No Time To Die: un canto del cigno degno e speranzoso

Articolo pubblicato il 13 Aprile 2022 da wp_13928789

Alla fine il momento è arrivato, come aveva già anticipato Daniel Craig molto tempo fa: il nuovo James Bond, intitolato “No Time To Die”, è il capitolo finale che vede l’attore interpretare l’agente segreto più amato del mondo. In questo nuovo film vediamo James Bond costretto a tornare dalla pensione dopo che un’organizzazione terroristica ruba un’arma nanotecnologica estremamente pericolosa per la popolazione. Come se non bastasse, l’amore della sua vita Madeleine Swann ha un oscuro segreto proveniente dal suo passato che torna a tormentarla: riuscirà James Bond ha curare i suoi demoni interiori ed a gestire i suoi nuovi rapporti prima di tornare sul campo un’ultima volta?

L’opera è uscita da poco e si appresta a fare strage al botteghino con stime ed inizi incoraggianti dopo la ventata d’aria fresca che è stata “Dune” al botteghino (a proposito, qui la nostra recensione del film di Villeneuve), ma come sarà quest’uscita di scena stavolta curata da Cary Fukunaga, primo regista statunitense alla guida di un’opera del franchise? Scopriamolo.

Dal punto di vista registico, il franchise si riconferma assumere professionisti del settore che hanno una loro idea precisa nel mettere in risalto le scene d’azione: in questo nuovo capitolo Fukunaga gestisce i combattimenti in modo egregio, mostrando corpi che si lanciano sui nemici in modo sicuro ed elegante mantenendo però una brutalità che fa quasi sentire la carne di James Bond strapparsi ad ogni colpo. Le geometrie non sono da meno, grazie a dei campi lunghi immensi che fanno spesso ricordare al pubblico che le persone che abbiamo al centro della pellicola sono solo degli uomini.

La fotografia di Linus Sandgren in certi momenti potrebbe apparire un po’ invadente con l’uso della luce solare e limpida che finisce sulle figure, ma più si va avanti più si nota che in realtà questo sole quasi albino ha un significato preciso che arricchisce il senso di ciò che si sta guardando. Hans Zimmer invece non è al suo meglio ed ormai, dopo i ricicli già fatti in “Wonder Woman 1984”, si nota che si è concentrato principalmente su “Dune”, andando su note non ispirate come suo solito, ma che assumono un risalto maggiore nell’impatto forte presente nel finale e che arrivano comunque ad un buon risultato.

Gli attori del film sono tutti in parte: Rami Malek, che interpreta in villain, tira fuori la giusta freddezza emotiva in cui però si possono notare attraverso piccoli dettagli degli sbalzi d’umore abbastanza forti e schizofrenici anche quando questi in realtà non vengono fuori esplicitamente, ottenendo un’inquietante presenza scenica. Ana De Armas mantiene un perfetto equilibrio tra giocosità e sensualità, portando la femme fatale lodata dal grande pubblico su un piano diverso e più scherzoso che indica genuità di ciò che sarà. Lashana Lynch assume un’aria sicura che tiene perfettamente testa alla sua controparte spionistica maschile, mentre Christoph Waltz mantiene l’impostazione carismatica e malata del personaggio, attraverso cui gli occhi trasmettono pienamente il voler in ogni momento imprimere profondo dolore.

Lea Seydoux non ha perso un briciolo della sua forte componente emotiva fisica che esprime la disperata ricerca del riscatto ed alla ricerca di affetto, mentre invece Daniel Craig da al personaggio una forte stanchezza… ma non stanchezza come quella espressa da Sean Connery in “Una Cascata Di Diamanti”, in cui ogni tanto si avvertiva un senso di “Quando finisco di girare questa scena così mi levo di torno questo ruolo?”, ma la stanchezza umana del personaggio. Quando Bond combatte, i movimenti di Craig sono più limitati e ad ogni pugno il suo corpo sembra sempre più affaticato, esprimendo questo senso di vecchiaia non solo legato all’età dell’attore, ma al peso che Bond si porta sulle spalle. Mai quanto adesso, in questo arco narrativo della saga, abbiamo visto un Bond così desideroso di un volto familiare che gli dia sicurezza nell’animo, ancora più di quello che Craig espimeva in “Casino Royale” con il rapporto con Vesper.

