista non dorme da tempo viene detto nel film, forse vien da pensare nella vana speranza di sfuggire al suo inevitabile destino. Sempre il personaggio interpretato da Orson Welles si fa scudo sostenendo come nella sua vita egli abbia ottenuto e guadagnato più di quanto avrebbe mai potuto sperare eppure, proprio come Charles Foster Kane nel finale di “Quarto Potere”, tutti questi traguardi non si rivelano essere altro che specchietti per le allodole di una vita falcidiata da solitudine e infelicità.

Mai come in questo caso si può dire di avere sotto gli occhi il testamento artistico di un grande regista.

Voto
4/5
Carmine Marzano
4/5