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Dune: “…ed è solo l’inizio!”

Presentato fuori concorso alla settantottesima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dopo essere stato rimandato di un anno a causa dell’emergenza sanitaria, quindi alla conseguente chiusura delle sale cinematografiche, l’ultima fatica di Denis Villenueve è finalmente distribuita a partire dal 16 settembre.

Un progetto ambizioso fin dal suo annuncio, l’intento principale era di realizzare una nuova saga che appassionasse gli spettatori e sbancasse ai botteghini tentando di creare un nuovo evento in grado di unire il pubblico generando una fanbase tale da giustificare pellicole future. È chiaro quindi che ci troviamo di fronte ad un primo capitolo.

Primo capitolo realizzato nella maniera migliore possibile strutturato come un inizio dovrebbe sempre essere, l’introduzione è fondamentale e deve prendere il suo tempo dando comunque al film un senso generale di autoconclusività. Conosciamo gli ambienti, i personaggi, i contesti di cui la storia vuole raccontarci. La caratterizzazione passa anche dai costumi, dalla tecnologia, dalla lingua e dalle abilità. Nonostante ciò, Dune non si limita ad introdurre e basta, infatti dopo aver piazzato tutti i tasselli, gli eventi iniziano man mano a svolgersi in maniera sempre costante e anche molto lineare. Grazie ad un ritmo sempre continuo e ad una narrazione semplice senza cercare complicazioni inutili, il lungometraggio è adatto a tutti caratteristica che ne fa il suo pregio più grande.

L’equilibrio tra cinema d’autore e cinema popolare è servito, non è solo un grande blockbuster, ma all’interno di esso costituisce l’identità del suo realizzatore dietro la macchina da presa. Per chi conosce la filmografia del regista canadese sa che in molti casi i protagonisti sono sempre due, due personaggi legati insieme da qualcosa e che insieme agiscono per raggiungere uno scopo. Nel nostro caso sono madre e figlio, Paul (Timothèe Chalamet) e Jessica (Rebecca Ferguson) attraversano un percorso in cui l’obiettivo è la consapevolezza e la formazione dell’eroe, la scoperta della vera identità di Paul Atreides e ciò che è destinato a compiere. Ma il tema del doppio non si limita al numero di personaggi protagonisti, si protrae nelle situazioni e negli elementi circostanti alla storia come passato/futuro, bene/male, vita/morte, ogni aspetto si specchia nel suo inverso.

Non solo, il linguaggio torna ad essere una caratteristica importante, se in Arrival bisognava imparare la lingua aliena e trovare un modo per capirsi, qui invece è il come si instaura un dialogo, diventa perciò identificativo sentir parlare uno straniero nella propria lingua nativa. Ma il linguaggio non è solo verbale, attraverso i gesti può nascere una linea d’interazione personale in grado anche di salvarti la vita.

Una domanda è lecita porsi, se tutto è già scritto che valore hanno le scelte? Rischiano di essere pure illusioni, nella realtà non siamo altro che parte di un grande disegno già stabilito oppure le cose si possono cambiare? La Guerra Santa è ineluttabile? Dilemmi di questo tipo non sono nuovi nelle pellicole di Villenueve, mai banali ma al contrario colme di profondità, dilemmi che non trovano mai una risposta certa ma ci permettono di riflettere sulla nostra esistenza ed inseriti in un contesto del genere risulta ancora più importante.

È assolutamente da sottolineare la maestria con cui viene rappresentato ogni aspetto della storia umana facendo eco ad epoche diverse: dalle congiure della Roma Imperiale, alle casate medievali fino al colonialismo del secolo Ottocento. Possono passare i millenni ma l’umanità rimarrà sempre avvelenata dal desiderio di potere, un potere che si esercita tramite la forza militare, il controllo delle risorse e l’avanzamento tecnologico. Un focus particolare va puntato sulla figura del Bene Gesserit, dove il potere spirituale condiziona in maniera diretta il potere temporale delineando in prima persona il corso degli eventi.

Il cast è quello che si definisce “delle grandi occasioni”, una volta visto il film il primo pensiero è rivolto a chi è stato scelto per dare corpo a tutti questi personaggi e capisci come sia impossibile anche solo immaginare eventuali alternative. La bravura non sta solo nello scegliere ma anche nel saper valorizzare ogni soggetto, capire come e quanto sia necessario per risaltare al meglio un’interpretazione, è il caso di Jason Momoa riuscito nell’impresa di superare lo scetticismo di partenza. Il suo Duncan è un vero e proprio cavaliere, devoto alla famiglia a cui presta servizio, coraggioso e onesto. Non serve aggiungere alcun tipo di sfumatura in più, va benissimo così.

Dulcis in fundo, quello che metterà d’accordo tutti è sicuramente il lato tecnico: la messa in scena, infatti, garantisce un’esperienza immersiva come poche. L’emozione non scaturisce esclusivamente da sequenze strappalacrime o cruente, può generarsi anche dalla perizia con cui vengono ricreate le scenografie e vengono realizzati gli effetti visivi, tutto accompagnato da una regia distinta da campi lunghi e panoramiche, Villeneuve da sfoggio a tutta la sua qualità che vale il prezzo del biglietto e anche più. Senza se e senza ma Dune è spettacolare!! Funzionale anche la colonna sonora firmata dal Maestro Hans Zimmer, sposandosi in pieno con le immagini sullo schermo.

“…ed è solo l’inizio!”

Beh, con tutto il cuore speriamo sia vero!

Voto: 9/10

Giovanni Urgnani

Andrea Barone: 10
Andrea Boggione: 9
Christian D’Avanzo: 9
Carlo Iarossi: 10
Paolo Innocenti: 10

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