La particolarità che eleva soprattutto quest’opera è il proseguire della strada esplosa con Sam Mandes in “Skyfall” per quanto riguarda la concezione del tempo, il quale qui tocca di nuovo il piano di ciò che abbiamo costruito avendo di fronte a noi il nuovo: le figure di James Bond che hanno reso celebri il personaggio qui sembrano abbandonare il grande pubblico non solo per quanto riguarda la scelta della trama, ma proprio per quanto riguarda il sentore che un’epoca sta finendo, sottolineando la vecchiaia del personaggio anche in ciò che c’è attorno a lui: l’insicurezza di M nel richiamare James Bond e la grande uscita di scena di Franz Oberhauser possono far sentire questa sensazione, mentre James Bond continua ad avere a che fare con nuove figure capaci esattamente quanto lui: non si tratta più di nuovi sistemi e di nuove tecnologie viste nei capitoli precedenti che mettevano a disagio il personaggio, ma di nuovi e propri colleghi che esprimono una grande energia dimostrando che il mondo può essere in buone mani, mettendo allo spettatore una sicurezza che esprime che, anche se ciò che ci ha cresciuto ci lascerà, non dobbiamo avere paura del nuovo.

Non è un caso che James Bond riesce quasi subito ad adattarsi ad i suoi colleghi, che attraverso Nomi e Paloma esprimono la nuova mentalità che ormai è propria del nostro presente e che non si può più ignorare, dimostrando un’evoluzione ed una ricerca in nuove figure in cui il pubblico e le culture si rispecchiano… ma queste nuove figure, queste donne, queste culture, queste nuove azioni che diramano i personaggi allo stesso tempo mostrano un profondo rispetto per ciò che è venuto prima, come ad esempio la profonda emozione di Paloma nel lavorare per la prima volta accanto a James Bond, o al riscatto che Paloma fa al numero 007. Il mondo cambia, ma le sensazioni rimangono le stesse e ci sarà sempre chi vorrà farci viaggiare nella sua auto per combattere il male, mentre la generazione continua e varia su strade che portano il pubblico a grandi scelte.

Ma in tutto ciò, il personaggio di James Bond, come stavamo dicendo, non viene certo messo in secondo piano, perché il tempo non riguarda solamente il vedere ciò che verrà e ciò che ci riserva il futuro, ma al contrario, si focalizza moltissimo anche sul presente della vecchiaia. Il titolo “No Time To Die” assume un doppio valore, perché in tutto il film viene trattato quanto gli anni possano sembrare semplicemente acqua che scorre via, ma in ogni secondo che passa noi non ci rendiamo conto che in realtà rischiamo di buttare tutto. Questo James Bond sbaglia, perché ha difficoltà e chiudere i conti con il suo passato e per questo ha difficoltà ad aprirsi, ha difficoltà nel fidarsi, rinunciando a cose che potrebbero farlo stare bene… ma più il tempo del film scorre, più James si rende conto che non va sprecato. Non c’è tempo di morire appunto, perché ogni scelta presa potrebbe essere fatale, perché non sappiamo quale dettaglio potrebbe riservarci il futuro, potrebbe trasformarsi in una lacrima di dettaglio. Qui James Bond, nella sua vecchiaia, si rende conto di abbracciare la vita stessa e l’evoluzione che raggiunge è straordinaria, arrivando ad un’uscita di scena del personaggio che è degna di tutto ciò che ci ha dato.

Oltre a ciò, il film non rinuncia agli aspetti politici, evidenziando la difficoltà dell’orgoglio nazionale nell’ammettere i propri errori e mostrando ancora una volta la sottile differenza che c’è tra il bene ed il male nel cercare di mandare avanti una società sempre più intricata, mostrando inoltre un villain che invece, a differenza di James Bond, è subito sceso nella disperazione, credendo che tutto ciò che abbiamo non ha più senso a meno che non cresciamo con dolore e basta, senza dare spazio alle altre cose. Il dolore nell’apocalisse che è solo follia e che, nella grande avvertenza del male, da allo spettatore continuo cardiopalma con scene anche cattive. Forse questo film non è perfetto per alcune discontinuità del ritmo e non raggiunge i picchi di “Casino Royale” e di “Skyfall”, ma una volta usciti dalla sala vi renderete conto che non solo vi siete divertiti comprendendo ancora di più che non c’è tempo per smettere di vivere la vita, ma che il vostro eroe James Bond non poteva avere un finale migliore, lasciando un piano nella cultura pop e nella storia del personaggio che difficilmente verrà dimenticato.

Voto: 9

Andrea Barone

Andrea Boggione: 8
Christian D’Avanzo: 8
Carlo Iarossi:
Paolo Innocenti: 7
Giovanni Urgnani: 8
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