Articolo pubblicato il 13 Novembre 2022 da Andrea Barone
In occasione dell’uscita del nuovo capitolo dei Manetti Bros, ripercorriamo i precedenti live action su Diabolik incominciando dal primo adattamento diretto da Mario Bava, uscito nel 1968 e prodotto da Dino De Laurentiis che ha finanziato questo blockbuster italiano rendendolo il film più costoso di tutta la carriera di Bava. L’opera vede Diabolik e la moglie Eva Kant, considerati i criminali più ricercati di sempre, continuare a rubare oggetti e somme di denaro aventi grande valore ed importanza… tuttavia le cose cominciano a farsi più difficili quando a dare la caccia a loro è non solo il bravissimo ispettore Ginko, ma anche il boss della mafia Ralph Valmont, il quale mette una taglia sulla testa dei due ladri ed è disposto a fare di tutto pur di avere in simpatia la polizia.
Diabolik di Mario Bava: la recensione di un’esplosione in chiave pop art
Durante la realizzazione, Mario Bava era determinato a creare un film fedele alle atmosfere cupe e violente del fumetto, ma Dino De Laurentiis si oppose perché voleva vendere il film ad un pubblico che comprendesse tutte le età. Di fronti a tali situazioni solitamente si cominciano ad avere problemi, ma Bava sfrutta l’imposizione di De Laurentiis per trovare un compromesso perfetto sfogandosi nella sua creatività in altri modi. Con tale decisione, se per il pubblico è richiesto qualcosa di colorato, il maestro sfoggia tutta la sua abilità per costruire un ambizioso esperimento pop che va al di là della splendida fotografia colorata di Antonio Rinaldi. L’autore infatti utilizza numerosi effetti ottici per catturare il linguaggio dei fumetti e trasformarlo in un linguaggio cinematografico creando una coesione profondamente anarchica.
Una delle scene più celebri è il ritratto di Eva Kant realizzato per costruire l’identikit, il quale è riprodotto con un’animazione che ne cattura la lenta realizzazione richiamando ad uno stile pop-art che esprime la grandezza del catturare un volto cinematografico senza però perdere un tratto stilistico che caratterizza l’artista di un’opera. Da lodare la presentazione di Diabolik e di Eva Kant che vengono presentati per i primi 25 minuti senza alcuna forma di dialogo: a parlare è il loro ego e la loro sensualità che Bava esprime attraverso i loro corpi che sembrano fondersi con le ambientazioni futuristiche e accese (uno su tutti il sesso nei soldi) che il capolavoro di colonna sonora curata da Ennio Morricone sembra quasi accarezzare perché si ha la sensazione di un abbandono all’eccesso estremamente ammaliante. Tale eccesso serve anche ad equilibrare l’interessante ambiguità tra bene e male calcata, per esempio, da una splendida carrellata che riprende dei ragazzi con gli spinelli di cui Musica sottolinea il profondo impatto che non sa se essere affascinante o distruttivo.

Da apprezzare enormemente John Phillip Law nel ruolo di Diabolik, il quale è perfetto nel suo sguardo glaciale che allo stesso tempo entra perfettamente in contrasto con il suo volto invece angelico: splendido il momento in cui si vedono i suoi occhi per la prima volta, accompagnati da una malvagia risata, come se Bava stesso dica allo spettatore che ormai quest’ultimo è subito intrappolato in questa deliziosa follia. Molto bravi anche Michel Piccoli nella parte dell’umile e sicuro ispettore Ginko e soprattutto Adolfo Celi nel ruolo dello spietato Valmont che richiama al carisma di un villain della prima epoca d’oro di James Bond. Deludente invece la performance di Marisa Mell nella sua interpretazione di Maria Kant a causa della sua forte inespressività che viene però compensata dalla sensualità che il regista riesce a mettere in scena.
Diabolik anticipa il cinecomic d’autore
Probabilmente il film è così ebbro della sua messinscena che a volte il ritmo viene allungato proprio a causa delle (dis)avventure di Diabolik ed Eva Kant che non prendono quasi mai respiro e che avrebbero avuto bisogno di maggior compensazione con la trattazione di temi umani che Bava è solito mettere nelle sue opere. Tuttavia le interessantissime strizzate alla società non mancano comunque e quando ci sono, sanno essere molto forti: basti pensare alla rappresentazione di un governo che è disposto a sfruttare la paura della pena di morte per mettere a tacere i criminali, cosa che viene subito evidenziata da Diabolik come una farsa profondamente ridicola che può solo far ridere, così come si vede la disperazione della polizia che è disposta a scendere a patti anche con criminali peggiori dello stesso Diabolik pur di raggiungere il loro obiettivo. Ma la parte più divertente e sottile di tutto ciò è la frecciata alle tasse del paese a cui i cittadini sono più che mai disposti a rinunciare approfittando di un altro importante disastro di Diabolik.

Con la sua profonda influenza autoriale che si riflette in un blockbuster cinematografico derivato dai fumetti, Mario Bava ha anticipato di moltissimi anni le importanti sperimentazioni utilizzate da importanti cineasti come Tim Burton e Warren Beatty in “Batman” e “Dick Tracy” e, molti anni più avanti, anche da discussi registi come Robert Rodriguez e Zack Snyder in “Sin City” e “300“. E nonostante tutti questi anni passati, “Diabolik” rimane ancora un film avente un’impronta unica ed invecchiata benissimo, capace di divertire e di affascinare ancora oggi con i suoi straordinari linguaggi anarchici e folli che confermano Mario Bava come uno dei maestri del ventesimo secolo. Tale cinecomic rimane uno dei blockbuster più belli realizzati nel nostro cinema ed in assoluto uno dei più ambiziosi dell’epopea anni 60.